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Ambiente / Approfondimento

Il suolo non mente: il verde cancellato di Milano e le promesse della politica

Una vista aerea di Milano © Unsplash

In un anno la superficie di territorio cementificata è cresciuta di otto volte, come certificano i dati Ispra. Una “scomoda verità” che gli amministratori della città non vogliono ascoltare. Non basta piantare nuovi alberi se manca una pianificazione attenta del territorio, osserva Paolo Pileri

Le opinioni e le promesse sono una cosa, i numeri e le certezze un’altra. Negli ultimi anni Milano, per bocca dei suoi sindaci e assessori, si è profusamente dichiarata green e, per quanto riguarda il consumo di suolo, ci ha tenuto a parlare di depavimentazioni e di “cospicue” rimozioni di suoli urbanizzabili. Qualcosina, di tutta questa serie di promesse, è vero: ma solo qualcosina che rispetto al tutto, vale assai poco. O comunque molto meno di quello che una città che si professa green ed europea deve e può fare.

I numeri ufficiali parlano un’altra lingua rispetto a quella della propaganda del governo della città e ci dicono “scomode verità” che la Giunta comunale ignora o non vuole ascoltare, purtroppo per tutti. I numeri sono chiari: nel periodo 2020-2021 Milano ha cementificato 18,68 ettari di territorio entro il suo perimetro amministrativo. E sono tanti. Un numero che è il risultato di una accelerazione incredibile se paragonato ai 2,32 ettari del 2019-2020. Questo significa che nell’ultimo periodo monitorato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), Milano ha innalzato il consumo annuo di suolo di otto volte: una sgommata verso l’insostenibilità. Il consumo di suolo di Milano vale il 25% di quello di tutta la Provincia: anche questo ci dice quale sia il peso delle politiche di Palazzo Marino sul destino della intera Provincia e, non fatico a pensarlo, della Regione. Con questi numeri, il capoluogo lombardo ha superato la soglia del 58% di territorio comunale asfaltato, una percentuale ampiamente antiecologica: piantare alberi e parlare di case energeticamente sostenibili non è sufficiente se poi ti porti in tasca questi numeri.

Purtroppo lo slancio green va in mille pezzi con un consumo di suolo di questa portata e ci fa sorgere il dubbio che quelle forestazioni siano un contentino o una compensazione spuntata. Un dato del genere conferma, ancora una volta, come le politiche ecologiche siano traballanti quando rinunciano a una coerenza a 360 gradi. Non possono bastare alcune migliaia di piantumazioni “pronto effetto” se poco più in là ruspe e betoniere accelerano la loro opera distruttiva. La coerenza è un pilastro nella pianificazione ecologica, non un’opzione. Non va inoltre dimenticato che gli effetti positivi del nuovo verde (che pur sempre accogliamo festosi) si raggiungono in anni e anni di vita di piante e arbusti, oltre a dipendere anche dalla manutenzione e dal buon microclima (pertanto vedremo nel futuro gli effettivi risultati), mentre i risultati negativi del consumo di suolo sono immediati e per sempre. Quindi le betoniere ci soffocano ora e il verde ci darà aria fra anni.

Nel frattempo? Solo questa differenza dovrebbe far balzare in piedi la Giunta, che invece non fa una piega. Assieme a tante forze politiche che ignorano le basi ecologiche con le quali si dovrebbe far funzionare la pianificazione territoriale. Il dato sulla temperatura media nei mesi estivi, sempre fornito da Ispra nel rapporto sul consumo di suolo del 2022, dimostra in pieno questo sbilanciamento: a causa del cemento, a Milano la differenza di temperatura tra la città e le aree rurali (distanti appena qualche chilometro) è di sei gradi centigradi, in aumento rispetto al periodo 2019-2020. D’altronde sappiamo benissimo che asfalto e cemento equivalgono a una padella sul fuoco, a differenza dei suoli liberi che mitigano gli effetti delle radiazioni solari e riducono di molto l’isola di calore tipica delle aree urbane. Non c’è poi da stupirsi se d’estate crescono i consumi elettrici per tenere accesi i condizionatori nelle case.

Gli indicatori ufficiali sul consumo di suolo inchiodano le politiche di governo del territorio della città di Milano disvelando profili divergenti dalle narrazioni degli esponenti della Giunta (sindaco in primis) e mettendo sulle loro spalle responsabilità ben chiare a chi si intende di ecologia e cambiamenti climatici, ma non a chi si illude che possano bastare una manciata di alberi per continuare a cementificare. Purtroppo l’ampia e francamente inaccettabile consuetudine della politica a non leggere e parlare di dati le consente di far passare tutto ciò in sordina. Sta ai cittadini-lettori dei rapporti Ispra (e non solo) riportare in prima fila la lettura dei fatti attraverso i numeri, facendo arretrare le opinioni o le promesse dei politici. Questa attenzione ai numeri da parte dei cittadini, metterebbe i politici nella posizione di fare più attenzione a quel che dicono e fanno.

Un’ulteriore interpretazione di quei dati riguarda il Piano di governo del territorio (Pgt) di Milano. Con un incremento di otto volte del consumo di suolo da un anno all’altro, non possiamo valutare il Pgt come un piano virtuoso e in grado di arginare la cementificazione. Quest’ultima, lo ricordiamo, non è solo quella che si stende sugli ambiti di trasformazione (come vorrebbe farci pensare la legge 31/2014 di Regione Lombardia) e quindi su una parte del tutto, ma riguarda tutti i suoli che spariscono sotto il cemento, comprese le aree trasformabili che derivano da vecchie previsioni dei precedenti piani urbanistici, comprese le aree per servizi pubblici, le infrastrutture di interesse regionale e nazionale, le aree intercluse nei perimetri dei lotti dei piani attuativi. Il suolo non è quello definito nei piani urbanistici di carta, ma è quello vero ed ecosistemico generato in migliaia di anni dalla natura, ovunque. Un suolo libero che viene cementificato per un ospedale o una scuola è un suolo perso al pari di quello per un’abitazione privata o un capannone realizzato su un’area trasformabile proveniente da vecchie previsioni.

Infine, non possiamo trascurare la questione provinciale che, nel caso milanese, corrisponde alla Città metropolitana guidata da anni dal medesimo sindaco del capoluogo. Il suolo cementificato nella Città metropolitana sfiora il 32% ed è aumentato di 75 ettari nell’ultimo anno (Ispra, 2022). Non è difficile pensare che quei consumi siano stati alimentati dalle necessità espresse dal capoluogo. Un capannone di logistica realizzato lungo la Rivoltana o la Vigentina o la Padana inferiore sono tecnicamente nei territori di altri Comuni, ma è scontato che vengano realizzati per soddisfare prevalentemente il mercato dei consumi di Milano e il suo stretto hinterland. Tecnicamente il sindaco di Milano risponde del proprio Pgt, ma ritengo vi siano responsabilità morali che vanno oltre quelle definite dalle competenze tecniche, ancora ancorate a un novecentesco modo di intendere l’urbanistica per Comuni. Se Milano è accerchiata dalla logistica che sta divorando suoli agricoli, non è certo per il vezzo dei piccoli paesi di provincia che là la vogliono, ma per il modello sociale ed economico ossessivamente proposto da Milano. Il consumo di suolo non è solo un disastro da un punto di vista ecologico ma anche per gli effetti culturali negativi che deposita nei cittadini in merito al modello di sviluppo che su quei suoli cementificati va ad affermarsi. Questo non è un effetto trascurabile, sebbene trascurato.

Ultimissima considerazione va al fatto che nessun “medico urbanista” prescrive obbligatoriamente di trasformare aree dismesse o abbandonate, e nel frattempo spontaneamente naturalizzate o riforestate, in aree urbanizzate. Milano non è una capitale europea che può vantare una percentuale di aree verdi da far tremare la classifica delle città green del mondo. Lasciare completamente o in larga parte a verde queste aree (come gli scali ferroviari o nel quartiere Bovisa che invece vengono dichiarate già urbanizzate, quando invece non lo sono) vorrebbe dire far respirare una città che rimane una tra le più inquinate d’Europa. Invece si decide di riempirle di cemento, spesso per abitazioni economicamente  non accessibili alla popolazione e a chi ne avrebbe bisogno.

Concludendo, possiamo di nuovo dire che il “parametro suolo” è un ago della bilancia straordinario che ci mostra senza veli come si depositano a terra le promesse green e le opinioni di chi governa. Il suolo è un perfetto sconosciuto per chi governa il territorio che si permette, però, di deciderne l’uso e il destino. Purtroppo, quelle promesse e quelle opinioni sono sconfessate dai numeri ufficiali sul consumo di suolo (non commentati dal governo della città), e non possiamo fare a meno di avere più che ragionevoli dubbi che questo modo di governare sia ancora ampiamente insostenibile. Se tanto ci dà tanto la partita sulle trasformazioni nelle aree che accoglieranno le Olimpiadi invernali 2026 non saranno da meno. In ogni caso al momento non è stato istituito alcun organismo indipendente di monitoraggio e vigilanza sulle opere olimpiche dirette e indirette e quindi nessuno sarà mai in grado di dire qualcosa. E questa è una pagina vergognosa della politica e della politica urbanistica del nostro Paese.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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