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Ambiente / Varie

Il suolo e il gioco delle tre carte

Ecco perché la legge regionale della Lombardia sul consumo di suolo non “tutela” -ma “trasforma”- i terreni liberi 

Tratto da Altreconomia 181 — Aprile 2016

Una dopo l’altra, le Regioni stanno approvando leggi per ridurre il consumo di suolo. Purtroppo lo stanno facendo senza regia, ognuna come le va. E non tutto va dritto. La Lombardia dal 28 novembre 2014 ha la legge n. 31: “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”. Il titolo è promettente, ma dobbiamo guardare dentro per comprenderlo. Occupiamoci delle definizioni (art. 2), perché da lì capiamo tante cose. Vediamone tre. Alla lettera a) si inizia con il definire la superficie agricola che è data dai terreni qualificati dagli strumenti di governo del territorio come agro-silvo-pastorali. Primo scossone.

Chi conosce la combinazione tra minacce a cui è esposto il suolo e comportamento ‘allegro’ di molti piani urbanistici, rabbrividisce perché qui si sta dicendo che quello che voi vedete come un campo, il piano può legalmente chiamarlo “non-campo”. Basta una linea e due frasi. La prosopopea del diritto (de iure) si impone sulla contingenza del reale, il de facto.

Che bisogno c’è di alterare i concetti se non per alimentare il dubbio che mosse così siano più un lasciapassare per chi vuol mettere le mani sopra i suoli, che un atto per tutelarli? Passiamo alla lettera b) dove avviene una fusione a freddo: la superficie urbanizzata e quella urbanizzabile diventano, di fatto, dei sinonimi. Sarà una “semplificazione” per qualcuno. D’ora in poi, quando passeggerete fuori città accanto a un prato, sappiate che se il piano urbanistico ha pensato di urbanizzarlo, solo voi lo vedete prato, perché in realtà è già urbanizzato. Una immobil-dream definition: la legge anticipa i tempi e trasforma i sogni immobiliari in solide realtà. Infine la lettera c), quella sul consumo di suolo: il terzo miracolo. Già perché il consumo di suolo è definito come la trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio.

Detta così non sarebbe male, ma ricordiamoci che chi decide cos’è una superficie agricola è il piano (lettera a) e non l’evidenza del reale. Allora potrebbe bastare, un attimo prima, un ritocco al piano per decidere che una certa area non è legalmente agricola e così quando ci si troverà a calcolare il consumo di suolo, il risultato potrà addirittura essere zero. Capite? È il gioco delle tre carte, anzi dei tre nuovi significati: un attentato non solo ai suoli ma anche al vocabolario. Una volta si diceva “fatta la legge trovato l’inganno”, ma ora neppure quella fatica dobbiamo fare. Tutto ciò è un esercizio di manomissione delle parole e delle azioni e decisioni che seguiranno, e getta tutti noi in confusione lasciando campo libero a chi vuole disfare senza scocciature paesaggi e suoli.

Non è forse questa una vera e propria de-regolazione elegantemente vestita da regolazione? Davanti a tutto ciò non basta stupirsi o preoccuparsi, ma occorre indignarsi. E non solo per la legge. Anche il fragoroso silenzio che ne è seguito è una pugnalata. Troppi silenzi. E questo mi buca letteralmente il cervello. Esiste un principio, quello delle responsabilità differenziate, secondo il quale chi ha competenze e conoscenze e non agisce è più responsabile di chi non sa e non agisce. Non possiamo pretendere che i cittadini si rendano conto di come stanno le cose se chi sa smette di fare la propria parte. Se si spezzano le cinghie di trasmissione del sapere critico saranno guai e domani avremo novelli scrittori di leggi che si periteranno di dirci che il colore rosso è verde. E noi ci schianteremo al primo incrocio.

* Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Che cosa c’è sotto” (Altreconomia, sec. ed. 2016)

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