Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

Il significato profondo del referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno

© Usplash

Il nostro Paese ha la possibilità di favorire il riconoscimento giuridico e sociale e l’inclusione di circa due milioni e mezzo di cittadini. Il governo punta sull’astensione per far fallire il raggiungimento del quorum ma i sostenitori della campagna referendaria continuano con determinazione il lavoro di informazione via social e nelle piazze. Il nostro approfondimento

“La vittoria del ‘Sì’ rappresenterebbe una conquista per i cittadini di origine straniera nati e cresciuti in Italia, che abitano e lavorano in questo Paese e contribuiscono al suo sviluppo”.

Maria Paula Caro Rojas, attivista di LaParteGiustaDellaStoria, non ha dubbi sul significato profondo del referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno. Promosso da centinaia di organizzazioni confluite nella rete Referendum Cittadinanza, da Riccardo Magi, segretario di +Europa, e poi sostenuto da alcuni partiti, il quinto quesito referendario propone di modificare la legge attualmente in vigore, dimezzando da dieci a cinque anni i termini di residenza legale dei cittadini stranieri maggiorenni provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. 

La sua acquisizione è disciplinata dalla legge 91 del 1992, secondo cui “un cittadino straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”. Come sancito dalla norma precedentemente in vigore (legge 555/1912), questa legge conferma la possibilità di ottenere la cittadinanza anche per concessione. A questo proposito è importante precisare che fino al 1992 tutti i cittadini stranieri potevano presentare domanda per la cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza legale e ininterrotta.

Le cose sono cambiate con l’introduzione appunto della legge 91 del 1992, che ha raddoppiato questo limite per i cittadini dei Paesi extra-Ue e, al contempo, lo ha abbassato a quattro anni per chi proviene da uno Stato dell’Unione europea e a tre per i discendenti di cittadini italiani.

“La normativa del 1992 poggia su una discriminazione di fondo basata sull’idea illogica secondo cui i cittadini legati a princìpi sociali e giuridici considerati ‛diversi’ da quelli italiani si integrerebbero con maggiori difficoltà rispetto agli altri”, spiega ad Altreconomia Paolo Bonetti, professore di Diritto costituzionale e Diritto degli stranieri all’Università Milano-Bicocca e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Negli anni, inoltre, il legislatore ha stabilito per legge i termini legali del procedimento legislativo in due anni prorogabili a tre.

“Riassumendo, un cittadino straniero extracomunitario oggi può vedere riconosciuta la sua richiesta di cittadinanza dopo dieci anni di soggiorno regolare e ininterrotto, due o -quasi sempre- tre anni di attesa della risposta e altri sei mesi per il giuramento: tredici anni e mezzo -osserva Bonetti-, che rendono l’Italia il Paese dell’Unione europea con la normativa più arretrata in materia di inclusione dei cittadini stranieri”. 

La modifica della legge 91 del 1992 proposta dal referendum amplierebbe dunque la platea dei cittadini stranieri extra-Ue che potrebbero presentare domanda di cittadinanza. Potenzialmente vi potrebbero accedere anche i titolari di un permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo in Italia, che secondo i dati Istat al 31 dicembre 2024 erano 2.138.ooo. “I requisiti per l’ottenimento di questo titolo di soggiorno -capacità reddituale, conoscenza della lingua italiana e assenza di condanne penali e di pericolosità sociale-, infatti, non differiscono molto da quelli richiesti per presentare domanda di cittadinanza”, conferma Bonetti.

Il successo del referendum, inoltre, avrebbe anche un effetto indiretto sui tanti minori stranieri nati o cresciuti in Italia.

“Rispetto a quanto accade oggi, la trasmissione automatica della cittadinanza dal genitore ai figli si riverberebbe più rapidamente sui minori che frequentano le scuole come stranieri”, continua Bonetti. Secondo quanto stimato dal rapporto “Il mondo in una classe”, pubblicato da Save the children a settembre 2023, oltre il 10% degli iscritti nelle scuole italiane -circa 800mila bambini e bambine e ragazzi e ragazze- si trova in questa sorta di limbo.

Il governo intanto continua a distrarre l’attenzione sulla campagna referendaria affinché non si raggiunga il quorum del 50%, asticella necessaria per considerare il suo esito valido. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il presidente del Senato Ignazio La Russa hanno persino invitato apertamente gli elettori all’astensione. L’ex ministra Mara Carfagna, paventando il pericolo di un’acquisizione massiccia della cittadinanza italiana da parte dei cittadini provenienti da Paesi extra-Ue, ha dichiarato che “dieci anni sono un tempo congruo per integrarsi, non vediamo la necessità di dimezzare questo limite”.

“È un argomento risibile e basato sul nulla -osserva Maria Paula Cora Rojas-, dato che tutti gli altri requisiti per la concessione della cittadinanza non verrebbero modificati, né si accorcerebbero i tempi di due o tre anni di attesa per il riconoscimento della cittadinanza”. Anche con il successo del referendum, insomma, una persona impiegherebbe in ogni caso otto anni e mezzo per ottenere la cittadinanza italiana. 

Come sta accadendo per i quattro quesiti sul lavoro, anche il dibattito intorno al referendum sulla cittadinanza finora non ha trovato grande spazio nei media mainstream. “Eravamo piuttosto certi che le televisioni e le radio non avrebbero trattato questo tema, così già da mesi abbiamo avviato una strategia di comunicazione e sensibilizzazione dal basso utilizzando i canali social delle organizzazioni della rete e andando nelle piazze delle maggiori città italiane -da Padova a Bologna, da Roma a Napoli e Palermo-, mettendo al centro il protagonismo e le esperienze di noi seconde generazioni”, racconta Cora Rojas.

La rete, tra le altre cose, ha pubblicato online una guida per il voto all’estero e una petizione dal titolo “Stop censura”, nella quale denuncia come “fino ad oggi i palinsesti televisivi della Rai non abbiano dedicato un minuto di copertura al referendum”. “Il nostro obiettivo è raggiungere quante più persone possibile, informandole sui contenuti del referendum e invitandole a utilizzare il privilegio del diritto di voto per dare un segnale forte e costruire una società più giusta e inclusiva -conclude l’attivista-. La cittadinanza non è un premio, ma il riconoscimento giuridico di una realtà sociale già presente e ben radicata nel nostro Paese”. 

I nuovi cittadini potrebbero acquisire diritti politici, la possibilità di accedere a concorsi pubblici, rappresentare l’Italia nelle competizioni sportive e viaggiare o studiare all’estero senza necessità di un visto. 

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati