Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

Il ritorno del mutuo soccorso – Ae 80

Asili autogestiti, case per gli immigrati e previdenza sociale per i precari: l’auto-aiuto come forma di solidarietà tra lavoratori. Una tradizione di Otto-Novecento che le società di mutuo soccorso portano nel XXI secolo A Imola, che è la prima città…

Tratto da Altreconomia 80 — Febbraio 2007

Asili autogestiti, case per gli immigrati e previdenza sociale per i precari: l’auto-aiuto come forma di solidarietà tra lavoratori. Una tradizione di Otto-Novecento che le società di mutuo soccorso portano nel XXI secolo


A Imola, che è la prima città italiana (e forse al mondo) per densità di società cooperative, c’è chi ha trovato una risposta originale alla carenza di posti negli asili nido pubblici e ai costi elevati di quelli privati. È un asilo autogestito, nato -manco a dirlo- da un’idea di un gruppo di cooperative. In sostanza, un gruppo di genitori, con l’appoggio del consorzio Sol.Co. (che conta sedici imprese sociali, più di mille soci e 500 addetti), ha creato -col supporto di operatori competenti delle cooperative sociali- un asilo per garantire l’accesso a prezzi agevolati ai soci. Poi si è aperto all’esterno, fino a stipulare una convenzione con l’ente pubblico. A Udine nel ‘93 è nata l’associazione “Vicini di casa”, grazie a un gruppo di persone che ha pensato di trasformare le vecchie latterie sociali, cadute in disuso, in case per immigrati, e di recuperare, anche nel nome dato all’associazione, un’antica tradizione degli emigranti friulani, che in ogni Paese del mondo costruivano da sé le proprie abitazioni: molti erano muratori e mettevano su casa, per le rispettive famiglie e per i conterranei, con l’aiuto dei vicini. Vicini di casa col tempo ha creato una cooperativa e un’agenzia sociale immobiliare, che raccoglie “risorse solidali” -donazioni, prestiti, garanzie fiduciarie, immobili concessi in comodato- e offre agli immigrati occasioni accessibili di alloggio. Terzo caso: un’antica istituzione, la Società romagnola di mutuo soccorso, da oltre dieci anni garantisce a migliaia di artigiani, e anche a lavoratori “parasubordinati”, una serie di servizi sanitari integrativi (inclusa la mediazione collettiva con le compagnie assicurative) a costi molto contenuti, in modo da alzare qualità e quantità delle prestazioni senza finire nelle grinfie della sanità privata. Sono solo tre esempi, riferiti a contesti e modi d’agire molto diversi fra loro, ma che hanno in comune il principio ispiratore, ossia l’idea del mutualismo.

Il concetto è antico ma pareva quasi scomparso nei retrobottega della storia.

Fra Otto e Novecento, agli albori del capitalismo, il mutualismo era un movimento forte e ramificato, comprendeva le società di mutuo soccorso e le cooperative di produzione e lavoro, le università popolari e le case del popolo, i circoli ricreativi e le casse rurali. Era la classe operaia e contadina che si autorganizzava, non solo per “difendersi” dalle asprezze del capitalismo -e quindi garantirsi cure, pensioni, istruzione- ma anche per proporre un proprio modello di società, basato sulla collaborazione solidale.

È l’epoca d’oro delle cooperative, delle casse popolari, del primo socialismo, che puntava, più che “alla presa del Palazzo d’Inverno”, alla costruzione di una società egualitaria, con grande spazio all’autogestione. Sappiamo com’è andata a finire. Il capitalismo si è imposto secondo il modello detto fordista -grandi aziende produttrici concentrate in poche mani, lavoro in fabbrica con mansioni ripetitive- e nelle società europee si è affermato un vasto sistema di sicurezza sociale gestito dallo Stato.

Le società di mutuo soccorso e gli altri sodalizi creati dai ceti popolari, già falcidiati durante il fascismo, si sono spenti o sono stati assorbiti negli apparati statali: è la storia “vincente” del welfare State. Ma qualcosa sta cambiando. Come ha scritto il sociologo Aldo Bonomi nel presentare un’ampia ricerca -intitolata “Voglia di mutualismo”- pubblicata l’anno scorso dalla rivista Communitas, “ragionare sulle pratiche mutualistiche non è solo esercizio di memoria, materia per storici: è un tema che ridiventa attuale”. E non è una riflessione fatta a tavolino, ma l’esito di ricognizioni “sul terreno”: il progressivo arretramento del welfare state, lo sgretolamento dei rapporti di lavoro, la disoccupazione di massa hanno favorito lo sprigionarsi di nuove energie. Nella società riprende quota la voglia di “far da sé”, di auto organizzarsi, di dare risposte autonome ai bisogni che via via emergono e che lo Stato sociale non riesce a soddisfare. Sono gli stessi spazi che le imprese private da un lato e la cooperazione sociale dall’altro hanno cominciato a occupare negli anni scorsi, con esiti ancora discussi ma spesso poco soddisfacenti. I privati hanno forse introdotto elementi di maggiore efficienza nel sistema, ma a costi elevati e col risultato di mercificare i diritti sociali; le imprese sociali hanno spesso disatteso la loro stesso missione, mostrando una debole capacità d’innovazione e una frequente subalternità -burocratica e finanziaria- alle strutture statali.

Il mutualismo porta con sé l’idea forte della partecipazione attiva, del radicamento nella società locale; si propone come fattore di organizzazione sociale. “Oggi che il lavoro è vulnerato, precarizzato e disperso, non si possono pensare forme di associazionismo mutualistico come itinerari verso la ricostruzione di una capacità di coalizione e di rivendicazione nel lavoro?”, si chiede Pino Ferraris, vecchio studioso del mondo del lavoro e del sindacalismo italiano. Si tratterebbe, in sostanza, di superare il modello sindacale, verticistico e statalista, ereditato dal Novecento, per scommettere su nuove forme di organizzazione. È, grosso modo, la stessa visione che anima gran parte, se non tutti i soggetti dell’altra economia. Sono solo sogni?

A giudicare da certi segnali sembra che ci sia qualcosa di più che lo slancio di alcuni visionari o la suggestione suscitata da esperienze consolidate, per quanto circoscritte, come quella delle Mag, esempio vivente di un mutualismo finanziario che sta destando nuove attenzioni anche nell’articolato e vivace mondo delle banche di credito cooperativo. Il piano sanitario integrativo per lavoratori atipici realizzato dalla Cesare Pozzo con tre altre società di mutuo soccorso, è un buon esempio di “mutualismo del XXI secolo”, capace di intercettare nuovi bisogni e di integrare i giovani lavoratori precari in un circuito di solidarietà. Il “pacchetto” prevede quote di adesione individuali (ma è possibile anche l’adesione collettiva) che vanno

dai 250 ai 435 euro all’anno e come prestazione un sussidio giornaliero, in caso di malattia, che oscilla fra i 20 e i 35 euro.

E nuove forme di mutualismo stanno nascendo all’interno di importanti realtà come il “Gino Mattarelli”, un consorzio di consorzi che raggruppa oltre mille cooperative sociali. In quest’ambito è nata da poco Solidalia, società di mutuo soccorso che si rifà esplicitamente alle esperienze ottocentesche, fondata in collaborazione con Confcooperative: l’obiettivo è offrire servizi e sussidi integrativi ai soci, in gran parte legati a realtà cooperative, con un’attenzione particolare ai “non subordinati” e ai disabili. Le prestazioni includono forme di sostegno per situazioni poco o mal tutelate dallo Stato, come la perdita dell’autosufficienza, l’invalidità temporanea per infortunio o malattia, le spese sanitarie extra ricovero.

Pare proprio che il mutualismo stia vivendo una seconda giovinezza. Le sfide più immediate che il “nuovo mutualismo” si trova ad affrontare, si collocano nelle relazioni con il mondo sindacale, alle prese con una “revisione del welfare” che sembra condotta per lo più da altri (la politica e le imprese), e nelle forme di finanziamento che riuscirà a mettere in campo, fra contributi individuali, nuove clausole da inserire nei contratti collettivi di lavoro, risparmio solidale. L’avventura è appena cominciata.



C’era una volta la mutua dei ferrovieri

La mutua Cesare Pozzo conta cento e più anni di storia. Può sembrare una sopravvissuta, ma sta conoscendo una seconda giovinezza: coi suoi 80 mila soci, sedi disseminate in tutte le province d’Italia, quasi dieci milioni di euro erogati nel 2006 e una forte ossatura fatta di personale dipendente e di volontari (almeno cinquecento), la

Cesare Pozzo è oggi un autentico punto di riferimento. Per la tradizione che rappresenta e per l’ambizione di giocare un ruolo di primo piano nel sistema di sicurezza sociale anche nel XXI secolo. Nata nel 1877 fra i ferrovieri, si è aperta a tutti nel ‘93: gli aderenti sono persone a reddito medio-basso, che attraverso la mutua possono affrontare spese sanitarie altrimenti eccessive. Il “pacchetto precari” realizzato insieme con Sma, Insieme salute e Obiettivo salute -tutte società di mutuo soccorso- è la dimostrazione che il mutualismo non è cosa del passato. Giovanni Sica, 59 anni, è il presidente nazionale da meno di due anni: non è un manager, ma un ex dipendente della Circumvesuviana a Napoli, iscritto alla mutua dal 1989 e passato per vari ruoli all’interno dell’organizzazione: collaboratore dal ‘94, poi capo gruppo e presidente regionale in Campania dal ‘98. Sica è convinto che il mutualismo non sia “un retaggio del passato, di grande valore, ma fuori moda. Il progetto storico della Cesare Pozzo -sostiene- è una risposta attuale e vincente in una società come la nostra, che cerca sicurezze senza trovarne e diventa per questi motivi sempre più individualista e indifferente ai bisogni

dei socialmente deboli”. Certo, le mutue si portano ancora addosso una certa patina d’antico ed evocano immagini sbiadite come certe foto dei “pionieri” ottocenteschi, ma a osservare più da vicino questo mondo se ne scopre la vitalità. Giovanni Sica è convinto che il mutualismo abbia un grande futuro. Una prima ragione, spiega, è la capacità di  “intercettare ambienti e gruppi sociali che propongono per se stessi e per l’intera società esigenze diverse, bisogni nuovi. La mutualità in questo senso va intesa come una forma d’organizzazione dei cittadini-utenti che canalizzano proprie risorse aggiuntive private in direzione della politica sociale”.

In aggiunta, nel contesto di uno Stato in difficoltà, che punta a contenere la spesa pubblica e tende a ridurre il sistema di garanzie sociali, “l’essere già un soggetto collettivo di domanda, sostenuta dal solo impegno finanziario del socio-utente, fa del mutuo soccorso uno strumento alternativo non condizionato dai grandi potentati pubblici e privati”.

Il caso degli atipici è esemplare. “I lavoratori precari -spiega il presidente- non hanno alcun tipo di protezione economica nei momenti di maggior bisogno e cioè quando si ammalano e quindi non percepiscono alcun reddito.

La mutualità, in questo campo, ritorna ai valori originari, quando appunto i lavoratori mettevano assieme parte delle loro risorse per redistribuirle al momento del bisogno. Far scoprire ai lavoratori precari, in gran parte giovani, il valore della mutualità significa coinvolgere le nuove generazioni in un progetto di solidarietà molto lontano dai soliti schemi, che vedono i giovani quali soggetti egoisti e fortemente suggestionati dal mercato della pubblicità. Il mondo della mutualità, da parte sua, ha bisogno dei giovani per le idee nuove di cui questi sono portatori”. La questione chiave per l’avvenire è dunque l’innovazione. Il “mutualismo del XXI secolo” deve solcare strade nuove, inserirsi nei meccanismi di cambiamento sociale. “Le società di mutuo soccorso -riprende Sica- sono imprese sociali che vivono nel mercato, ma non sono del mercato: esprimono la ricerca di un mercato etico e responsabile verso la collettività, che lavora con e per le persone. Con l’ausilio anche della politica, il mutualismo può attivare un sistema economico virtuoso di soggetti sul territorio, dalle società di mutuo soccorso alle cooperative sociali, dalle associazioni di volontariato ai sindacati alle aziende, dalle istituzioni ai cittadini, in modo da coniugare la solidarietà con l’efficienza, il mutuo aiuto con una gestione rigorosa e consapevole delle attività economiche”. Lo scenario è quello delle politiche liberiste, che anche in Italia, dice ancora Sica, “hanno prodotto crisi economiche, arretramenti dei sistemi di welfare, e quindi la messa in discussione dei diritti fondamentali di cittadinanza, e infine pericoli per la stessa coesione sociale.

Per restare alla situazione dell’Europa, già si intravedono pericoli ulteriori anche nell’ambito dei servizi essenziali. C’è il rischio che siano lasciati in balìa della competizione globale servizi pubblici, che consideriamo vitali per la stessa democrazia: acqua, trasporti, scuola, sanità. In questo contesto noi della Cesare Pozzo partiamo dal principio della piena tutela del diritto alla salute, per proporre un modello antico di consolidate radici etiche: il mutuo soccorso”.

Il quale, tuttavia, nonostante la nobile tradizione che affonda le radici nelle lotte operaie e contadine del primo capitalismo, è del tutto assente dal dibattito politico e sindacale. Il motivo, per il presidente della più grande mutua italiana, è che la politica “è troppo autoreferenziale e quindi scarsamente interessata a ciò che la società civile esprime. Non escludo che possa esserci anche una vera e propria dicotomia di valori, che fa preferire il libero mercato assicurativo della tutela della salute all’organizzazione di forme di assistenza sanitaria dal basso, più economiche, che -sottolineo- non costano nulla alla collettività ed educano al risparmio e al corretto utilizzo della spesa sanitaria”. Quanto ai sindacati, la perdita di memoria storica è ancora più grave, viste le comuni origini. La rottura si è consumata con l’istituzione del servizio sanitario nazionale. “In quel momento le tradizionali mutue di categoria (artigiani, marittimi, etc.) scomparvero. Erano realtà completamente diverse dalle società di mutuo soccorso: non erano aperte a tutti, non erano rette da principi democratici. Il sindacato, però, finì per mettere tutto sullo stesso piano, senza riuscire a capire, se non in tempi recenti, che le società di mutuo soccorso erano e sono integrative rispetto al servizio sanitario nazionale, e non sostitutive”.

Le cose stanno cambiando e il sindacato ha favorito sia accordi aziendali sia accordi diretti con le società di mutuo soccorso, aprendo i fondi sanitari integrativi al mutualismo. “Si tratta di proseguire su questa strada -insiste Sica-. Coinvolgere le società di mutuo soccorso nella gestione significa estendere le prestazioni anche ai lavoratori che non hanno la forza contrattuale di creare fondi sanitari integrativi e a quella parte della popolazione tradizionalmente esclusa dai benefici della contrattazione aziendale, ossia i pensionati”.



Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.