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Ambiente

Il popolo inquinato

Nessuna legge tutela gli abitanti dei terreni contaminati nelle vicinanze dell’industria, che devono farsi carico della bonifica. Anni fa un progetto immobiliare della Hopa di Gnutti

Tratto da Altreconomia 136 — Marzo 2012

Pierino Antonioli è ancora un agricoltore, ma la sua aziende agricola è “morta” nel 2001. Le mucche, una decina, sono state bruciate nei forni di un inceneritore. I campi abbandonati. E se lui continua a falciare l’erba, è solo per evitare che le pecore di alcuni pastori vadano a brucare. I suoi sette ettari alla periferia di Brescia, una volta coltivati a fieno e granturco, sono pieni di Pcb: policlorobifenili, che la ricerca scientifica mette in relazione con morti per linfomi non-Hodgkin.

La Caffaro è la fabbrica chimica alle porte della città lombarda: ha scaricato per decenni, fino al 1984, nelle rogge intorno a Brescia. “Sotto il reparto ‘Pcb’, fino a 35 metri, il terreno è impregnato” spiega Marino Ruzzenenti, storico, ambientalista e autore del libro Un secolo di cloro e… Pcb. Storia delle Industrie Caffaro di Brescia, che nel 2001 contribuì a far scoppiare il “caso Caffaro” e ha far iscrivere l’area nell’elenco dei Siti d’interesse nazionale (Sin), aree inquinate da bonificare. “La concentrazione di Pcb è pari a 60 grammi per chilogrammo -racconta Ruzzenenti-: sessanta milioni di volte quella che permette di classificare quel terreno come inquinato”. 
Pierino Antonioli fa parte del “popolo inquinato”, per cui “non esiste una legislazione di tutela -spiega Ruzzenenti-: se si dovesse bonificare questo terreno, dovrebbe farsene carico lui stesso. Non può nemmeno vendere la casa, o il terreno: chi la compra, se nell’atto di vendita, registrato dal notaio, dev’essere registrato l’onere della bonifica?”.
Secondo il Comune di Brescia, l’inquinamento causato dalla Caffaro interessa 210 ettari di suolo e sottosuolo, 2 mila ettari di acque sotterranee e circa 45 chilometri di rogge. La bonifica è ferma: “La Caffaro oggi è in liquidazione. Qui c’è una responsabilità del Comune di Brescia, che avrebbe potuto intervenire quando nei primi anni Duemila l’impresa era della Hopa, la finanziaria bresciana di Enrico ‘Chicco’ Gnutti”. Tra fusioni e incorporazioni, oggi la Caffaro fa parte del “Gruppo Snia in amministrazione straordinaria”, mentre Hopa scorporò e valorizzò un’altra imprese del gruppo, la Sorin: “Hanno scorporato Sorin da Snia, e hanno ‘buttato’ quest’ultima, che era quotata in Borsa. Sull’area da sempre occupata dalla chimica, invece, volevano fare una grande operazione urbanistica”.

Un unico intervento, che avrebbe dovuto coinvolgere anche il vicino “comparto Milano”, ovvero l’ex area industriale metalmeccanica di via Milano, a Brescia. “Dopo la bonifica, per il momento hanno realizzato solo il centro commerciale ‘Freccia Rossa’. Ma avevano immaginato una sola operazione di riqualificazione. Dopo che è scoppiato il caso, oggi sappiamo che il sito della Caffaro non è più utilizzabile”. Troppo inquinato. Il ministero dell’Ambiente ha stanziato 6 milioni e mezzo di euro. Per un po’, serviranno a pompare 10 milioni di metri cubi di acqua all’anno fuori dalla falda, per impedire l’inquinamento dei pozzi che alimentano l’acquedotto bresciano. —

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