Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Opinioni

Il Pnrr non riforma la tassazione, ma non è una sorpresa

Le decisioni sono state prese all’interno di un circolo ristretto e con il contributo mai chiarito della società McKinsey. La rubrica a cura del prof. Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 238 — Giugno 2021

Tra le riforme necessarie che avrebbero dovuto essere quantomeno richiamate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) figurano due misure fiscali non rinviabili. La prima è costituita da un’imposta del 30% sui profitti delle multinazionali pagata al Paese in cui vengono realizzati tali profitti e non sulla base della presenza fisica della multinazionale stessa. La seconda, ipotizzata anche dal Segretario al tesoro Usa, Janet Yellen, è quella di portare al 40% il prelievo sui benefici realizzati con la compravendita di titoli finanziari, legandolo al reddito del beneficiario.

In questo senso nel Piano per i fondi del cosidetto “Recovery Fund” almeno qualche accenno alla riforma dell’imposizione finanziaria e sulle big tech poteva essere inserito. Ma, poi, pensandoci meglio, era difficile che ciò avvenisse. Il ruolo, mai troppo definito, della società di consulenza McKinsey nella versione finale del medesimo Piano rendeva assai improbabili soluzioni siffatte. La sede legale di McKinsey Italia si trova in Delaware e la società non fornisce conti pubblici. Sul “Registro trasparenza” del ministero per lo Sviluppo economico risultano pochissime indicazioni relative al 2015: fatturato e costi sono indicati pari a zero. Vale solo la pena di ricordare che nel maggio di quell’anno McKinsey & Company è stata scelta come capofila degli advisor industriali per il processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato Italiane.

Un’altra questione rispetto alla quale il Recovery, nella parte dedicata alla riforma fiscale, è risultato assai lacunoso riguarda la pressione sul lavoro. In Italia, come del resto in Francia e in Germania, il peso del fisco sul lavoro è davvero molto alto. Nel caso di un lavoratore single la somma di tasse e contributi pesa per il 46%, una percentuale scesa leggermente rispetto al passato ma sempre molto alta. La media Ocse è, infatti, al 34,6%. Nello specifico poi della composizione del costo del lavoro, in Italia, il 24% del prelievo è costituito dai contributi delle imprese, il 7,2% da quelli dei lavoratori e il 14,8% dall’imposizione sul reddito. È chiaro che con una struttura fiscale concepita sul prelievo nei confronti del lavoro, rispetto alle rendite (di ogni genere da quelle finanziarie a quelle immobiliari) è molto difficile perseguire l’equità sociale e la riduzione delle disuguaglianze.

Il problema più generale però è costituito dal fatto che, nel caso del Piano di ripresa e resilienza, le riforme in tema di pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione e fisco sono state proposte senza alcuna discussione parlamentare né politica. Certo alcuni aspetti di tali ipotesi di riforma sono da tempo oggetto di riflessione pubblica, ma la loro formulazione compiuta è frutto della decisione del perimetro ristretto di figure costruito dal premier Mario Draghi.

46% la percentuale di tasse e contributi pagati in Italia da un lavoratore single.
La media Ocse è del 34,6%

In materia di pubblica amministrazione, per esempio, è evidente la volontà di dar vita a strutture, temporanee e selezionate in modo informale, di sostegno agli apparati esistenti. Una sorta di messa sotto tutela a cui si associa un importante alleggerimento dei meccanismi di affidamento e di gara. In sintesi, in una quarantina di pagine si inseriscono diversi elementi di ispirazione tecnocratica che sono fioriti nell’ambito di una dimensione tipica di una realtà presidenziale, e marcatamente votata alla concorrenza, piuttosto che in una democratica prospettiva parlamentare. Una dimensione in cui l’obiettivo di riduzione delle disuguaglianze appare troppo debole, nonostante la vasta mole di interventi pubblici previsti.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati