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Il pendolino della storia – Ae 70

Nelle storiche officine Savigliano, in provincia di Cuneo, nascono treni cinesi. Siamo andati a vedere: su 60 treni 3 sono made in Italy, 6 sono spediti smontati e gli altri saranno totalmente made in China. Storia di un incredibile trasferimento…

Tratto da Altreconomia 70 — Marzo 2006

Nelle storiche officine Savigliano, in provincia di Cuneo, nascono treni cinesi. Siamo andati a vedere: su 60 treni 3 sono made in Italy, 6 sono spediti smontati e gli altri saranno totalmente made in China. Storia di un incredibile trasferimento di tecnologia

Non avrei mai immaginato di veder nascere un treno. Invece, indossati occhiali e caschetto entro nelle officine di Savigliano, nel cuneese. Dentro c’è il Pendolino cinese: prima della fine del 2006 il treno dovrebbe uscire dallo storico stabilimento della Fiat Ferroviaria, oggi controllato dalla francese Alstom.

Costruito con alluminio svizzero e manodopera italiana, è il frutto di un contratto di partnership tra l’azienda europea -leader mondiale nel settore dei trasporti ferroviari: controlla il 18 per cento del mercato- e la Changchun Railway Company (con la regia del ministero delle Ferrovie della Repubblica Popolare cinese).

Un accordo singolare, che mi ha spinto fino a questa cittadina, 50 chilometri a Sud di Torino. La “commessa Cina”, firmata nel 2004, prevede la realizzazione di sessanta treni: tre usciranno da Savigliano pronti per viaggiare sulle nuove linee per l’alta velocità in costruzione nel Paese asiatico; sei verranno fabbricati (in tutte le loro componenti) in Italia, ma assemblati in Cina; gli ultimi cinquantuno, invece, saranno realizzati completamente negli stabilimenti della Changchun Railway Company, a Changchun, una città di cinque milioni di abitanti nel NordEst della Cina.

Per Alstom un business da 620 milioni di euro; per i cinesi la possibilità di accedere alle tecnologie europee (il contratto prevede il trasferimento del know-how) per i treni che verranno costruiti localmente.

Do ut des per dirla in latino: un gioco in cui tutti gli attori in gioco pensano di guadagnarci qualcosa.

Un accordo perfettamente legale di cui è difficile, però, prevedere la portata (o almeno ciò che potrebbe comportare nel lungo periodo). 

“Contiamo di trasferire tecnologie per poi poter riacquistare dalla Cina componenti a più buon mercato” mi spiega Michele Viale, seduto al tavolo delle riunioni del suo ufficio di direttore della main lines not articulated platform di Alstom. Fa l’esempio dell’alluminio, una delle voci di spesa più alte quando si parla di treni: oggi arriva dalla Svizzera ma se in Cina ne producessero di adeguato agli standard di sicurezza e qualità europei, sarebbe senz’altro più conveniente.

“La Cina è un’economia pianificata -aggiunge l’ingegner Leonardo Solera, project manager della commessa cinese-: il Governo controlla e imposta il trasferimento di know-how, e noi abbiamo il compito di mettere il partner locale in condizione di produrre secondo gli standard europei”.

Il mercato dei componenti invece è già aperto: Alstom sta promovendo il trasferimento di tecnologie anche tra i propri fornitori, almeno quelli dei componenti più importanti. “Contiamo di avere presto fornitori cinesi”, commenta Solera.

A Savigliano c’è un gruppo di persone che segue il trasferimento di tecnologie e in Cina ci sono già 50-60 persone che lavorano a tempo pieno sul progetto. Ogni quindici giorni, massimo un mese, ci sono degli incontri per scambiare informazioni. Vengono usati anche dei database comuni, con accesso riservato a coloro che lavorano al progetto: un treno è composto da seimila componenti e ci sono seimila codici da scambiare.

Per la Cina lo sviluppo di questo progetto rappresenta un salto tecnologico importante, ma secondo i manager di Alstom ci vorranno ancora una decina di anni perché lì si arrivi ai livelli dell’industria europea. “Abbiamo dubbi sulla loro attuale capacità di progettazione -interviene Viale-, quella per la quale servono le idee. Quando invece ricevono un progetto già definito, allora i cinesi hanno prestazione incredibili e una capacità produttiva infinita”.

Ecco la chiave di volta: il Governo cinese vuole arrivare -e a breve– a sviluppare progetti in autonomia. Lo dimostra anche il recente accordo (del dicembre 2005) firmato con Airbus, il colosso europeo dell’aeronautica: una parte dei 185 aerei ordinati da Pechino -il valore complessivo della commessa è di 9,7 miliardi di dollari- finiranno per essere costruiti in Cina.

Le tecnologie legate alla costruzione di treni ed aerei sono le più sofisticate al mondo ed è qui che l’industria europea si gioca la sua capacità di rimanere all’avanguardia: nella capacità di gestione del mezzo meccanico e di software elettronici; nei sistemi di sicurezza e nel design.

“La nostra industria -ritiene Viale- può solo essere sempre un passo avanti, cercando di progettare il nuovo mentre trasferiamo tecnologie ‘vecchie’”. Fintanto che i cinesi non ci arrivano da soli.

Solera racconta che è rimasto impressionato dal modo di operare del proprio partner: a Changchun lavorano 8 mila persone, divise su tre turni per sette giorni alla settimana.

Ad una delle prime riunioni di coordinamento parteciparono 85 persone (quelli di Alstom erano in 6), dandosi il cambio di continuo: quando uno faceva una domanda, se la risposta non era soddisfacente dopo mezz’ora qualcun altro ripeteva la stessa domanda.

Fino a quattro volte, finché la risposta data non appariva soddisfacente. “Potrebbero continuare a trattare per 24 ore, senza una pausa”, racconta.

Non sta scherzando: le relazioni con il partner vivono di chiaroscuri.

I cinesi sono molto determinati, quasi aggressivi nelle trattative: “Ci sono stati dei problemi in alcune fasi del progetto -ricorda Solera-. Allora loro hanno alzato il telefono e chiamato direttamente il primo ministro francese”.

Una difficoltà sono i tempi di realizzazione: era stato chiesto ad Alstom di sviluppare il prodotto in tempi impossibili in Europa. In Cina si lavora 7 giorni su 7, 24 ore su 24, hanno dovuto spiegar loro che da noi non era possibile.

A Pechino hanno pianificato la costruzione di 1.000 treni per l’alta velocità in 10 anni; per fare un paragone, a Savigliano adesso si stanno costruendo i nuovi treni regionali “Minuetto”. Dallo stabilimento (che impiega circa 900 operai) ne escono 4 al mese: ci vorranno un paio d’anni

per completare la commessa di cento treni di Trenitalia.

E non sono certo pendolini.

All’unisono, Solera e Viale assicurano che quella cinese è una commessa molto importante per Asltom e per lo stabilimento di Savigliano. Da un punto di vista strategico e politico. Molto più strategica di quella Trenitalia (per “Minuetto” e 29 nuovi pendolini), nonostante questa sia economicamente più rilevante.

“Per l’azienda è un’esperienza unica –assicura Viale–. Al di là dell’aspetto economico, è interessante per crescere professionalmente, per la formazione del personale e, anche, da un punto di vista culturale. Affrontiamo processi nuovi che non sono affatto semplici, come quello di spedire treni smontati. E poi è fondamentale, per il futuro del sito, la scelta di Alstom di fabbricare questi treni in Italia”.

La produzione a Savigliano (i 3 treni e i 6 “kit”) dovrebbe terminare entro la il 2007. Poi il tutto si sposterà in Cina.

Solera mi racconta che in uno dei suoi tanti viaggi tra l’Europa e l’Asia ha incrociato in aereo il manager di un’importante azienda italiana: aveva concluso con il Governo cinese il contratto d’esclusiva per la fornitura delle pizze surgelate durante le Olimpiadi di Pechino 2008.

La Cina corre e dietro l’angolo c’è il rischio che ci rimangano, davvero, solo i surgelati.

Un colosso multinazionale

Asltom (www.alstom.com) è uno dei più grandi gruppi mondiali nel settore delle infrastrutture per l’energia e i trasporti: produce turbine e centrali idroelettriche, reti di trasmissione e distribuzione per l’energia elettrica, treni di superficie e metropolitane.

Il gruppo impiega 118 mila persone in 70 Paesi eppure è un nome sconosciuto ai più.

Nell’estate del 2003 il gruppo era stato sull’orlo della bancarotta, salvato in extremis dal Governo francese dopo un duro scontro con la Germania all’interno della Commissione europea. La ripresa è stata garantita da un ingente investimento dello Stato (che nel frattempo è diventato il principale azionista con il 21% delle quote) e da un prestito bancario di 7,4 miliardi di dollari.

Il settore Transport di Alstom detiene il 18 per cento della quota di mercato mondiale.

In Italia, dopo l’acquisizione di Fiat Ferroviaria completato nel 2002, impiega 2.600 persone in sette siti produttivi (tra cui Savigliano e Sesto San Giovanni).

Al centro del business delle dighe

Uno dei business principali di Asltom è la costruzione di grandi dighe.

Per questo il colosso multinazionale francese, ormai a maggioranza di capitale pubblico, è stato al centro di polemiche da parte di alcune organizzazioni di difesa dei diritti umani.

In Turchia Asltom, insieme a un consorzio di imprese, si è aggiudicata l’appalto per la costruzione della diga di Yusufeli, in Kurdistan. Un affare da 750 milioni di dollari che costerà la casa ad almeno 15 mila persone.

In Sudan l’azienda partecipa alla costruzione della centrale idroelettrica di Merowe/Hamadab: una volta costruita la diga sulla quarta cateratta del Nilo, questa inonderà un’area di 476 chilometri quadrati, causando l’allontanamento di almeno  50 mila persone.

Signori e affari in carrozza

Camminando nella fabbrica Alstom seguo tutta la storia di un “Minuetto”. Dalle lastre d’alluminio saldate a formare le quattro pareti -due laterali, la base e il tetto-, all’ultima fase, il collaudo fatto da fermo in uno dei capannoni; passando per il montaggio e l’assemblaggio: in tutto cinque o sei grandi capannoni proprio alle spalle della stazione di Savigliano. Dopo il collaudo c’è una corsa di prova di 200 chilometri con il committente (Trenitalia) e il treno è pronto per “prendere servizio”.

Savigliano è un pezzo di storia delle ferrovie italiane:qui nel 1970 è nato il primo Pendolino, progettato da Fiat.

La famiglia Agnelli ha controllato lo stabilimento fino al 2002, quando l’azienda torinese decise di uscire dal ramo ferroviario, cedendo in due tempi -ottobre 2000 e aprile 2002- il 100% di Fiat Ferroviaria alla francese Alstom (incassando circa 300 milioni di euro); oggi nelle officine lavorano un migliaio di persone: a mezzogiorno li vedo sciamare dal cancello in bicicletta per la pausa pranzo (che è di 45 minuti per tutti, dal manager all’operaio).

Tra il 1853 e il 1869 Savigliano è stata la sede sella Società Alta Italia, che costruì e gestì la prima linea Cuneo-Torino.

Nelle officine si riparavano le locomotive e le carrozze merci e passeggeri.

Più tardi, nel 1880, nacque la Società Nazionale delle Officine di Savigliano (“la Savigliano”), che nel 1922 produsse la sua prima locomotiva elettrica e continuò a crescere per tutto il periodo bellico e poi nel secondo dopoguerra, grazie alle importanti commesse

del Governo italiano impegnato

nelle ricostruzione e ammodernamento del servizio ferroviario.

Negli anni 60 arrivano prima il boom e poi il tracollo: “la Savigliano” non seppe coprire i costi necessari alla realizzazione di alcuni dei suoi progetti più importanti, la costruzione della locomotiva più veloce d’Europa (la E.444) nel 1966 e del viadotto sul fiume Sfalassà dell’autostrada Cosenza-Reggio Calabria e fu così acquistata da Fiat. 

Il resto è storia recente.

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