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Il parco dopo la caserma

Le “Giardiniere” immaginano di riutilizzare l’ex Piazza d’Armi di Milano, trasformandola in un parco agro-silvo pastorale. Il loro progetto di riconversione, però, non coincide con le idee del Comune, che nell’area di via delle Forze Armate prevede la realizzazione di un nuovo quartiere: per il Pgt quello è un  Ambito di trasformazione urbana —

Tratto da Altreconomia 165 — Novembre 2014

A Milano c’è un parco nascosto, che nemmeno i suoi cittadini conoscono. È in periferia, e il suo perimetro è delimitato da un muro di cinta che avvisa: “Zona militare, limite invalicabile”.
In fondo a via delle Forze Armate, a Nord-ovest della città, l’ex Piazza d’Armi è oggi un’immensa area wild, dove la natura  selvaggia ha ripreso possesso degli spazi che per decenni hanno ospitato la scuola guida per carri armati.
Attraverso un varco, “le Giardiniere” mi accompagnano all’interno. Camminando lungo i sentieri e le carrabili, in mezzo a quello che è ormai un bosco, raccolgo il progetto di questo gruppo di donne, che hanno scelto di darsi lo stesso nome di un gruppo di Carbonare attive a Milano nei primi decenni dell’800: vogliono che qui nasca un parco agro-silvo-pastorale, che preveda anche un risvolto didattico, culturale e scientifico. Il Consiglio di Zona 7, referente politico della circoscrizione in cui ricade l’ex Piazza d’Armi, si è detto favorevole al progetto, con una delibera consiliare del marzo 2014 in cui incoraggia le Giardiniere invitandole ad “andare avanti”. Fabrizio Tellini, il presidente, firma una lettera in cui scrive di condividere il progetto per le “finalità che esso persegue nell’indirizzo ‘agro-produttivo’ di una vasta area”.
Per il Comune di Milano, invece, l’area della ex Piazza d’Armi è un ATU, un Ambito di trasformazione urbana che insiste su una superficie complessiva di oltre 600mila metri quadrati, che oltre all’area verde -che ne occupa quasi la metà- comprende due zone edificate limitrofe, gli ex Magazzini militari di Baggio e la Caserma “Santa Barbara” di piazzale Perrucchetti.
Secondo il Piano di governo del territorio (PGT) della Città di Milano, il 50 per cento dell’area è destinata a restare “verde”, mentre l’altra metà potrà essere edificata, realizzando immobili per una superficie massima di 430mila m2. Ciò significa che per ogni metro quadrato, si potranno costruire edifici per 0,7 metri quadrati, che facilmente non andranno ad occupare ogni spazio disponibile, ma saranno “accorpati” in condomini o mini-grattacieli a più piani, com’è possibile vedere in alcune simulazioni elaborate dagli studenti del Politecnico di Milano, impegnati in workshop sulla riqualificazione delle areee militari dismesse della città. 
Durante il mese di agosto, il Comune di Milano ha siglato un Protocollo d’intesa con il ministero della Difesa e l’Agenzia del Demanio, con l’obiettivo di una “razionalizzazione” e “valorizzazione” di alcuni immobili militari presenti nel territorio comunale. Tra i beni oggetto del Protocollo ci sono anche la Piazza d’Armi e i Magazzini di Baggio, e le parti si sono impegnate a raggiungere entro dodici mesi  un Accordo di programma che miri alla dismissione e valorizzazione dei beni, secondo quando indicato dal PGT o -anche- in variante. Sul processo in corso s’inserisce anche il decreto Sblocca-Italia, che all’articolo 26, dedicato a “Misure urgenti per la valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati”, prevede per gli immobili della Difesa la possibilità che Demanio e ministero “possono proporre all’amministrazione comunale un progetto di recupero dell’immobile a diversa destinazione urbanistica”.

Ciò che accadrà alla Piazza d’Armi di Milano, così, può essere visto come un prequel di un film destinato a girarsi in tutta Italia nei prossimi anni.
Il progetto delle Giardiniere, cioè, stride con gli atti del Comune di Milano, che s’è impegnato formalmente a “porre in essere le attività di propria competenza per la valorizzazione dei beni di proprietà dello Stato”. Se il presupposto dell’intervento è la dismissione, infatti, la riconversione della ex area militare (e pubblica) per fini produttivi in ambito agricolo e sociali non potrà (mai) avvenire. Eppure il gruppo de “Le Giardiniere” nasce all’interno dell’apparato comunale, come articolazione del Tavolo di lavoro Salute istituito dalla Commissione Pari Opportunità, presieduta dalla consigliera Anita Sonego. “Abbiamo inteso fin da subito il termine ‘salute’ in senso lato, come condizione di benessere -racconta Maria Castiglioni, parte delle Giardiniere-. Accanto al gruppo di lavoro sui consultori (vedi Ae 163), il cui lavoro era centrato sui servizi sanitari, noi abbiamo allargato lo sguardo alla buona gestione dei beni comuni. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la ‘salute’ va intesa come promozione  del benessere, piuttosto che cura della malattia. In questa accezione, la salute è allora da collegarsi strettamente  alle nostre condizioni di vita che a loro volta  dipendono da come si gestiscono aria, acqua, terra e cibo”. 
Il lavoro del Tavolo è partito nel novembre del 2011, e per il primo anno è stato finalizzato a identificare che cosa voglia dire, oggi, vivere in una città salutare. “Per questo -racconta Maria- abbiamo contattato delle amministratrici perché ci raccontassero pratiche virtuose sulla gestione dei beni. Tra le persone più significative, senz’altro, c’è stata Lucrezia Ricchiuti, che allora era vice-sindaca di Desio (MB) e oggi è senatrice PD, che ci ha raccontato la revisione del PGT del Comune brianzolo, con la cancellazione di previsioni urbanistiche per 1,5 milioni di metri quadrati. È stato allora che abbiamo immaginato un progetto che legasse città e attività agricola, e pensando a un grande lotto di terreno non antropizzato a Milano abbiamo individuato quello di Piazza d’Armi”.

Dopo aver chiarito un obiettivo, il Tavolo di lavoro ha avviato un processo di consultazione, “e di relazione” aggiunge Maria, coinvolgendo “testimoni significativi attivi in ambiti liminari rispetto al nostro progetto, e cioè le agricoltrici delle ‘Donne in campo’ della CIA e di Coldiretti, alcune contadine delle cascine del Parco agricolo Sud, ma anche paesaggisti, territorialisti, il Distretto di economia solidale rurale del Parco agricolo Sud, Slow Food, Legambiente, Claudia Sorlini, che presiede il Comitato scientifico per Expo, le mamme della refezione scolastica milanese. Abbiamo passato più di un anno a parlare, ad incontrare”.
Il nome de “Le Giardiniere” è “evocativo dell’amore per i giardini, che c’inserisce nella genealogia delle donne coraggiose e lungimiranti che fin dall’Ottocento desiderarono una Milano libera e giusta” spiega Maria.
Che aggiunge: “Abbiamo scelto di chiamarci così anche per creare uno scarto simbolico: non siamo solo una realtà all’interno del Comune ma anche altro, ‘le Giardiniere’ del Tavolo salute”.
Con il Comune, allo stato, il rapporto è dialettico, e non sempre le posizioni sono vicine. “Nel luglio del 2013 abbiamo sentito l’esigenza di rendere pubblico il nostro progetto. La vice-sindaca e assessore all’Urbanistica del Comune, Ada Lucia De Cesaris, all’inizio non ha preso in considerazione la nostra proposta. ‘Se volete uno spazio, posso darvelo altrove’ -racconta Evi Parissenti, esperta di comunicazione, un’altra Giardiniera-. Dopo aver ricevuto il sostegno del Consiglio di Zona, però, abbiamo fatto un altro tentativo: l’11 marzo 2014 abbiamo potuto incontrare nuovamente la vice-sindaca, che si è detta disponibile a scrivere una lettera al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per chiedere l’area”.

Nella lettera indirizzata a Pinotti,  De Cesaris parla di “affidamento provvisorio” di una porzione dell’area, per permettere la realizzazione di un’iniziativa per la città e il quartiere, che permetta di fruire di un’area “sino ad ora interclusa”, con “un progetto di cura, con interventi d’orto e coltivazione leggera”. Il realismo, però, rimane, dato che -specifica la vice-sindaca del Comune di Milano -una eventuale convenzione potrebbe prevedere l’obbligo di restituzione dell’area “nell’eventualità dell’acquisizione da parte di terzi della stessa”.
La lettera è datata 17 marzo 2014. Cinque mesi dopo, Pinotti e De Cesaris hanno firmato il protocollo con l’Agenzia del Demanio, dove l’orizzonte resta quello della valorizzazione prevista dal PGT.
Per questo, dopo l’estate, le Giardiniere hanno avviato un tavolo di lavoro per definire il master plan, che verrà presentato nel corso di un incontro pubblico in programma a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, il 12 novembre.

Per loro, il parco agro-silvo-pastorale non è transitorio: “Abbiamo una nostra visione di cosa significhi sviluppo urbano -dice Maria-, e anche noi abbiamo il nostro PGT, inteso come Progetto Generativo di Trasformazioni”.
A grandi linee, si tratta di lasciare un’alternanza di zone coltivate e aree umide, quelle naturali dei due laghetti che si formano in inverno all’interno della ex Piazza d’Armi. “Per quanto riguarda l’acqua, pensiamo di poter canalizzare quella piovana, usando queste aree come bacini di raccolta, senza pensare per il momento a portare acqua dai fontanili del parco delle cave” racconta Maria.
La zona coltivabile, invece, dovrebbe essere quella lungo via delle Forze Armate, che attraverso un cancello sarebbe facilmente fruibile da tutto il quartiere. 
“Intanto, la Protezione Civile di A2a ci ha promesso un aiuto per pulire l’area. Potrebbe diventare anche una buona occasione per farne un sito di Expo diffusa, dal momento che  il nostro progetto ha ottenuto il patrocinio del Comitato Scientifico Expo”.

Daniele Colla è un giovane garden designer, e insieme ai colleghi (architetti, agronomi, dottori in Scienze forestali) dello studio di progettazione architettonica e paesaggistica GreenArk (greenarkstudio.it), sta aiutando le Giardiniere a redarre il master plan. Ha 32 anni, ed è entrato in contatto con il gruppo grazie a un post su Facebook. “Vorremmo fare in modo che si crei una sorta di riserva naturale, che possa diventare anche un ambito di studio per capire le dinamiche che hanno portato a quel tipo di rinaturalizzazione in un’area urbanizzata. All’interno dell’ex Piazza d’Armi ci sono aree in cui nidificano fagiani, conigli e anatre selvatiche, nonché anfibi tutelati dalle leggi faunistiche”. Daniele spiega che nel loro lavoro si stanno attenendo alle indicazioni delle Giardiniere, che hanno chiesto di immaginare interventi che “traccino nel terreno il minor numero possibile di segni, anche per quanto riguarda le vie di comunicazione interne, l’area agricola e quella adibita ad orti urbani, dove sarà possibile inserire strutture non fisse ma temporanee, in legno”.

“Costruire l’ennesimo quartiere non serve”
ha ricordato Maria durante la visita all’ex Piazza d’Armi. E basta girarsi intorno, a 360 gradi per capire il perché: oltre ad alcuni edifici pubblici, ovunque si volga lo sguardo, ci sono appartamenti. “Il ‘verde’ che è scritto nel Piano di governo del territorio del Comune sarebbe un parco di servizio, fruito solo da chi abiterà nelle case che verrebbero costruite. Difficilmente aperto all’esterno, non sarebbe un parco ‘permeabile’, com’è scritto nelle carte” conclude Daniele.
L’unica valorizzazione reale, così, è quella proposta dalle Giardiniere. Che a Milano vogliono regalare un altro polmone verde, un vero parco, come quello -vicino all’ex Piazza d’Armi- delle Cave. —

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