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Il parco dentro Caserta

A due passi dalla Reggia c’è un’area di 33 ettari che dal 2001 un comitato vorrebbe trasformare in polmone urbano: è l’area dell’ex Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati dell’esercito (Macrico), dismessa dal ministero della Difesa e attualmente di proprietà dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (Idsc). Nella città campana è in corso l’approvazione del nuovo Piano urbanistico comunale

Tratto da Altreconomia 168 — Febbraio 2015

Al centro di Caserta, a meno di un chilometro dalla Reggia, c’è un parco nascosto alla città da un muro di cinta. È l’area dell’ex Macrico (Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati), dismessa dal ministero della Difesa e attualmente di proprietà dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (Idsc). Dal cancello di accesso, chiuso da anni, si intravedono alberi, qualche edificio e filo spinato. L’ex Macrico occupa uno spazio di 33 ettari sul quale i cittadini organizzati nel Comitato Macrico Verde (www.macricoverde.altervista.org) vogliono un parco verde.
Sono passati 14 anni dalle prime iniziative civiche ma la situazione è rimasta pressoché identica. E nemmeno il preliminare di Piano urbanistico comunale (Puc)  approvato il 5 dicembre 2014 ha apportato modifiche sostanziali. La “questione Macrico” è emblematica per Caserta. “Basti pensare che -sostengono dal Comitato- rispetto a quanto previsto dalla normativa regionale (10 metri quadrati per abitante), la città di Caserta possiede solo 2 mq/ab di verde e, ad eccezione del parco monumentale della Reggia, non ha un vero parco urbano”.
Per comprendere meglio la vicenda è necessario fare un passo indietro al gennaio 2001, quando è iniziata la battaglia per il Macrico Verde. È Maria Carmela Caiola, portavoce del Comitato e presidente di Italia Nostra a riavvolgere i fatti: “L’obiettivo principale che si è posto il Comitato è stato quello di impedire che nell’area fossero costruite residenze”.
A questo aderiscono nel frattempo 40 associazioni, dal Wwf all’Azione Cattolica ai centri sociali, oltre a singoli cittadini. È il marzo 2001 quando il Comitato dà il via ad una raccolta di firme sulla proposta di destinazione dell’area a verde pubblico, zona F2 del vecchio Piano regolatore, cioè “territorio inedificabile destinato alla realizzazione di giardini pubblici, con i relativi arredi fissi richiesti per la loro più completa fruizione”. In breve le firme raccolte sono oltre 10mila, e consegnate successivamente all’allora presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, al sindaco di Caserta, al Prefetto e all’Idsc. Al centro della questione c’era (ed è rimasto) il riutilizzo degli edifici esistenti in muratura che coprono una volumetria pari a 230mila metri cubi. La proposta del Comitato è semplice: il recupero delle costruzioni in muratura risparmiando alla cubatura qualsiasi altro riutilizzo di diversa forma. Il progetto presentato allora prevede la realizzazione di un orto botanico in collaborazione con l’Università, il Festival internazionale dei giardini, un museo di arte contemporanea, un’area sportiva e uno spazio espositivo di prodotti tipici del territorio. Tutte le strutture sarebbero state sistemate recuperando il costruito esistente, senza ulteriori edificazioni. Al Comune -che si dice impossibilitato ad acquistare l’area per scarsità di risorse- il Comitato risponde con la campagna di sottoscrizione pubblica “Regalati il verde: comprati il Macrico!”, che gli vale nel 2005 il Premio “Buone Pratiche nei servizi di pubblica utilità – Roberto Villirillo”, promosso da Cittadinanzattiva. Nel 2006 il Comitato riesce a ottenere la riapertura del parco, accogliendo più di 5mila persone. Banchetti nelle piazze, bandiere sui balconi e dichiarazioni di intellettuali quali Bernardo Rossi Doria e Dacia Maraini caratterizzano la mobilitazione di quegli anni. Parallelamente, però, l’amministrazione comunale continua a riproporre progetti di riutilizzo dell’area che il Comitato ritiene non compatibili con l’idea del parco; dal canto suo, l’Idsc ribadisce l’interesse al profitto -quantificanto in un valore di alienazione di circa 40 milioni di euro-.

Ma nel 2009 il Comitato ottiene un altro risultato importante: la Direzione regionale per i Beni culturali, infatti, pone tre vincoli sull’area, impedendo così nuove volumetrie e consentendo solo la riqualificazione di quelle esistenti. È allora che l’Idsc ricorre al Tar per chiedere l’annullamento della pronuncia della Direzione. Anche la sentenza più recente (novembre 2014), però, riconosce piena legittimità ai vincoli e definisce il Macrico come area di “interesse particolarmente rilevante”, mettendolo al riparo da nuove edificazioni.
Il punto è che un anno prima dell’ultima parola della giustizia amministrativa, nel 2013, l’attuale sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, ha annunciato di voler realizzare nell’area la Città dello Spazio, sull’onda di un modello realizzato a Tolosa, in Francia. “Il nostro obiettivo è di realizzare progetti che creino posti di lavori e che portino visitatori -è la tesi del sindaco-. Qualcosa di innovativo, come ci è sembrato il progetto dell’Aerospazio proposto dal CIRA (Centro Italiano Ricerche Aerospaziali) e dal Distretto aerospaziale della Campania. Prevede un’area verde di accesso che parte dal livello stradale e progressivamente si alza. In fondo ci saranno astronavi dimostrative, sotto l’area verde ci saranno uffici e centri di ricerca, un auditorium, alberghi e strutture ricreative, ma niente di impattante”. Per sostenersi, il progetto guarda sia a finanziamenti pubblici che privati. “Quello di cui siamo certi -le parole di Del Gaudio- è che non si costruiranno residenze e verranno rispettati i volumi”. Chi si oppone al progetto del Comune è il Comitato. Nessuna pertinenza rispetto al tessuto urbanistico di Caserta e mancanza di un fine sociale, sono le motivazioni, sostenute poi dal fatto che lo stesso progetto potrebbe essere realizzato riqualificando una delle numerose cave dismesse del territorio (317 in provincia secondo il Rapporto Cave Legambiente 2014).

Nell’aprile 2014 la Giunta comunale torna a deliberare a proposito di Macrico, orientandosi apparentemente verso la soluzione proposta dal Comitato, che però solleva alcuni punti critici. In particolare, ciò che più preoccupa, è il riferimento alla concepita possibilità di trasformazione del costruito esistente. Ed è a tale atto che fa riferimento il documento strategico che accompagna il preliminare di Puc del 5 dicembre citato all’inizio dell’articolo. “Nonostante la parola Macrico compaia 16 volte in 43 pagine -spiega Francesco Apperti, consigliere comunale di Speranza per Caserta– se ne parla solamente in termini storici e si rimanda alla delibera di aprile, qualificandola semplicemente come area di interesse pubblico-parco urbano”. Nello stesso documento, inoltre, si parla di “riammagliamento” dell’area con la struttura urbana esistente. “Ciò significa -spiega Maria Carmela Caiola- che vogliono trasformare i percorsi presenti all’interno in strade carrabili da ricollegare alle principali arterie della città. Questo comporterebbe lo smembramento del Macrico e, soprattutto, sarebbe il primo passo verso nuove edificazioni”. Ma per l’amministrazione comunale il punto fondamentale resta la proprietà, ancora dell’Idsc, e la sostenibilità economica dei progetti presentati. Il progetto del Comitato, secondo la valutazione del sindaco, non sarebbe infatti sostenibile. Analisi errata secondo Comitato, convinto della potenzialità attrattiva del Festival dei giardini. “Il giardino contemporaneo -prosegue Caiola- completerebbe l’offerta culturale attuale costituita dal giardino settecentesco e romantico della Reggia e dal giardino rinascimentale degli Acquaviva”.

L’acquisizione dell’area, secondo il Comitato, potrebbe avvenire attraverso l’esproprio. Ipotesi che il sindaco ha escluso adducendo la ristrettezza delle risorse. Ma il Comitato -forte delle riflessioni del vice presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena sul tema delle proprietà private e dell’interesse pubblico (al centro del suo intervento in Rottama Italia, Altreconomia edizioni, e dell’intervista contenuta in Ae 162)- è convinto che l’area dell’ex Macrico possa davvero essere restituita al patrimonio comunale, avendo perso quell’utilità sociale che ne legittima il diritto di proprietà.

Per Pietro Sebastianelli -del Centro Sociale Mille Piani di Caserta- il discorso diviene ancor più rilevante “se si considera che non si tratta né di un proprietario qualsiasi, bensì di un ente ecclesiastico, né di un bene qualsiasi, ma di un’area che ha una forte incidenza sul tessuto urbano comunale e provinciale”.
La contraddizione maggiore, secondo l’attivista del Comitato Sergio Tanzarella, sta proprio nella funzione stessa dell’Idsc: “L’Istituto si presenta come una struttura parallela e indipendente dalla diocesi, vocata al profitto. Ma di fatto non può essere intesa come realtà distaccata. I suoi vertici, sia a livello nazionale sia a quello locale, vengono eletti dal clero con l’avallo dello stesso vescovo. Questo rende ancora più evidente il contrasto tra un ente, la chiesa, che giustifica la proprietà privata solo nel caso in cui abbia un fine sociale e l’Istituto che opera per la pura redditività”. “Oggi -conclude Vincenzo Fiano, del centro sociale cittadino ex Canapificio– la vertenza sul Macrico rappresenta il baricentro della lotta per la riappropriazione degli spazi”. Questo è il legame alle tante iniziative di recupero di spazi inutilizzati, come quella per l’ex asilo di via Barducci, chiuso da due anni, in cui il Comitato Città Viva (www.csaexcanapificio.it) ha avviato laboratori ed attività gratuite per bambini. —

Una storia secolare
L’area del Macrico appartiene alla Chiesa fin dal XVII secolo. Nel primo decennio del XVII secolo il vescovo di Caserta fece costruire l’episcopio arricchendolo di un ampio giardino e in seguito del seminario, di una chiesa e della canonica. Nel 1850 i Borbone acquistarono il complesso episcopio-seminario per trasformarlo in quartiere militare di fanteria. Nel 1854 acquisirono il terreno adiacente, denominato la vigna del vescovo, per destinarlo a Piazza d’Armi per le esercitazioni delle truppe, il cosiddetto “Campo di Marte”. Nel dopoguerra è passata alle Forze Armate Italiane che l’hanno trasformata in una caserma con annessi magazzini (Caserma Sacchi), capannoni in lamiera ed edifici in muratura. Negli anni 80 la curia di Caserta ha avviato una causa per ottenere la restituzione dell’area che ha vinto nel 1994. Il Macrico è tornato così nella disposizione della diocesi ed essendo un “beneficio ecclesiastico” ne è divenuto proprietario l’Idsc, articolazione dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero.

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