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Il miracolo cileno – Ae 81

Disoccupazione all’8%, economia che cresce, un boom fatto di rame e vino. Ma anche di privatizzazioni e tante disuguaglianze Eduardo si è appena iscritto all’Università di Temuco. Era stato uno dei coordinatori, nel suo liceo, della “marcia dei pinguini”. Si…

Tratto da Altreconomia 81 — Marzo 2007

Disoccupazione all’8%, economia che cresce, un boom fatto di rame e vino. Ma anche di privatizzazioni e tante disuguaglianze


Eduardo si è appena iscritto all’Università di Temuco. Era stato uno dei coordinatori, nel suo liceo, della “marcia dei pinguini”. Si sono chiamati così, con autoironia (la divisa di molte scuole è pantaloni o gonna blu scuro, camicia bianca e maglione o giacca blu scura), i circa 600 mila studenti delle scuole superiori che l’anno scorso hanno protestato, scioperato, occupato, per chiedere un cambiamento delle regole di accesso all’Università. “Perché qui tutti parlano di ‘miracolo economico’ -spiega Eduardo- ma sanno che solo i figli delle famiglie ricche possono permettersi i licei e le università migliori, e quindi i migliori posti di lavoro. Il miracolo è solo per pochi: per la maggioranza rimane un sogno, per qualcuno si è trasformato in un incubo. Attraverso posta elettronica e sms abbiamo creato un coordinamento con i licei di Santiago, di Valdivia, fino a Punta Arenas e a Iquiquqe”. Già, perché il Cile è il Paese latinoamericano con il più alto tasso di diffusione di internet tra i suoi abitanti (24%), il 40% con una rete a banda larga.

Mentre lo Stato cileno incassa cifre impressionanti (solo le esportazioni di rame hanno fornito 11 miliardi di dollari oltre il previsto, nel 2006) moltissime famiglie non ce la fanno a pagare le tasse scolastiche, per non parlare di libri e computer. L’istruzione  è la principale fonte di spesa di una famiglia, insieme alla sanità (privatizzata) e alle medicine.

Dal 1990, l’anno in cui è tornata la democrazia dopo la dittatura di Augusto Pinochet (la cui morte, a dicembre, ha lasciato il Paese ancora una volta diviso, come se non fossero passati 34 anni dal golpe), l’economia cilena è cresciuta più in fretta di qualsiasi altra in America Latina: in media il 4% annuo e addirittura oltre il 6% negli ultimi tre anni.

Il tasso ufficiale di disoccupazione è attorno all’8%, e il Cile è l’unico Paese latinoamericano ad avere raggiunto i famosi e fumosi obiettivi del Millennio: tra il 1990 e il 2000 povertà e miseria sono stati ridotti della metà. e il trend positivo continua. La vita quotidiana, se confrontata con quella dei vicini (un esempio per tutti: la Bolivia), appare veramente quella di un altro mondo.

Eppure l’indice di disuguaglianza del Cile è tra i più alti dell’America Latina. Per il livello di crescita economica e di disuguaglianza si può paragonare al Sudafrica, anche se finora questa miscela esplosiva non ha causato un aumento esponenziale di furti e criminalità, come nel gigante africano.

Il Cile rimane invece uno dei Paesi più sicuri della regione: si può girare di notte senza eccessivi patemi d’animo per molti quartieri di Santiago e di Valparaiso.

“Non si può vivere con il salario minimo ufficiale (che si aggira sui 130 mila pesos al mese, attorno ai 200 euro, ndr) -spiega Julio, un tecnico di una ditta di impianti elettrici-. Non posso lamentarmi, anche se è normale fare qualche ora di straordinario; spesso lavoro anche al sabato. E non mi tiro indietro se ogni tanto c’è da andare a raccogliere e riciclare rame usato, per rivenderlo”. Un paradosso, visto che il Cile

è il più grande produttore mondiale di rame al mondo (con costi di produzione tra i più bassi) e ha poco meno della metà delle riserve del pianeta. Codelco, l’impresa cilena di proprietà dello Stato, tra il 2000 e il 2006 ha praticamente raddoppiato il suo valore (perché nel frattempo anche il prezzo del rame è più che raddoppiato). Un terzo del rame commercializzato nel mondo è cileno: eppure, in tutto il Paese, capita ogni tanto che le case rimangono senza rete di telefono fisso, e a volte anche senza elettricità. È normale che i ladri tirino giù le linee per rivendere il rame nel mercato nero.



I pescatori di Lebu

Lebu è una cittadina che si snoda su una baia incantevole: dopo la fine dell’era delle grandi miniere di carbone nelle vicine Coronel e Lota, il suo porto serve solo per i pescherecci. Quasi tutti sono piccole imbarcazioni dipinte di bianco e azzurro; soffrono la competizione, impari, con le navi -in particolare giapponesi- che navigano al largo. Un Paese con oltre 4 mila chilometri di coste e alcuni settori dell’oceano Pacifico tra i

più pescosi del mondo può fare fortuna vendendo i diritti di pesca agli stranieri. Ma per i piccoli è diverso: “Ogni anno c’è sempre meno pesce vicino alla costa -racconta Miguel Angel, capitano di un peschereccio-. Prima salpavamo e rientravamo in giornata. Oggi spesso dobbiamo rimanere in mare una

o due notti”. Visto che il mare diventa ogni anno meno pescoso perché troppo sfruttato, si ricorre alla pescicoltura.

Dal 2000 a oggi Puerto Montt è passato da 100 a 200 mila abitanti. Il motivo principale? Il boom del salmone: fresco, congelato, affumicato. Il Cile è diventato il secondo esportatore al mondo di salmoni e di trote, oltre che di farina di pesce. Attorno a Puerto Montt ci sono oltre 30 allevamenti (la maggior parte lavora per Wal-Mart). L’indotto -industrie alimentari, centri di refrigerazione, camion e navi- è impressionante.



Uno stile diverso?

Juan Carlos è un avvocato di una delle più importanti aziende cilene di costruzioni, con sede a Santiago. Si occupa di responsabilità sociale. Per Natale ha regalato ai direttori dei vari dipartimenti Una scomoda verità, il documentario con Al Gore sui danni del riscaldamento globale. “Solo sette o otto anni fa in azienda quasi non si parlava di responsabilità sociale. Oggi mi chiamano nelle università per proporre seminari. Io ci credo, non sono solo belle parole. Quando abbiamo firmato l’ultimo contratto con alcuni nostri fornitori cinesi, si sono stupiti di quante e dettagliate clausole avevamo messo: contro il lavoro minorile e quello schiavizzato, a tutela di quel minimo dei diritti dei lavoratori che ci sono in Cina, nel rispetto delle normative ambientali Ue…».

Il governo cileno, anche quello della nuova presidente, socialista e soprattutto donna, Michelle Bachelet, si sforza di promuovere il Cile come Paese-piattaforma, come testa di ponte dell’economia globale in America latina. Invita le imprese a investire qui per poi operare in Argentina, Uruguay, Perù, Bolivia. Firma innumerevoli trattati di libero commercio, in particolare con l’Unione Europea e con i tre Paesi del Nafta (Usa, Canada e Messico) e si collega sempre più con la Cina. L’Asia assorbe oggi circa il 40% delle esportazioni cilene e il boom di Cina e India traina quello cileno.

I giovani laureati cercano di entrare nel miracolo economico cileno attraverso le grandi imprese cilene o le multinazionali, come esige la globalizzazione. Santiago pullula di università private, che si pubblicizzano sui giornali, con chioschi e gazebo nelle vie più centrali, nel metro. Proprio la metropolitana a Santiago è diventata un simbolo. Pulitissima, sicura (ci sono guardie antiborseggio a ogni fermata, disseminate tra il binario e l’uscita), puntuale e frequente: trasporta ogni giorno oltre un milione di cileni attraverso la capitale. Con le sue nuove stazioni che non di rado ospitano quadri, fotografie e murales degni di un museo, le sue nuove linee (la 4, lunga 25 chilometri, è in funzione da fine 2006) la metropolitana è diventata il simbolo di un nuovo modo di vivere e viaggiare a Santiago, che oggi si sta applicando anche agli autobus: basta con le micro, vociferanti confusionari e talvolta fatiscenti pulmini; spazio agli autobus di linea in colori diversi a seconda delle diverse zone della città, dove tutti pagano lo stesso biglietto. Quest’anno il governo ha dato il via al Piano Transantiago, un sistema per pagare con un unico biglietto

fino a tre trasporti urbani (bus e metro), per un viaggio di 90 minuti: un altro esempio del miracolo economico cileno.



Un Paese da scoprire

Monto la tenda in uno dei rari campeggi del parco nazionale delle Torri del Paine, un must per gli appassionati di trekking di tutto il mondo. A fianco una famiglia cilena prepara la cena sul fornellino. “Gli stranieri vanno in rifugio. Per noi è troppo caro”.

Il Cile offre spazi immensi e paesaggi che vanno dal deserto del Nord ai ghiacciai del Sud, ottime strade e connessioni aeree, strutture alberghiere di lusso. Tedeschi, olandesi, israeliani e statunitensi accorrono a frotte. Nelle tre settimane standard del loro viaggio è tutto un correre tra il deserto di San Pedro di Atacama,

i musei di Santiago, le stradine di Valparaiso, i laghi delle regioni centrali, e poi il Sud: Patagonia, fiordi e ghiacciai, e -immancabili- le Torri del Paine. Se quattromila chilometri di viaggio (senza considerare il volo aereo) non bastassero, i più ricchi ci infilano anche l’isola di Pasqua. E i cileni? Puerto Natales è un paesone in Patagonia: vive di turismo, dopo i fasti ormai lontani dell’allevamento. I turisti sono europei e americani, e i prezzi anche. Non pochi europei hanno deciso di trasferirsi qui (gli americani non ancora, pare) sei-otto mesi all’anno, per aprire una cioccolateria francese o un b&b inglese. Quando parli con i cileni scopri che molti in realtà sono argentini che hanno passato il confine dopo la grande crisi. Entrambi

-cileni e argentini- in ogni caso sono  risentiti “contro le poche famiglie che si spartiscono la grande torta del turismo, mentre a noi spettano solo le briciole”. Nelle proposte delle organizzazioni italiane di turismo responsabile il Cile non sembra essere una meta popolare come i vicini Perù, Bolivia o Argentina. Qualcosa però si muove: Planet Team Viaggi propone un itinerario in collaborazione con il partner cileno Camina Due, e Tures ha svolto un viaggio sperimentale. www.planetviaggi.it e www.tures.it

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