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Diritti / Attualità

Il ministero dell’Interno rivendica il patto con la Libia per fermare i migranti

Un'immagine di repertorio dell'operazione "Themis" nel Mediterraneo

Aver “limitato” le attività di ricerca e soccorso delle Ong e aver “rafforzato” la collaborazione con le milizie libiche avrebbe ridotto la “pressione migratoria”. Sono alcuni dei risultati celebrati dall’ultima relazione al Parlamento del dipartimento della Pubblica sicurezza. Mentre le persone continuano a morire

Il ministero dell’Interno rivendica la bontà degli accordi con la Libia e continua ad attaccare le attività di soccorso delle navi delle Ong presenti nel Mediterraneo. È quanto emerge dall’ultima relazione presentata dal dipartimento della Pubblica sicurezza al Parlamento relativa alle attività delle forze di polizia svolte nel 2019. 

Il documento, pubblicato il 13 gennaio 2021, segnala che nel 2019 sono sbarcate sulle coste italiane, in totale, 11.471 persone con una diminuzione degli arrivi del 51% rispetto all’anno precedente. Nella relazione si legge che la riduzione della pressione migratoria nel nostro Paese è da attribuire “al rafforzamento della collaborazione con le autorità libiche; alla riduzione dell’area operativa della Joint Operation di pattugliamento marittimo ‘Themis’, coordinata dall’agenzia europea Frontex ed ospitata dall’Italia; alle iniziative intraprese dalle autorità italiane finalizzate a limitare le attività delle Ong in mare; ad una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri nella gestione del fenomeno migratorio irregolare, in applicazione al principio di sussidiarietà e solidarietà previsto dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea”. 

Tutte iniziative positive, secondo il governo italiano, che non include nelle sue analisi almeno due elementi: da un lato, la scarsa prospettiva di una politica che crede di poter “bloccare le partenze”, sconfessata dall’aumento del numero di persone sbarcate nel 2020 (+34%); dall’altra, le conseguenze che le politiche di esternalizzazione delle frontiere e di criminalizzazione delle attività di soccorso in mare hanno sulle vite di coloro che tentano di raggiungere l’Europa. 

Il Viminale afferma che la presenza delle Ong in mare concorra a garantire una maggior pressione migratoria, nonostante non sia mai stata dimostrata l’esistenza del cosiddetto “pull factor”, ovvero il presunto aumento del numero di partenze a fronte di una maggior presenza di navi di soccorso in mare. Lo hanno dimostrato i ricercatori Eugenio Cusumano, dell’Università di Leiden e Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) in uno studio pubblicato nel novembre 2019. “Analizzando il periodo compreso tra il 2014 e l’ottobre 2019, non abbiamo individuato una correlazione -si legge nell’introduzione al dossier– tra il numero delle Ong presenti in mare e il numero di migranti che lasciano la Libia”. 

In altri termini, ed è paradossale ribadirlo all’inizio del 2021, le Ong non favoriscono la partenza dei migranti e la loro assenza aumenta piuttosto il rischio di morire in mare. Anche perché, la riduzione dell’area operativa di “Themis” significa un minor pattugliamento delle zone del Mediterraneo e quindi maggior difficoltà nel soccorso dei barconi in difficoltà. Lo confermano le analisi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sul tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale. Nel 2019, su 21 persone che hanno tentato la traversata, una è morta (4,78%). Questo indice raffronta le morti accertate con il numero di arrivi irregolari in Italia e a Malta e le persone presenti sulle barche salpate dal Nord Africa e intercettate delle “autorità” libiche e tunisine. Una stima che, inevitabilmente, risente della difficoltà di conoscere precisamente il numero di persone presenti sui barconi affondati, intercettati e dispersi. Se si considera il numero di morti rispetto al numero delle persone sbarcate, il rapporto cresce ulteriormente: un morto ogni 13 persone, il 7,82%. Entrambi questi indici hanno registrato una crescita rispetto al 2018.

Infine, nella relazione, si sottolinea nuovamente il “rafforzamento della collaborazione con le autorità libiche” ovvero il supporto operativo e finanziario, da parte dell’Italia, nell’equipaggiamento della cosiddetta guardia costiera libica -milizie armate che indossano uniformi statali- chiamata a bloccare i barconi che salpano dalle coste nordafricane. Sempre secondo i dati dell’Oim, il numero di imbarcazioni intercettate dalle “autorità” libiche e tunisine è cresciuto dall’8% del 2016 al 41% del 2019. Di conseguenza, per quanto riguarda la Libia, il numero di migranti ricondotti nei centri di detenzione è sensibilmente cresciuto: un vanto per le autorità italiane, nonostante siano ormai note le violenze sistematiche sofferte dalle persone detenute. Che siano vite umane o diritti calpestati, il leitmotiv della politica italiana non cambia: diminuire gli sbarchi, costi quel che costi. 

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