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Il messaggio è nella bottiglia – Ae 54

Numero 54, ottobre 2004Produttori di qualità, enologi famosi e centri sociali, insieme per dire che dietro al vino (e all’agricoltura) c’è sempre una storia sociale. E che l’economia è una relazione tra personeA guardarla da fuori, questa storia di vino…

Tratto da Altreconomia 54 — Ottobre 2004

Numero 54, ottobre 2004
Produttori di qualità, enologi famosi e centri sociali, insieme per dire che dietro al vino (e all’agricoltura) c’è sempre una storia sociale. E che l’economia è una relazione tra persone

A guardarla da fuori, questa storia di vino e centri sociali è capace di spiazzarti. Trovi Maurizio Murari -conosciuto al Magazzino 47, centro sociale di Brescia, come “Muro”- e sai che fa l’autoferrotranviere. Capelli cortissimi, taglio quasi da mohicano, orecchini dorati e una grande simpatia istintiva. Poi scopri che ha fatto il terzo corso (il più impegnativo) di sommelier, scrive con maestria di vino su riviste di gourmet e, alla fine, lo ascolti mentre dibatte, in una villa cinquecentesca dei colli Euganei, sotto la fotografia del presidente Ciampi, con Giordano Emo Capodilista, vignaiolo veneto ed erede di una delle grandi famiglie “bianche” del Veneto profondo. Un confronto in punta di bicchiere. Scopri anche che a Magazzino 47 c’è un’enoteca, con una carta da cinquanta vini, dove non si può fumare perché altrimenti si rovina il sapore e l’odore del vino. Scopri ancora che sempre in questo centro sociale, ogni venerdì, si apre un mercatino di prodotti alimentari (non solo vino, ma pasta, verdure, frutta) di grande successo. Aspetti qualche giorno e ritrovi Muro nel suo ambiente: festa di Radio Onda d’Urto alla periferia polverosa di Brescia, lui coordina la Fiasca, enoteca della festa, e si invipera contro un ragazzo dalla cresta alta mezzo metro perché chiede solo del “rosso”. “Quando vai a comprare un cd, mica chiedi solo della musica! Quindi ora ti spiego che c’è rosso e rosso”, lo apostrofa Muro. E all’enoteca arrivano produttori di grandi vini di qualità: gente che non la immagini fra il fumo e la musica di un centro sociale. Insomma, il buon vino ha varcato la soglia dei centri sociali del Nord e, in questo ottobre, si installerà, in una fiera, anche nella fortezza romana di Forte Prenestino, storico centro sociale della capitale. E non è nemmeno una novità: lo scorso dicembre, al Leoncavallo di Milano, alla Fiera dei Particolari, fra graffiti e bandiere zapatiste, apparvero ben 160 vignaioli, fra i migliori produttori italiani. Certo, richiamati dall’appello di un personaggio come Luigi Veronelli, guru di questa ribellione politico-gastronomica, ma anche incuriositi da questi strani luoghi dove il vino viene apprezzato. E dal progetto di “t/Terra e Libertà/Critical Wine”. Fra i neologismi barocchi di Luigi Veronelli e il linguaggio attorcigliato dei centri sociali non è facile decrittare questa nuova lingua.

Va tradotta. “La t minuscola è la zolla, la terra che noi calpestiamo. La T maiuscola è il nostro pianeta -spiega Simonetta Lorigliola che lavora a Ctm altromercato-. Da qui nasce quella che noi chiamiamo sensibilità planetaria. Per Critical Wine, invece, ci è venuta in soccorso la Critical Mass”.

Banda allegra, questa di Critical Wine: chi guida autobus, chi fa il professore di geografia, chi sta nella casa editrice di Veronelli. Sorseggiano vino con passione, ma ci tengono a dire: “Questo è un progetto politico. Riguarda l’agricoltura, ma è un nuovo modo di concepire i rapporti sociali”.

E poi azzardano un ardito neologismo: “Qui si parla di una nuova contadinità”. Vale la pena provare a capire perché produttori così diversi fra loro guardano con interesse al progetto Critical Wine. Sono quasi tutti vignaioli di piccole o medie dimensioni (ma anche Zonin, ras dei vini veneti, si è incuriosito), quasi tutti produttori di poche migliaia di bottiglie (non è del tutto vero: Valli Unite, cooperativa piemontese ne fa 50 mila l’anno) di buona qualità, ben conosciuti fra i gourmet italiani.

Paolo Brunello sta a Baone, colli Euganei. Ha trent’anni e due ettari di vigna. Suo nonno allevava tori e vendeva bianco sfuso alle osterie dei paesi della piana padovana. “È tempo di ricreare un rapporto fra produttori e consumatori -dice-. C’è storia dietro al vino e all’agricoltura. Una storia sociale: non puoi limitarti a vendere, devi vedere la gente, parlare, spiegare come fai il vino, perché costa quel prezzo. Devi rispondere a domande, far assaggiare. Critical Wine mi ha affascinato perché dice questo: che l’economia è una relazione fra le persone”.

Pino Ratto, piemontese, faccia da contadino ed energia da vendere, discendente da parte di madre di Camillo Benso, conte di Cavour, fa dolcetto e barbera sulle colline di Ovada, dalle parti di Alessandria. Ha più del doppio degli anni di Paolo Brunello, ma dice le stesse cose: “Mi arrabbio quando vedo venir su dalla Puglia camion di vino che poi diventa dolcetto. Nel mercato di oggi se non hai una rete distributiva sei fuori.

Per questo mi piace Critical Wine: il rapporto più possibile diretto fra consumatore e produttore è davvero una rivoluzione”. !!pagebreak!!

Il progetto Critical Wine poggia su molti cardini ambiziosi (loro direbbero: sensibilità). Eccone alcuni:

Autocertificazione e tracciabilità. Non parlate di certificazioni, marchi, prodotti tipici con Veronelli. Si arrabbia: “Noi rispettiamo le tradizioni, ma sono solo la piattaforma dalla quale partire per rinnovare”. Veronelli crede nell’etica personale, nell’autoresponsabilità: “Leggi e disciplinari non possono sostituire la responsabilità di ognuno di noi”. Critical Wine ha fiducia nell’autocertificazione, nel produttore che dichiara, in maniera semplice, come e dove è fatto quel vino o quel frutto. “C’è davvero bisogno di fiducia fra produttore e consumatore -spiega Simonetta-. L’autocertificazione è una relazione sociale: non ci affida a terzi per affermare la bontà di ciò che si produce, ma se ne assume la responsabilità”. “Più le regole dei disciplinari di produzione sono complesse, più si possono aggirare -avverte Muro-. Noi chiediamo solo trasparenza e coscienza individuale”. L’autocertificazione va di pari passo con la massima tracciabilità di un prodotto. “Le multinazionali ci dicono che ciò che conta in un prodotto è l’ultima trasformazione sostanziale -dice Marc Tibaldi, caporedattore di EV, la rivista di Veronelli-. È una truffa: noi vogliamo sapere tutto di un prodotto”.

Denominazione Comunale (De.Co.). “La De.Co. è una storia di coscienza. Ed è una storia semplice”, dice Marc Tibaldi. E spiega: “È un certificato di nascita, una dichiarazione anagrafica. Non è un giudizio di qualità, ma, molto più che un’‘indicazione geografica protetta’, è capace di difendere un prodotto”.

La De.Co. è la dichiarazione in etichetta del luogo di origine e trasformazione di quel vino, di quella frutta, della pasta, di quella verdura. Il garante della De.Co. è il sindaco, il primo cittadino che certifica, con pochi e semplici parametri, il luogo di “nascita” e di “crescita” di un prodotto. Idea semplice: Critical Wine non ama i marchi di qualità (le Dop, le Doc e le Dogc), ma la tracciabilità del cibo è legge sacra. Non esistono elenchi De.Co. (l’Anci, l’associazione dei comuni italiani, dopo un primo entusiasmo ha raffreddato la sua adesione al progetto), ma Critical Wine ha censito 116 comuni che hanno adottato delibere sulla Denominazione Comunale. Sono paesi e cittadine piccole: da Castelnuovo in Garfagnana a Seggiano sull’Amiata, da Cinquefrondi in Aspromonte a Pertica Bassa in Lombardia (ma ci sono anche Lecce, Gaeta o Modica). Certificano De.Co. prodotti come il cioccolato, il vino, i formaggi, la polenta, i carciofi, il torrone. L’Unione Europa contesta la possibilità dei sindaci di concedere una simile certificazione. Veronelli si arrabbia: “C’è perfino una legge costituzionale che riconosce ai sindaci questo diritto”. E aggiunge: “Le De.Co. sono una vera decentralizzazione dell’economia. Si scardina il potere delle multinazionali, si restituiscono diritti alle comunità locali, si evidenzia la responsabilità dei produttori”.

Prezzo sorgente. Josko Gravner, vignaiolo goriziano, è un matto-saggio: lui fa il vino (Breg e Ribolla) in anfore che acquista in Georgia. Vino caro: il suo “prezzo sorgente” è di 32 euro a bottiglia (prezzo 2004 per l’annata del 2000). Pino Ratto vende i suoi dolcetto e barbera (sempre lo stesso prezzo: che tu acquisti una bottiglia o che ne prenda cento) a 6 euro (annata 2002). Franco Pugliese fa parte di una singolare azienda di cinque produttori di vino marchigiani. Alle spalle la storia di un’antica comune anarchica. Fanno, nelle campagne di Ascoli Piceno, un superbo Rosso Piceno. E producono un grande vino bianco dal nome ribelle: il Barricadiero. Il meno caro fra i vini che hanno ottenuto Tre Bicchieri dalle guide Slow-Food: 10 euro. Il prezzo sorgente (ma forse sarebbe più chiaro chiamarlo “prezzo trasparente”) è il “primo prezzo”, quello al quale i produttori decidono di vendere il proprio prodotto. “Ho visto il mio vino venduto in enoteca a quattro volte tanto il costo originario”, racconta Ratto. “Ho controllato: il Barricadiero è stato venduto anche a 42 euro”, dice Pugliese. Ratto e Pugliese considerano il loro prezzo come “giusto”: “Ci ripaghiamo le spese, prevediamo il rischio degli imprevisti e ci tiriamo fuori il nostro reddito. Sicuramente il mercato accetterebbe il nostro vino a un prezzo anche molto più alto, ma non sarebbe corretto. Va bene così”. Il prezzo sorgente, nel progetto Critical Wine, rende chiara la filiera della distribuzione e della commercializzazione di un prodotto, svela i mille segreti (non necessariamente inganni) del prezzo finale di un prodotto. Non demonizza, né contesta i ricarichi della distribuzione e del commerciante, ma vuole semplicemente “sapere” perché quella bottiglia di vino costa 42 euro se il produttore la vende a 10. “Il ricarico corretto si aggira fra il 30% in più in enoteca e il 40% al ristorante”, spiega Pino Ratto. Possono esserci ragioni spiegabili per il prezzo a 42 euro, ma può anche esserci solo l’avidità del ristoratore. “Ancora una volta questa è un’economia di relazione -dice Muro- Se un ristoratore ti offre vino a un certo prezzo, può venire al tuo tavolo e spiegarti, parla con te, crea un rapporto di fiducia. Tu puoi decidere o meno di spendere quella cifra, ma lo farai in maniera consapevole e non ad occhi chiusi”. Alcuni vignaioli hanno già annunciato che i vini della vendemmia 2004 avranno in etichetta il prezzo praticato alla cantina.

Il social sommelier. Il viaggio nello strano universo di t/Terra e Libertà/Critical Wine finisce, per ora, a Empoli, al centro sociale Intifada: bisogna conoscere Teseo Geri. 25 anni, una quasi laurea in economia, un biglietto da visita in inglese dove sta scritto wine consultant (“dovevo guadagnarmi da vivere a Birmingham, lavoravo con un importatore di vini”) e una rivendicazione: il ruolo sociale del sommelier. “Ho fatto il cameriere e ho capito quanto sia importante il vino e la sua storia -dice Teseo- Un sommelier può davvero essere un mediatore: raccontare la storia sociale di un vino, promuovere i vini dei contadini della sua zona, incoraggiare il consumo critico. Se venite a Lamporecchio, vi faccio conoscere un bravo produttore di vino biologico”. E Teseo offre il vino con una contorsione del polso, perché i tuoi occhi non perdano di vista l’etichetta. Con tanto di De.Co. e prezzo sorgente.!!pagebreak!!

Vendemmia 2004, finalmente si stappa
In Puglia i primi grappoli di Pinot Bianco e Chardonnay sono stati staccati subito dopo Ferragosto. Due settimane più tardi rispetto agli altri anni. Altrove la vendemmia è cominciata a metà settembre. Come non accadeva da anni: dopo due vendemmie disastro (2002 per troppa acqua, 2003 per siccità), la raccolta del 2004 è in accordo con le leggi di natura e, soprattutto, eccellente. Le previsioni parlano di un incremento di produzione del 9% rispetto al 2003: 48 milioni di ettolitri. Quantità ragguardevole (l’Italia è il secondo produttore mondiale), ma se prendiamo in considerazione la media degli ultimi cinque anni, rimane inferiore del 5%. La Francia con 57 milioni di ettolitri mantiene il primato mondiale. Al Veneto il primato regionale: 8,5 milioni di ettolitri, più 15% rispetto al 2003. La Puglia manterrà una produzione stabile: 6 milioni di ettolitri e, come sempre, una buona parte del mosto pugliese prenderà la via del Nord per tagliare i vini da tavola. Inutile chiedere dati precisi su questo commercio di vini e uve: nessuno sembra avere un’idea precisa di quanto vino viaggi in autobotti da Sud a Nord. Nel 2004 le famiglie italiane, secondo analisi di fine estate della Coldiretti-Ismea-AcNielsen, hanno aumentato il loro consumo di vino: più 2,6% rispetto al 2003. Una spesa di 1,5 miliardi di euro.

I consumatori italiani acquistano ancora vini da tavola a basso prezzo (almeno metà degli acquisti), ma molti (39%) comprano regolarmente vini con marchi Doc, Dogc o Igt (sono 447 vini -ma anche questo dato è contestato- che rappresentano il 60% dei vigneti italiani).

L’11% dei consumatori acquista vino sfuso. Il fatturato delle vigne italiane arriva a 8,5 miliardi di euro. Il vino (fonte Ismea) è la principale voce delle esportazioni agroalimentari italiane: 2,6 miliardi di euro per oltre 13 milioni di ettolitri. Esportiamo soprattutto verso Germania, Stati Uniti e Inghilterra.

Pagine da degustare
Le idee e il progetto di “t/Terra e Libertà/Critical Wine” sono raccontate nel libro-antologia Terra e Libertà/Critical Wine pubblicato da Derive Approdi. La nuova edizione avrà indicato in copertina il “prezzo sorgente”. Attualmente il libro costa 13,50 euro. La rivista di Veronelli, EV, vini, cibi, intelligenze
è, naturalmente, in prima fila nella sfida delle De.Co., del prezzo sorgente e dell’autocertificazione. Si riceve solo su abbonamento (41,30 euro all’anno). La redazione è a Bergamo, tel. 035-25.15.40. Info: www.veronelli.com , re.ev@luigiveronelli.it.

La rivista Carta ospita gli interventi di Luigi Veronelli su molti dei temi cari a Critical Wine. In ottobre (dal 22 al 24) Critical Wine organizza una fiera-festa al centro sociale di Forte Prenestino a Roma.

Vi parteciperanno un centinaio di vignaioli e un quarantina di contadini/artigiani. Nei giorni precedenti Critical Wine incontrerà una serie di rappresentanti di partiti e movimenti per discutere delle sue proposte. www.criticalwine.org !!pagebreak!!

“I prezzi del vino sono un insulto ai consumatori”
Veronelli e il sogno di un anarco-enologo
“Senza Mozart, Beethoven e Gustav Mahler non saprei vivere”, dice Luigi Veronelli. E allora cosa ci fa qui, questo scrittore di vini e gastronomia, anarco-enologo per autodefinizione, geniale inventore di un linguaggio guascone, arcaico e barocco? Cosa ci fa sotto il fracasso di un sound-system da musica techno
, con folate di polvere e “fumo” che attraversano l’aria?

Che ci fa Veronelli, 79 anni, reduce da un complicato intervento chirurgico, alla festa di Radio Onda d’Urto di Brescia?

Primo: beve ottimi bianchi del Veneto e delle Marche offerti dall’enoteca di “Magazzino 47”, centro sociale bresciano, e versati, con stile impeccabile, da Teseo, giovane social-sommelier dell’”Intifada”, altro centro sociale di Empoli.

Secondo: parla di contadini, di vini, di campagna, di agricoltura con sapienti vignaioli piemontesi e veneti (che mai avrebbero varcato le soglie di un luogo come questo) e ragazzi, dai mille orecchini, che ascoltano adoranti le sue parole.

Parole in bella libertà di Veronelli in attesa dell’incontro su “t/Terra e Libertà/Critical Wine”, progetto che allaccia il vecchio enoscrittore ai ragazzi dei centri sociali. “Hanno fatto di più loro in pochi mesi che io in ottanta anni -dice Veronelli- Stanno realizzando i progetti che ho cullato per una vita”.

“A me stanno a cuore i contadini. I movimenti di questi anni hanno avuto alla testa i contadini: in Chiapas, in Brasile, in India, perfino in Francia.

In Italia l’interesse verso le campagne è stato meno sensibile: colpa della nostra sinistra che se ne è sempre dimenticata. Ma l’interesse dei contadini coincide con quello dei consumatori.

Lo sanno bene i gruppi di acquisto solidali, la gente del commercio equo, gli ambientalisti e i centri sociali. E i produttori di vino sono stati i primi a capire questo progetto”.

Progetto di una nuova agricoltura che parla di autocertificazione, denominazioni comunali, prezzi sorgente, tracciabilità dei prodotti.

“I prezzi assurdi del vino sono un insulto ai consumatori -spiega Veronelli- Va ricreato un rapporto fra chi acquista e i produttori: il prezzo sorgente, indicato in etichetta, garantisce trasparenza, fa sapere quanto costa quel vino se lo vado a comprare nella cantina di chi lo produce, svela i meccanismi della distribuzione. Il prezzo sorgente calcola il giusto reddito: renderlo evidente è un gesto di fiducia, di stima, di eticità”.

Altro cavallo di battaglia di Veronelli: la denominazione comunale, il sindaco che si fa garante delle origini di un prodotto. “Non mi piacciono i prodotti tipici. Sono diventati un marchio commerciale. Non mi piacciono le tradizioni imbalsamate -dice l’anarco-enologo- Ma voglio sapere dove nasce un prodotto. Mi fido dell’autocertificazione del produttore che mi spiega come è fatto il suo vino o i suoi ortaggi.

Il sindaco mi dà un certificato di nascita di quel prodotto. È un atto di democrazia. Che sfida le multinazionali che vogliono che conti solo ‘l’ultima trasformazione sostanziale’ di quel prodotto.

La denominazione comunale sfila potere ai potenti dell’agricoltura e lo restituisce ai contadini. Solo quelli dell’Anci, l’Associazione dei Comuni d’Italia, non l’hanno capito, ma centinaia di comuni stanno istituendo i regolamenti e disciplinari semplicissimi per riconoscere le De.Co.”. Veronelli assaggia il vino come se fosse una piccola cerimonia. Anche nel frastuono delle prove di un concerto heavy. Pensare che Veronelli vuole portare qui gente come Antinori e Zonin.

Capace di riuscirci.

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