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Diritti / Opinioni

Il merito della non violenza

L’incursione nell’Istituto di farmacologia dell’Università di Milano. L’azione notturna contro il Tav in Val di Susa. Pratiche di “sabotaggio”, come teorizzate da Aldo Capitini _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 150 — Giugno 2013

Aldo Capitini nel suo libro “Le tecniche della nonviolenza”, uscito in prima edizione nel 1967, inserisce il tema del sabotaggio fra le “tecniche collettive” di azione nonviolenta, accanto alle marce, gli scioperi, i boicottaggi, la disobbedienza civile. Il sabotaggio è una forma di lotta complicata e controversa. Suscita meno simpatie di altri tipi di azione diretta, perché può apparire aggressiva, violenta o anche sleale. Capitini ad esempio si pone il problema se sia accettabile “sabotare col cattivo lavoro la produzione” durante una vertenza sindacale, rispondendo no.
Il tema del sabotaggio è emerso recentemente in due diverse fattispecie di lotta: l’intrusione di alcuni attivisti animalisti in uno stabulario dell’Università di Milano, dove vengono imprigionati gli animali destinati alla sperimentazione, e l’azione notturna contro il cantiere del Tav a Chiomonte in Val di Susa. Le differenze fra le due azioni sono molto profonde. Nel primo caso cinque attivisti sono entrati a volto scoperto nelle stanze dell’Istituto di farmacologia, lì si sono incatenati e ne sono usciti alcune ore dopo al termine di una “trattativa” con i responsabili del laboratorio e con gli agenti della Digos, concordando la liberazione degli animali, concessa dopo che l’incursione li aveva resi “inutilizzabili” per i ricercatori (anche per la manomissione, da parte dei cinque attivisti, dei cartellini di riconoscimento delle singole cavie). Nel secondo caso l’azione contro il cantiere è stata a volto coperto, non è stata rivendicata, e ha comportato l’uso di strumenti come bottiglie molotov e petardi, con il risultato di danneggiare un compressore usato per l’escavazione del tunnel.

Gli attivisti animalisti hanno diffuso video e filmati del loro intervento, hanno esposto le loro motivazioni e hanno accettato interviste esponendosi personalmente. Nel caso della Val di Susa non conosciamo gli autori materiali dell’azione; disponiamo di un comunicato stampa firmato Movimento No Tav nel quale si ribadisce che manca una rivendicazione dell’attacco ma si ricorda che “il tagliare le reti e il colpire macchinari sono azioni non violente”. È una precisazione importante, sia perché la magistratura ha aperto un’inchiesta addirittura per tentato omicidio, sia perché la legittimità sociale del sabotaggio appare molto incerta e merita quindi d’essere approfondita.
Prendiamo il caso di Milano. L’incursione animalista non ha comportato danni materiali (non è stata nemmeno scassinata una serratura) ma ha certamente vanificato le ricerche in corso, tanto che i responsabili dell’Istituto hanno parlato di “azione violenta” e lamentato danni economici ingenti, trovando una discreta eco nei media. Un’eco, per fare un confronto con un’altra azione animalista, che non c’era stata l’anno scorso quando alcuni attivisti entrarono nell’allevamento Green Hill di Montichiari (Brescia) liberando una ventina di cani beagle, compiendo anche in quel caso una serie di reati, dalla violazione di domicilio al furto (i cani sono considerati beni di proprietà privata).

In Val di Susa il sabotaggio del cantiere ha suscitato un caso mediatico e politico importante, nel quale ha faticato ad emergere la dimensione nonviolenta dell’incursione. Le modalità dell’azione, va detto, non hanno favorito una percezione del genere: è avvenuta di notte, gli autori sono sconosciuti, il danneggiamento dei macchinari ha comportato l’uso di materiali incendiari.
Capitini nel suo libro non esita a qualificare come tecnica nonviolenta “l’assalto al funzionamento di un servizio, di un’industria, di un’impresa pubblica o privata, con danno o distruzione, e quindi oltre il limite della legalità […] quando non vi è nessun rischio per l’esistenza di esseri viventi”. Del resto, come sempre in questi casi, va considerata qual è la finalità dell’azione nonviolenta e del sabotaggio in particolare. Si intende bloccare un certo tipo di sperimentazione animale, di rallentare la costruzione di un’opera per l’imminenza di gravi danni? O lo scopo è rendere pubblico un caso, comunicare con i cittadini, suscitare la loro reazione, indignazione, partecipazione? O tutto questo insieme?
Di sicuro ogni azione diretta dev’essere sottoposta a un rigoroso esame critico sotto il profilo dei risultati ottenuti. Il sabotaggio, sia ai tempi di Capitini sia oggigiorno, è un “mezzo estremo” da maneggiare con grande cura, sapendo delle particolari diffidenze che suscita e quindi della necessità d’essere preparato, condotto e anche spiegato con grande precisione e chiarezza, in modo che le lotte siano sempre comprensibili, soprattutto quando si spingono oltre i limiti della legalità. —

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