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Economia

Il mercato è nudo – Ae 43

Numero 43, ottobre 2003Cinque giorni a Cancun per vedere da vicino i meccanismi (perversi e teatrali) del Wto. Per capire come si prendono decisioni (sulle regole del commercio del cotone o dei prodotti industriali) che possono cambiare la vita di…

Tratto da Altreconomia 43 — Ottobre 2003

Numero 43, ottobre 2003

Cinque giorni a Cancun per vedere da vicino i meccanismi (perversi e teatrali) del Wto. Per capire come si prendono decisioni (sulle regole del commercio del cotone o dei prodotti industriali) che possono cambiare la vita di un contadino in Benin o di uno studente in Italia. Ma anche quali spazi di cambiamento esistono e il ruolo dei movimenti. Dal nostro inviato

Cancun – Sapete cosa sono le Singapore Issues? Il Wto era ansioso di avviare nuovi negoziati proprio su questi “argomenti”: investimenti, appalti, concorrenza e facilitazioni al commercio. Questa volta, troppa fretta e troppa arroganza (soprattutto europea) sono state pessime consigliere.

Le Singapore Issues, frontiera di un'agenda liberista del commercio internazionale, sono state capaci di far rivivere il fantasma buono di Seattle sulle spiagge tropicali di Cancun.

La quinta Conferenza ministeriale del Wto, obbligato appuntamento biennale, è fallita. Forse per la prima volta, l'alleanza dei Paesi africani, di quelli caraibici e dei più poveri della Terra, guidati dal Bangladesh, ha sconfitto la forza del Nord del mondo. Gli africani, a Cancun, volevano portare a casa buoni accordi sull'agricoltura (come l'eliminazione degli aiuti scandalo ai grandi farmers americani ed europei), volevano che i contadini del Ciad o del Mali potessero vendere il loro cotone nei grandi mercati della Francia o degli Stati Uniti: avevano ricevuto promesse, ma alla fine hanno preso solo pugni in faccia.

Ma questa volta si sono ribellati: “Qui non si apre nessuna discussione sulle Singapore Issues”. I ministri di Uganda, Kenya e Senegal sono usciti quasi festanti dalle stanze dell'ultima trattativa. “Se volete potete chiamarla un'altra Seattle”.

Cinque giorni a Cancun per vedere da vicino i meccanismi (perversi e teatrali) del Wto. Il Wto detta le regole del commercio e poggia la sua ideologia sul liberismo. Nessuna nazione, nemmeno Cuba, oggi ne può stare fuori. Ne fanno parte 148 Paesi del mondo (a Cancun sono entrati Cambogia e Nepal): tutti devono accettare regole che disciplinano ogni più minuto aspetto della loro vita economica. E, in questo gioco, chi è più forte ha molti vantaggi.

Gli Stati Uniti hanno schierato a Cancun 212 delegati. L'Unione europea si è mossa come un solo Paese: 651 delegati. Poveri i quattro armeni, i tre burundesi o i dieci ecuadoriani che si sono dovuti dividere fra infiniti tavoli di discussione e decine di riunioni notturne. Gli italiani non sono pochi: 68 persone in delegazione. Ministri, funzionari, ambasciatori. Qualche sindacalista, alcuni rappresentanti del grande business (Federalimentare, la Camera di commercio internazionale), le associazioni dell'agricoltura. E tre rappresentanti di organizzazioni non governative: Mani Tese, la Focsiv e la Lega Antivivisezionista.

Numerose anche molte delegazioni africane: l'Uganda è arrivata a Cancun con 37 delegati, 45 il Kenya, 44 il Malawi. “Stiamo davvero cercando di parlare con una voce unica”, dice un delegato. C'è da crederci?

Il fatto nuovo di Cancun è stato proprio l'incrocio di alleanze fra Paesi diversissimi: il G-21 (che durante i cinque giorni di Cancun a volte è diventato G-20, altre è salito fino a G-23) si è battuto, con forza, contro le posizioni americane ed europee. È guidato da Brasile (vera potenza politicamente emergente) e dall'India, dagli enigmatici cinesi e dal Messico (Paese molto legato agli Usa). Ma vi sono anche Paesi poverissimi come il Bangladesh. Altri Stati più poveri, specialmente africani, sono riusciti a raggrupparsi in un ampio G-90. Di fronte a queste alleanze è traballata anche la più innaturale delle “amicizie”, quella fra Stati Uniti e Unione europea. La nascita di queste alleanze (“Non è una questione politica, siamo un gruppo di Paesi che vuole risolvere i grandi problemi della vita quotidiana dei nostri cittadini”, dice Celso Armorin, ministro del Commercio brasiliano) è davvero la grande novità di Cancun: il G-21 può davvero fronteggiare Europa e Stati Uniti.

Almeno può dire di no.!!pagebreak!!

Fronte ampio dall'Eritrea alla Cina
Ho conosciuto Stifanos Ghebremariam venti e più anni fa nei campi della guerra di liberazione di quel Paese. Allora era un partigiano stracciato, oggi è il direttore generale del ministero del Commercio estero di Asmara. Si aggirava, come disperso, per le sale del Wto. L'Eritrea, con status di osservatore, aveva due delegati a Cancun. Poteva accedere solo al rito sterile e irreale delle plenarie. “Non ci aspettiamo nulla da questa Conferenza -è certo Stifanos-. Sappiamo che le sue decisioni toccheranno anche noi, ma non possiamo fare nulla. Non esportiamo niente. Vorremmo assistenza tecnica, ma i rapporti bilaterali con l'Italia sono più importanti che il Wto”.

Cambogia (13 delegati) e Nepal (16 delegati) sono i nuovi Paesi membri del Wto. Sette anni di negoziati e procedure intricate per permettere a Pnom Penh di entrare. La Cambogia ha dovuto modificare la sua legislazione per “aprire” il mercato interno al commercio internazionale (esempio: entro il 2005 deve eliminare ogni restrizione all'importazione di fertilizzanti e pesticidi).

Pnom Penh aveva recepito la dichiarazione di Doha: voleva poter comprare farmaci generici a basso costo senza dover svenarsi per pagare medicine protette da brevetto. Almeno fino al 2016. “Ma durante le trattative di ingresso al Wto, la Cambogia ha ceduto alle pressioni americane -racconta Kris Torgeson, portavoce di Medicines sans Frontieres-. Ha dovuto fare un passo indietro e accettare gli accordi Trips: ora i cambogiani avranno difficoltà a reperire medicine essenziali a prezzo contenuto”.

Eugéne Rambelontsalama, consigliere tecnico del ministero dell'Agricoltura del Madagascar (16 delegati), non è diplomatico: “Noi vorremmo un Wto che si battesse davvero per lo sviluppo. Temo, invece, che sia solo un luogo di lotta economica”. Ma anche i malgasci difendono i loro interessi: “Non possiamo esportare carne verso l'Europa per complessi divieti fitosanitari. È una forma di distorsione al mercato anche questa. Ogni volta che crediamo di essere in regola, voi europei cambiate i parametri”.

E i cinesi? 54 delegati, la grande e temuta potenza più che emergente (nel 2002 il commercio internazionale è cresciuto del 2,5%, il 40% di questa crescita è dovuto alla Cina), a Cancun ha scelto di nascondersi, di mimetizzarsi. Nessuna conferenza stampa, delegazione inaccessibile, alleanza (tattica?) con i G-21, ma frasi zen nelle stanze delle trattative: “Dopo la tempesta, torna sempre il sereno”. La Cina, come gli Stati Uniti, è quasi indifferente a quanto accade nel Wto. Vi è entrata da due anni e non è più disposta a fare concessioni. Ha la sua agenda e i suoi interessi. !!pagebreak!!

Il ruolo delle ong
Oxfam, grande organizzazione non governativa inglese, ha portato a Cancun 30 delegati, con portavoce in cinque lingue, compreso il cinese. ActionAid, altra ong internazionale, aveva 23 delegati (e 16 erano dentro le delegazioni ufficiali di Paesi del Sud del mondo). Il network di “Questo mondo non è in vendita” (più di cento tra reti e associazioni) si muove con abilità fra “dentro” e “fuori” la Conferenza.

Enda, ong franco-senegalese, è punto di riferimento per i Paesi dell'Africa Occidentale.

965 ong sono state accreditate, il 70% viene dal Nord. Attenzione però: dietro la sigla ong ormai si nasconde di tutto. Dalle associazioni industriali a Third World Network, dalle lobby pro-ogm alle associazioni dei contadini latinoamericani. E vi sono strategie diverse. Spesso divergenti.

“L'ideologia liberista del Wto è sbagliata -spiega Gonzalo Fanjul, responsabile agricoltura di Oxfam-. È un'organizzazione ingiusta ma non ci sono alternative. Se non ci fosse il Wto rimarrebbero solo gli accordi tipo l'Alca, il trattato di libero scambio per le Americhe, o gli accordi bilaterali fra Paesi”.

Al lato opposto sta Walden Bello, direttore di Focus on the Global South: “Il Wto è antidemocratico e illegale. Deve semplicemente essere spazzata via”.

“Noi chiediamo un Wto più democratico. Respingiamo un allargamento delle sue competenze. Siamo venuti a Cancun per smascherare il vero volto di questa organizzazione -dice Antonio Tricarico, della campagna 'Questo mondo non è in vendita' italiana-. Facciamo lobby, comunicazione, movimento”.

“Non ci spaventa la parola lobby -dice Marco De Ponte, segretario italiano di ActionAid-. Per questo cerchiamo perfino di stare negli stessi alberghi delle delegazioni. Se il delegato del Kenya o perfino quello del Brasile vuole parlare con il ministro italiano proviamo a fare da tramite”.

Alla prima riunione delle ong all'hotel Margaritas, vengono censite le persone che stanno “dentro”: sono la grande maggioranza. Solo pochi hanno deciso di rimanere solo “fuori” dalla zona rossa. Più imbarazzo quando la rappresentante di Third World Network ha chiesto quanti avessero letto la bozza finale di documento: si sono alzate solo cinque mani.!!pagebreak!!

Le grandi corporation
Profilo defilato, quasi non si vedono al Convention Center. Per l'unica conferenza stampa (deserta: dodici persone presenti e sette non erano giornalisti), hanno scelto la stessa sala delle ong: le associazioni del business internazionale sono state diplomatiche a Cancun. Hanno mandato in prima fila (con volantini e qualche azione come la distribuzione di cibo con organismi geneticamente modificati ai poveri della città) alcune ong: gli americani di Competitive Enterprise Institute o gli indiani del Liberty Institute.

Maria Livanos, greca-americana, segretaria generale della Icc, l'associazione internazionale delle Camere di commercio (rappresenta i gruppi del grande business in un centinaio di Paesi) è più che cauta: “Non siamo un gruppo di pressione. Lavoriamo tutti i giorni per far capire al governo il bisogno e l'importanza del libero mercato”.

“È stata troppo prudente -ribatte Amerigo Gori, direttore della Icc Italia (dentro ci stanno le associazioni confindustriali, le banche, le assicurazioni, le grande imprese come Fiat o Telecom), delegato italiano-. Noi facciamo lobby, abbiamo interessi da difendere. Vogliamo dogane che funzionino, libertà di mercati, frontiere aperte.

I Paesi in via di sviluppo hanno ragioni da vendere quando chiedono la fine di certi sussidi distorsivi, ma devono anche capire che loro devono garantire il libero commercio. Non possono solo chiedere”.

I giapponesi della Keidanren Mission, associazione di lobby industriale, sono venuti a Cancun con 15 persone: il capodelegazione è il vicepresidente della Toshiba. Avevano fretta che si chiudesse la trattativa sull'agricoltura per poter parlare di liberalizzazione dei servizi.

Il Giappone assieme all'Europa, è il vero responsabile del fracaso della Conferenza: non volevano arretrare di un passo dalla barricata della apertura dei negoziati sugli investimenti e, in particolare, Tokyo non voleva saperne di togliere dazi da prodotti strategici per l'arcipelago nipponico. La trincea dei Gats, l'accordo dei servizi (in realtà è un negoziato parallelo e andrà avanti comunque nonostante il fallimento di Cancun), è cruciale per il mondo delle corporate: è uno dei veri terreni di scontro nella Wto. “É la sola maniera di superare la crisi economica -spiega Christopher Roberts di Esf, l'European Services Forum (grande associazione di aziende di servizi: si dice che siano loro ad aver collaborato alla redazione del testo Wto sui Gats)-. Il 70% dell'economia europea sono servizi. Ne abbiamo bisogno: per gli investimenti, l'occupazione, le esportazioni”.

Le grandi imprese vogliono chiudere il negoziato sui Gats entro il tempo stabilito: la fine del 2004. Cancun ritarderà anche questa agenda? !!pagebreak!!

Il movimento
Lee Kyung Hae, leader contadino coreano, si è suicidato il giorno dell'apertura dei lavori del Wto. Si è infilato un coltello svizzero nel cuore dopo essersi arrampicato sulle recinzioni che sbarravano la “zona rossa” di Cancun. Questo è il dramma e il dolore del movimento no-global. Gesto disperato e consapevole: la propria morte come condanna estrema e disperata delle politiche commerciali internazionali.

Fuori della “zona rossa”, il movimento ha cercato visibilità, idee (la Böll Fundation ha organizzato convegni e incontri) e alleanze (Via Campesina ha intessuto reti con i contadini di tutto il mondo). Oltre le recinzioni, nei corridoi del palazzo della Conferenza, le ong si muovevano in ogni modo possibile. Anche con sorprendenti azioni di protesta. La polizia messicana, in ogni occasione, anche la più complessa e critica, non ha mosso un solo dito. Nemmeno quando sono state abbattute le reti del chilometro zero, la prima difesa della “zona rossa”.

Poche persone alle manifestazioni: cinquemila, al massimo, all'ultima. Via Campesina e contadini coreani in testa al corteo. Folkloristica la presenza di un “blocco nero” con bastoni e pietre. Un piccolo gruppo di Rifondazione comunista, qualcuno di Attac e di Legambiente.

Vittorio Agnoletto quasi da solo. “Qualcosa sta cambiando nel movimento -azzarda Antonio Tricarico-. Ha saltato le recinzioni, ha cercato di influire sulle politiche dei Paesi. È andato a vedere il vero volto del Wto. Cancun dimostra che è possibile riuscire a vincere. Forse il movimento non è più né no-global, né new-global, ma è 'altro-global'”.

Se è vero che il sistema di relazioni multilaterali (con la gioia invisibile di Usa e Cina che danno la sensazione di fregarsene del fallimento di Cancun) non funziona più, questa società civile, che ha scelto di “saltare la rete”, deve dimostrare ora di sapere creare un nuovo mondo di rapporti fra Stati, organismi sovranazionali e popoli.

La dichiarazione finale di Cancun è lunga appena 21 righe. Un foglietto di carta per dire: “Grazie, è andata male”. Più pericolose le parole di Chuck Grassley, potente senatore dello Yowa, presidente della Commissione finanze del Senato Usa: “Valuterò personalmente il comportamento di ogni singolo Stato membro della Wto. Su queste basi, gli Stati Uniti considereranno la possibilità di accordi commerciali con questi Paesi. Qui a Cancun c'è chi ha giocato un ruolo costruttivo e chi no”. Un delegato del Ghana sorride: “Sì, ci aspettiamo la vendetta americana, ma questa volta non ci siamo piegati alla loro arroganza”.

Il Wto ora si leccherà le ferite: a metà dicembre è convocato il Consiglio dei ministri. Dovranno capire se ce la faranno a terminare i negoziati avviati a Doha nel 2001. Hanno tempo fino alla fine del 2004. In mezzo ci sono la guerra perenne in Iraq, le elezioni americane ed europee.

Tutti sanno che quella data non sarà rispettata. Forse, davvero, Cancun è ossigeno per chi temeva un mondo globalizzato in nome di un liberismo senza freni.!!pagebreak!!

Il Messico invaso dal mais modificato made in Usa
Marcos Vasquez è un piccolo contadino del Chiapas.

Sei ettari di terra. Non di più. È venuto fino a Cancun semplicemente per dire: “Non sopravviviamo”. Il trattato di libero scambio con gli Usa (il Nafta) lo ha rovinato. “Come faccio a competere con il mais americano? Come posso battermi contro la concorrenza sleale dei sussidi? Io guadagno 50 pesos al giorno. Non ho speranze. Posso solo emigrare verso gli Stati Uniti”. Dal 1994, l'anno del Nafta, a oggi il prezzo del mais è crollato del 70%. “Sono costretto a vendere tutto il mio raccolto. Qualche anno fa, ne conservavamo una parte per il nostro consumo. Oggi, a casa, mangiamo tortillas fatte con farina americana”.

Il trattato fra Messico e Usa prevedeva la liberalizzazione del mercato del mais (“settore sensibili”) entro il 2008. Ma è avvenuta in soli tre anni invece che in 15. Troppo forte la pressione delle multinazionali Usa (Cargill e Adm) su Città del Messico: ogni anno sono state autorizzate importazioni ben superiori alle quote previste. Un terzo del consumo di mais messicano è coperto da produttori Usa. Secondo Oxfam, i farmers Usa, nel 2000, hanno ricevuto fra 105 e 145 milioni di dollari di aiuti alle esportazioni solo per il mais: è il totale del reddito annuale di 250 mila contadini del Chiapas. Inevitabile la contaminazione ogm: dai campi del Texas e delle grandi praterie americane arrivano oramai tonnellate di pannocchie transgeniche. E, in Messico, la vita quotidiana di 15 milioni di gente dei campi dipende dal mais.

11 milioni di contadini in ostaggio per il cotone
“Un secolo fa, i francesi hanno distrutto la nostra agricoltura di sopravvivenza. Oggi produciamo solo cotone e ci impediscono di competere sui mercati internazionali”.

È arrabbiato Nanrabaye Mouata, consulente del ministero del Commercio del Ciad (11 delegati a Cancun): “Il nostro cotone è di buona qualità, ha un prezzo basso: può competere sui mercati e può vincere.

Ma proprio i Paesi più liberisti proteggono i loro interessi con sussidi sleali concessi ai loro produttori”.

Il caso-cotone è uno scandalo: 125 mila produttori americani ed europei (25 mila negli Usa, 90 mila in Grecia e 10 mila in Spagna) tengono in ostaggio 11 milioni di contadini africani.

Gli Stati Uniti sovvenzionano il cotone in maniera sorprendente: 230 dollari per meno di mezzo ettaro. I farmers Usa nel 2002 hanno ricevuto 3,9 miliardi dollari di sussidi ed hanno prodotto cotone per 3 miliardi di dollari. Il totale di questi sussidi è pari a più del Pil del Burkina-Faso (due milioni di contadini sopravvivono solo con il cotone). È tre volte più alto degli aiuti allo sviluppo degli Stati Uniti per l'intera Africa.

Il Mali ha ricevuto, nel 2001, 37 milioni di dollari di aiuti, ma ha perso 43 milioni di dollari per il crollo delle sue esportazioni di cotone. In dieci anni il prezzo del cotone è crollato della metà.

A Cancun i delegati di Mali, Benin, Burkina-Faso e Ciad, hanno tirato fuori i loro lunghi abiti colorati e hanno mostrato la faccia dura. Sembrava che fossero ascoltati, il cotone era diventato la cartina di tornasole del successo o del fallimento del Wto. In fondo questo non era un round per lo sviluppo?

Non hanno ottenuto nulla: solo un vago impegno a parlarne nei mesi e anni futuri, ma all'interno di un negoziato sul tessile.!!pagebreak!!

Tra i delegati anche un “disobbediente”
A Cancun la Papua Nuova Guinea aveva sette delegati di cui due italiani. Uno era Francesco Rampa, 25 anni, e la sua storia deve essere raccontata. Laurea alla Bocconi in economia dello sviluppo, master in Inghilterra, fra i fondatori del centro sociale Il Barattolo di Pavia: da dieci mesi lavora al ministero del Commercio di Port Moresby. “Disobbediente” e membro di una delegazione al Wto, grazie a una borsa di ricerca dell'Odi, l'Overseas Development Institute di Londra. La Papua Nuova Guinea non ha ambasciatori a Ginevra, non aveva mai presentato un documento al Wto (vi fa parte dal 1996). “Paesi come la Papua non parlano, non scrivono documenti -spiega Francesco Rampa-. Il neocolonialismo passa anche attraverso questo” .

La Papua Nuova Guinea è fra i sette Paesi al mondo che hanno un Pil in caduta libera (gli altri sono l'Iraq o l'Afghanistan).

Cancun, nipote di Seattle
Seattle, novembre 1999. I delegati dei Paesi aderenti al Wto (allora erano 135 contro i 148 di oggi) sono bloccati nei loro alberghi e un intero vertice, la terza Conferenza ministeriale Wto, salta. Il mondo vede la nascita del “popolo di Seattle” e della contestazione al sistema economico mondiale. È a Seattle che i mass-media incominciano a parlare di movimento no-global: un movimento che si rafforza e che “fa tappa” a Praga, Porto Alegre, Genova e Cancun.

Cancun trent'anni fa non esisteva
Il destino dei nati dal nulla
Con il suo carrettino, Ricardo, 49 anni, vende gelati fra le strade di Cancun. Questa volta ha avuto fortuna: la Conferenza ha portato fin qua qualche migliaio di ragazzi. Si sono accampati nelle piazze della città e loro si fidano della frutta pressata nel ghiaccio di Ricardo. Che ha fatto qualche piccolo affare come le venditrici di tortillas di mais. Non è andata altrettanto bene a Mario Vasquez, 57 anni. Lui vive a Villa Verde, lontana periferia della città: le solite baracche sgangherate senza acqua e senza fogne. Qui la vita si misura in una manciata di spiccioli: chi lavora in città (le donne, se vi riescono, fanno le domestiche) ha il problema dei sette pesos del viaggio in autobus. Mario è stato rovinato dal Wto: per più di una settimana i suoi traffici illegali di benzina sono stati bloccati dalla polizia. E questo vuol dire che, per sette giorni, non si è quasi mangiato nella sua casa.

Cancun è città simbolo dell'era contemporanea: trent'anni fa qui non c'era nulla.

Solo paludi e solitudine. Era “il nido dei serpenti”. Oggi vi abitano 750 mila persone, vi arrivano tre milioni di turisti all'anno (27 mila posti letto): zona hotelera, oltre la laguna Nichupté, e quartiere del centro si scrutano senza nemmeno sfiorarsi.

Gli americani che arrivano qua non si muovono dalle spiagge e dalle piscine dei grandi alberghi. È il più sfacciato trionfo della globalizzazione.

Lo sa bene Josè Aguillaon, pescatore di gamberetti di 52 anni. Dalla playa de el niño, spiaggia “popolare” di Benito Juarez, villaggio che esisteva prima di Cancun, Josè guarda la nuova torre del porto costruito da Ultramar, potente società multinazionale. Nascerà anche qui un attracco per grandi barche. La bottega di Josè sarà demolita, la cooperativa di pescatori non reggerà all'urto della concorrenza delle grandi compagnie del turismo internazionale, i traghettatori verso Isla Mujeres saranno sfrattati, McDonald's sta già aprendo il suo locale e i ristorantini del pescados fritos, senza licenza, né regole d'igiene, chiuderanno. Josè conosce il destino dei suoi figli:

“Saranno schiavi. Andranno a lavorare come camerieri o giardinieri nella zona hotelera. Per 38 pesos al giorno. Meno di quattro dollari. Sopravvivranno delle mance dei turisti che comprano pacchetti tutto compreso e non verranno mai da noi a mangiare il pesce. Nessuno di noi pescherà più gamberetti”.

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