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Il lavoro recuperato – Ae 73

Le fabbriche argentine occupate dagli operai dopo i fallimenti del 2001 danno ormai un impiego a 14 mila persone, spiega José Abelli. Un’esperienza che si è diffusa in tutta l’America Latina e che ora guarda al commercio equo e solidale….

Tratto da Altreconomia 73 — Giugno 2006

Le fabbriche argentine occupate dagli operai dopo i fallimenti del 2001 danno ormai un impiego a 14 mila persone, spiega José Abelli. Un’esperienza che si è diffusa in tutta l’America Latina e che ora guarda al commercio equo e solidale.

Quando e come è nato il Mner?

Alla fine degli anni 90 moltissime industrie argentine fallirono a causa di speculazioni sbagliate e dei troppi debiti. I dipendenti rimasero senza lavoro. Allora chiesero ai proprietari di riaprire le imprese, ma senza risultato. Così, in diverse zone del Paese, senza un piano di coordinamento, i lavoratori decisero di riappropriarsi degli stabilimenti, riorganizzarsi e riavviare la produzione. Nel 2000 le imprese recuperate erano una ventina in tutto. Il Mner nacque nel 2001, dopo una riunione dei lavoratori delle imprese recuperate di Santa Fé, Cordoba e Quilme. Il nostro obiettivo era di creare una rete di solidarietà tra gli argentini disoccupati. I politici ci ostacolavano e i sindacati ci avevano abbandonato. Soltanto la popolazione ci ha sempre sostenuto, anche nelle piccole città dove abitano in maggioranza conservatori. Le persone che hanno appoggiato le occupazioni e il recupero delle imprese ora cercano i nostri prodotti nei supermercati e nei negozi, e se non li trovano si lamentano con i distributori.

 Quante sono le aziende recuperate e che cosa producono?

Le aziende recuperate argentine sono 220 e danno lavoro a circa 14 mila persone. Producono materie prime, scarpe, trattori, pasta e altri alimenti. Inoltre abbiamo industrie metalmeccaniche e siderurgiche, tre giornali e molte cooperative di servizi. Abbiamo anche recuperato l’Hotel Bauen di Buenos Aires, un ex albergo di lusso di 20 piani. Ma le aziende recuperate sono una realtà non solo argentina: in Uruguay ce ne sono 20, in Venezuela più di 40 e poi anche in Brasile, Bolivia, Paraguay, Ecuador e Messico. Il prossimo obiettivo è creare delle relazioni stabili tra le aziende recuperate di tutto il Sud America. Molti politici continuano a sostenere che i lavoratori da soli non possono produrre ricchezza, ma questo non è vero. Con il Mner i lavoratori hanno costruito un modello di produzione opposto a quello proposto dal neoliberismo. Noi vogliamo internazionalizzare questo modello ed esportare i prodotti anche all’estero, come stiamo cominciando a fare grazie a Ctm altromercato.

 La vostra collaborazione con Ctm altromercato  è recente. Come funziona e che progetti avete?

Abbiamo cominciato a collaborare con Ctm altromercato alla fine dello scorso anno, con un’operazione della Cuc (Cooperativa unita per le calzature) della ex Gatic di San Martino, in provincia di Buenos Aires, che produce scarpe. Successivamente l’accordo si è allargato alla Textiles di Pigué, per la produzione di magliette di cotone. Queste due cooperative facevano parte del complesso di 22 fabbriche che formavano la Gatic, l’azienda di scarpe più importante dell’Argentina, fallita dopo la crisi del 2001. Ora vogliamo realizzare, in collaborazione con la cooperativa italiana Gommus, una marca di prodotti tessili e di calzature.

La Gommus è un’azienda di Montecarotto (An) recuperata -grazie agli incentivi della legge Marcora- da un gruppo di lavoratori della ex Igam e di nuovi soci quando stava per chiudere nel 1985. Con la Gommus formeremo una cooperativa autogestita dai lavoratori, assunti con contratti dignitosi e in regola. Un modo di produrre etico per realizzare calzature e vestiti che saranno distribuito in Italia e in Europa con il marchio Ctm altromercato. Per la prima volta le imprese recuperate e il commercio equo e solidale daranno origine a un prodotto competitivo anche nel mercato industriale. Inoltre, noi collaboriamo con Lega Coop, che ci ha messi in contatto con Gommus, con Cooperazione di finanza e impresa (Cfi) e Aci/Cicopa.

 Quali sono state le difficoltà maggiori che avete dovuto affrontare per recuperare le imprese?

All’inizio è stato molto faticoso portare avanti l’occupazione delle fabbriche e riavviare la produzione. Per riappropriarci dell’impresa frigorifera di San Lorenzo, una delle prime aziende recuperate dove lavoravo anch’io, abbiamo dovuto occuparla. Dopo pochi giorni sono arrivati i poliziotti per sgomberarci, ma abbiamo resistito anche se molti di noi sono stati denunciati. E abbiamo rimesso in moto l’impresa. Non è stato facile riprendere la produzione senza avere a disposizione fondi o finanziamenti per acquistare le materie prime. Abbiamo lavorato senza stipendio per molti mesi anche 12 ore al giorno, chiedendo anticipi ai clienti e credito ai fornitori. Come noi hanno agito anche i lavoratori di altre aziende. Ad esempio, quando la fabbrica di macchine agricole Zanello è stata recuperata, a mandarla avanti erano rimasti soltanto 40 dipendenti. Avevano un unico trattore. Come è accaduto in molti altri casi, il proprietario non si era limitato a chiudere l’attività ma aveva anche portato via i macchinari. Nel 2002 i lavoratori prendevano soltanto i 30 euro al mese del sussidio di disoccupazione.

Ora la Zanello copre il 75 per cento del mercato dei trattori in Argentina e produce anche schiacciasassi e pale meccaniche. Ci lavorano 380 persone che guadagnano circa 500 euro al mese, un buono stipendio, il 30 per cento in più del salario medio nazionale. L’attività della Zanello va molto bene: nel 2005 ha venduto per 30 milioni di euro.

 Come è organizzato il lavoro all’interno delle aziende del Mner?

La maggior parte delle aziende recuperate sono organizzate in forma di cooperative e i presidenti sono ex operai. Nella prima fase tutti ricevono lo stesso stipendio, indipendentemente dal ruolo che hanno. Poi, quando l’attività riparte e si comincia a vendere, i salari aumentano e si differenziano: chi ha ruoli di responsabilità guadagna 3-4 volte in più di chi fa l’operaio. Uno stipendio uguale per tutti secondo noi sarebbe un’ingiustizia. Gli investimenti vengono decisi in assemblea generale, rispettando il parere di tutti i lavoratori. Le decisioni esecutive, invece, vengono stabilite quotidianamente dal consiglio di amministrazione. Vorremmo riuscire a far lavorare tutti 8 ore al giorno, ma non sempre è possibile. Anche se la Banca interamericana di sviluppo ci ha aiutato con dei finanziamenti a fondo perduto per potenziare i piani di investimento delle fabbriche, non abbiamo facile accesso al credito. Dobbiamo quindi contare soprattutto sulle nostre forze. Comunque, facciamo in modo che il lavoro all’interno della fabbrica sia a misura d’uomo e che non si creino ingiustizie. Vogliamo costruire un modello che a differenza di quello delle multinazionali non si basi sullo sfruttamento della manodopera a basso costo, ma sulla dignità delle persone.

 Com’è il vostro rapporto con il presidente argentino Nestor Kirchner e qual è il leader sudamericano più adatto a promuovere un’organizzazione del lavoro come la vostra?

A noi Kirchner piace, i membri del suo governo un po’ meno. Dopo essere stato eletto, Kirchner è venuto a visitare alcune aziende recuperate e ci ha invitati alla Casa Rosada, il palazzo del Governo a Buenos Aires.

Poco tempo fa ha firmato una legge che permetterà alla Zanello di produrre auto come le grandi multinazionali che operano sul territorio: Fiat, General Motor, Ford e Volkswagen. Questo è stato un gesto politicamente molto forte perché la Zanello non è una multinazionale, ma ha delle grandi potenzialità produttive. La politica di Kirchner garantisce lo sviluppo dell’autogestione. Ma il sostegno che le istituzioni e i sindacati ci danno non è ancora sufficiente. Indubbiamente il leader sudamericano che promuove maggiormente la forma cooperativa è Hugo Chavez.

Lo scorso ottobre ci ha convocati per partecipare al Primo incontro latinoamericano delle fabbriche recuperate dai lavoratori. Noi crediamo che Chavez sia democratico. Inoltre in Venezuela la Costituzione Bolivariana prevede e promuove la formazione di cooperative.

José Abelli ha cinquant’anni: è il presidente del Movimento nazionale delle imprese recuperate argentine (Mner). Il movimento è nato nel 2001, quando a causa della crisi argentina molte industrie sono fallite. Per non restare disoccupati i lavoratori che avevano perso il posto hanno deciso di occupare le fabbriche e riavviare la produzione. Oggi le imprese recuperate sono 220 e danno lavoro a 14 mila persone. www.mnerweb.com.ar

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