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Finanza / Approfondimento

Il lavoro in banca

Dopo anni di sprechi, l’Abi affronta il periodo di crisi con pesanti tagli al personale. Una ristrutturazione i cui costi ricadranno sui correntisti

Tratto da Altreconomia 126 — Aprile 2011
Per molti cittadini è solo uno di quei complicati codici che servono a farsi accreditare lo stipendio sul conto corrente o per pagare il condominio. Ma l’Abi (Associazione bancaria italiana), organizzazione privata tra tutte le banche, è molto di più. Nata nel 1919, sciolta dal regime fascista nel 1937, si è ricostituita nel 1945, quando molte banche erano ormai pubbliche. 
 
Dal 1992, l’Abi ha accompagnato il processo di privatizzazione dell’industria bancaria italiana avviato dal governo Amato, uscendo anch’essa dal torpore del bel palazzo in cui ha sede (uno dei più fastosi palazzi della Roma barocca, di proprietà della storica e papalina famiglia Altieri).
 
In tale periodo Giuseppe Zadra è stato il demiurgo dell’Abi, favorendone la crescita quantitativa e qualitativa. Qualitativa perché alla tipica attività associativa (relazioni sindacali e lobby a porte chiuse con le istituzioni) si sono aggiunte tante altre iniziative, tese anche allo sviluppo del business bancario, spesso promosse da nuovi enti, satelliti di Abi, che con essa sono andati a costituire il cosiddetto “sistema Abi”. È il caso di Cbi, Abi Lab, Abi Energia, Bancomat, PattiChiari. In termini quantitativi, ciò ha significato un aumento del personale (a livello di “sistema”) da poco più di un centinaio di dipendenti a fine anni 80 ai circa 500 di oggi. La crescita ipertrofica dell’associazione non ha mai infastidito nessuno, almeno finché i tassi di profitto delle banche sono stati doppi rispetto a quelli dell’industria. Dal 15 settembre 2008, giorno del crack Lehman, le cose cambiano anche per gli istituti di credito italiani. 
E per l’Abi.
 
Un  nuovo presidente.
Nel 2009, dopo 17 anni, Zadra lascia e viene sostituito da Giovanni Sabatini, la cui gestione però non si caratterizza in modo significativo. Fino al luglio 2010, quando arriva alla presidenza Giuseppe Mussari. Presidente del Monte Paschi di Siena, con Mussari cambia qualcosa di profondo nelle logiche che guidano l’associazione delle banche. Da settembre 2010, a dispetto di ogni prassi consolidata e annunci anche recenti, ogni contratto di lavoro “precario” arrivato a termine non è stato rinnovato. Tra settembre e dicembre sono stati circa 60 i giovani lavoratori usciti in questo modo da Palazzo Altieri. In aggiunta a ciò, l’Abi ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per 80 dipendenti a tempo indeterminato, su un totale di 308. 
 
La lunga trattativa sindacale che ne è conseguita si è chiusa lo scorso febbraio con la firma di un accordo tra Abi e tutte le sigle sindacali. Un accordo duramente contestato dai dipendenti dell’associazione bancaria, che hanno anche scritto una lettera aperta al Comitato esecutivo (l’organo deliberante in cui siedono i principali banchieri italiani, da Passera a Ponzellini) per scongiurarne gli effetti. La lettera non ha sortito alcun effetto, ovviamente. Così 36 dipendenti sono stati mandati a casa, l’emorragia di precari è continuata e i lavoratori rimasti si ritrovano con forti decurtazioni dello stipendio. E chi l’aveva scritto, o aveva espresso gli stessi concetti durante le assemblee dei lavoratori, è stato ricambiato con l’assegnazione di ruoli inferiori ai precedenti e assegnazioni di mansioni fuori registro. Ma è possibile che l’associazione delle banche italiane si trovi in una situazione così drammatica?
 
I numeri non sono dalla parte di Mussari. L’Abi sostiene di essere in perdita da 5 anni. Ma l’azienda aveva un piano di rientro che puntava sull’assorbimento dell’ingente patrimonio (si dice intorno ai 100 milioni di euro, ma gli stessi sindacati non hanno avuto dall’azienda un dato ufficiale), tanto che, fino a settembre 2010, ha continuato ad assumere nuovo personale. Non solo: nel mese di luglio Sabatini aveva “confermato” ai responsabili dei tanti settori e uffici, che per tutti i precari si sarebbe andati ad una “stabilizzazione”. Inoltre, nello stesso mese, esattamente come negli anni precedenti, è stato attribuito un premio di produzione al personale per più di 1 milione di euro. 
 
In generale, ancora oggi non sembra che la gestione dell’associazione sia stata improntata alla sobrietà: 10 milioni di euro sono stati spesi per ristrutturare l’ex cinema Altieri, dentro il palazzo che ospita i banchieri, ancora non utilizzato e non messo a reddito in alcun modo; circa 3 milioni di euro sono stati dati come buonuscita ai dirigenti usciti recentemente; non si sono risparmiati eventi e serate di gala -come il recente concerto di Uto Ughi- dal costo medio di 300mila euro. Dov’è il buco allora?
 
La partita più grande.
Forse questa inedita vicenda dell’associazione bancaria va letta con altre lenti. A partire dalla serrata trattativa che durante questo anno vedrà l’Abi contrapposta ai sindacati per il rinnovo del contratto nazionale del credito. Ciò che i sindacati temono è che quanto è accaduto in Abi sia usato come esempio e minaccia per rafforzare i banchieri nel lungo braccio di ferro previsto. Se è successo in Abi, si dice, può succedere ovunque. Non è un caso che con Mussari ci sia Francesco Micheli, nominato dal Comitato esecutivo dell’Abi responsabile degli affari sindacali e ben noto nel settore per la gestione della ristrutturazione avuta in Intesa Sanpaolo. Tra pre-pensionamenti, precarizzazione del personale allo sportello, taglio significativo delle remunerazioni attuali (in Abi si è arrivati al 25%), Micheli si gioca quest’anno la chance di sforbiciare e “flessibilizzare” molto il costo del lavoro delle banche italiane, che soffrono di asfittici conti economici che spingono spesso il governatore di Bankitalia Mario Draghi a richiamarle in materia di redditività. 
 
Il tempo della comunicazione.
Alla significativa questione contrattuale si aggiunga la forte vocazione comunicativa di Mussari. L’avvocato calabrese, già presidente della Camera penale senese, adottato a tal punto dalla ricca e potente comunità toscana da essere messo a presiedere la sua creatura più importante, il Monte dei Paschi, ha sostituito il prudente cattolico bresciano Corrado Faissola. Un banchiere “sui generis”, dal profilo più “politico”, perfetto per quella particolare realtà che è il Monte (“una grande piccola banca”, dicono nei corridoi di Palazzo Altieri), ha sostituito “un banchiere per vocazione”, cresciuto a pane e banca sotto l’ombra di Bazoli.
 
Mussari ormai imperversa sui giornali, in particolare il Messaggero, dato il gran feeling con Caltagirone (editore del quotidiano romano e azionista importante del Monte Paschi di Siena). Inizia a farsi vedere in televisione, dove i modi “insoliti” per un banchiere colpiscono l’opinione pubblica. Ultimamente ha anche presentato una linea di abbigliamento: spopolano sul web le sue foto con un felpone che ricorda il primo Lapo Elkann. Il suo protagonismo al momento piace ai banchieri. Anche se sta svuotando di competenze e funzioni una struttura storicamente al servizio delle banche. Che appare destinata a diventare solo una delle tante (troppe) casse di risonanza dei mal di pancia di una corporazione, quella -certo non debole né trascurata- dei banchieri italiani. 
 
Si prenda il caso di PattiChiari. PattiChiari non è un esempio solo in positivo, e la vicenda Lehman ce lo ricorda, ma resta comunque oggi il principale attore della trasparenza in banca. Cosa verrà al suo posto?  Una buona occasione per liberarsi di “ingombranti orpelli” come il confronto dei costi dei conti correnti, i tempi medi di risposta al credito, i tempi di versamento degli assegni. Il rischio, alla fine, è che la vera “ristrutturazione” riguardi i rapporti tra banche e clientela. Con (ancor) meno trasparenza e maggiori costi per i cittadini e le imprese che delle banche non possono fare a meno.
 
 
 
patti un po’ meno chiari
Il primo a subire i tagli in Abi è stato Massimo Roccia, 48 anni, ex Direttore centrale dell’Area business. Roccia era da tutti considerato il delfino di Giuseppe Zadra. Ha lasciato l’Abi a fine 2010, ma è tuttora il segretario generale di PattiChiari. Promosso come consorzio di banche nel 2003 per favorire la relazione con la clientela, nel tempo PattiChiari è diventato il principale laboratorio di autoregolamentazione delle banche, aprendosi in via crescente anche al confronto con i cosiddetti stakeholder, associazione dei consumatori e delle imprese. Tanto che nel 2009 il consorzio PattiChiari ha cambiato natura: è uscito dalla sola sfera di controllo bancaria e ha aperto la sua governance alle associazioni dei consumatori, coinvolgendo anche illustri “saggi” nei propri organi: da Valerio Onida a Pippo Ranci, per non dimenticare Filippo Cavazzuti, primo presidente “non Abi”, già commissario Consob.
 
Oggi il sito web del consorzio (www.pattichiari.it) è un grande contenitore di informazioni sulle banche, con numerosi motori di confronto utili al cliente per mettere alla prova la concorrenza del settore: sugli assegni, i conti correnti, i tempi di risposta alle richieste di credito ecc. Nonché il principale portale italiano per l’educazione finanziaria, con una sezione dedicata alle scuole, una per le piccole imprese, una per i cittadini stranieri in sei lingue. Ad alcuni non piace che siano le banche a promuovere l’educazione finanziaria. Resta il fatto che oggi PattiChiari, con i suoi circa 400mila cittadini coinvolti, rappresenta la più grande operazione realizzata in Italia sul tema. 

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