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Diritti / Opinioni

Il Governo deve ripristinare la protezione umanitaria. Non ci sono più alibi

© Michele Bitetto - Unsplash

Che cosa hanno detto le Sezioni Unite della Cassazione sull’irretroattività del “Decreto Salvini”. La rubrica di Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Tratto da Altreconomia 221 — Dicembre 2019

Con la sentenza numero 29460/2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla immediata applicazione di una parte del “decreto sicurezza”. In particolare, di quella che ha abrogato l’articolo 5, comma 6 del Testo Unico (TU) sull’immigrazione del 1998, che consentiva alle Commissioni territoriali di riconoscere la protezione umanitaria in assenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale. Non pensate che sia una soporifera tematica attinente solo allo stretto campo giuridico: la sentenza ha una grande portata sociale, che investe la vita di migliaia di persone e interroga sul da farsi il Governo in carica, succeduto al furore salviniano.

Vediamo in sintesi cosa dice la sentenza: frustrando del tutto la finalità perseguita dall’ex ministro dell’Interno di far cessare la “pacchia” della protezione umanitaria, le Sezioni Unite hanno affermato che la normativa introdotta con il decreto 113/2018 “nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge”. Esse, pertanto, dovranno essere esaminate secondo la previgente normativa, con diritto al rilascio, se riconosciuta la tutela umanitaria, a un permesso di soggiorno “casi speciali”, di durata biennale e convertibile alla sua scadenza.

Quanto ai presupposti della protezione umanitaria, le Sezioni Unite hanno confermato l’approdo cui era già giunta la storica sentenza n. 4455/2018 (seguita da moltissime altre), che aveva valorizzato l’integrazione sociale del migrante, in attuazione dell’articolo 2 della Costituzione e dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, affermando la necessità di fare un’attenta comparazione con il rischio di violazione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine. Come già ricordato su queste pagine (vedi Ae 220), enormi sono stati i danni provocati dalla irragionevole abrogazione della protezione umanitaria. Abrogazione che è avvenuta senza preoccuparsi né dell’esistenza dei precisi obblighi costituzionali e internazionali richiamati dal già citato articolo 5, comma 6 del TU immigrazione, né degli effetti che l’abrogazione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie avrebbe provocato. Uno è l’abnorme percentuale di rigetti delle domande di protezione internazionale, un altro l’aumento vertiginoso del contenzioso giudiziale, con danni enormi alle finanze pubbliche e la creazione di una moltitudine di irregolari esposti al grave sfruttamento lavorativo e alla marginalità sociale.

Come conseguenza della sentenza le commissioni territoriali si troveranno a dovere riesaminare migliaia di domande rispetto alle quali, dal 5 ottobre 2018, si sono astenute dall’esaminare anche la protezione umanitaria, con ulteriore danno alle finanze pubbliche. Anche questa è la triste eredità che ci lascia il Governo del “Capitano”.

Dopo questa ennesima triste storia italiana l’interrogativo è sulle intenzioni del nuovo Governo: avrà il coraggio e la dignità di ripristinare la protezione umanitaria quale essa è stata fino al 2018? Lo ricordiamo: rappresentava una norma affatto marginale, bensì di grande importanza nel nostro ordinamento democratico, e in grado di dare piena attuazione alla nozione di diritto d’asilo prevista dall’articolo 10 della Costituzione. L’alternativa è scegliere invece la strada dell’eterno rinvio, o di attorcigliarsi attorno a un testo di modifica confuso e pasticciato, destinato a non risolvere nulla se non a riaprire nuove ferite nella tutela dei diritti fondamentali della persona e nuovi contenziosi giudiziari.

Il silenzio, sul punto, è ancora totale.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché vice-presidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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