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Il futuro dieci anni dopo – Ae 68

Nel 1995, gli accordi di Dayton mettono fine alla guerra in Bosnia. Che oggi è ancora un Paese diviso In questo freddo mese di gennaio a Sarajevo si passano le consegne. Il tedesco Christian Schwarz-Schilling assumerà l’incarico di Alto rappresentante…

Tratto da Altreconomia 68 — Gennaio 2006

Nel 1995, gli accordi di Dayton mettono fine alla guerra in Bosnia. Che oggi è ancora un Paese diviso

In questo freddo mese di gennaio a Sarajevo si passano le consegne. Il tedesco Christian Schwarz-Schilling assumerà l’incarico di Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina il prossimo 31 gennaio. Nominato il 14 dicembre, a Parigi, succederà a Lord Paddy Ashdown, in carica dal 27 maggio 2002. Il settancinquenne ex ministro delle poste del governo Kohl resterà in carica fino alle prossime elezioni, che si terranno nell’ottobre 2006. Dopo di che l’Ufficio dell’Alto rappresentante dovrebbe essere sostituito da una missione internazionale dimagrita e guidata dall’Unione Europea.

La nomina di Schwarz-Schilling è avvenuta in concomitanza col decennale della firma ufficiale dell’Accordo di Dayton.

Il 21 novembre 1995, in una base militare dell’Ohio, i tre signori della guerra, Slobodan Milosevic, Alija Izetbegovic e Franjo Tudjman, dopo tre settimane di estenuanti trattative, raggiungono l’accordo di pace, che da allora prende il nome di Accordo di Dayton. Meno di un mese la firma ufficiale a Parigi.

Quel giorno in Bosnia Erzegovina si fermava una delle più sanguinose guerre europee, durata tre anni e mezzo. Molti furono quelli che persero la vita, migliaia gli sfollati ed i rifugiati. Secondo l’autorevole Centro di ricerca di Sarajevo, diretto da Mirsad Tokaca, le vittime attestate della guerra in Bosnia sono state 93.837. Per quanto riguarda profughi e sfollati è invece intervenuto di recente il ministro bosniaco per i Diritti umani e i profughi, Mirsad Kebo, secondo il quale circa metà dei profughi ha fatto rientro nelle proprie regioni, ma ci sarebbero ancora “186 mila persone in Bosnia Erzegovina che godono dello status di sfollati interni, e circa un milione di cittadini residenti all’estero”.

In questi dieci anni i cambiamenti sono stati molti, soprattutto per dare forza a uno Stato unitario: riforme dell’esercito, della polizia, del sistema televisivo pubblico. Ma molti vedono i limiti di Dayton. L’accordo ha fermato la guerra, ma ha anche riconosciuto i risultati della pulizia etnica.

Sempre più si parla dell’approvazione di una Costituzione.

In questi anni è stato l’Annesso IV agli accordi di pace a rappresentare la Costituzione della Bosnia Erzegovina.

Un documento che ha visto la luce in una lingua aliena (l’inglese) a quella locale, e che, per l’appunto, serviva per interrompere una carneficina, ma che non ha mai avuto la forza, se mai lo poteva, di far uscire il Paese dall’eredità della guerra. Anche perché dava vigore, come soggetti politici, a criteri di collettività etnico-nazionali e non ai singoli cittadini.

A dieci anni da Dayton, la maggior parte degli abitanti della Bosnia Erzegovina si è resa conto che il Paese non è quello che si aspettava che fosse: alto tasso di disoccupazione, povertà diffusa, aumento della criminalità, corruzione, fuga di cervelli, divisioni etniche nelle scuole. Anche la buona notizia del via libera Ue per avviare i negoziati per la firma dell’Accordo di associazione e stabilizzazione, primo passo verso la futura candidatura a membro dell’Unione, non solleva molto l’umore della gente. Il futuro europeo suona più come una chimera che come una realtà tangibile.

La serbia sopravvive. Punto

Viaggio a Kragujevac, la città dell’auto simbolo del benessere passato.

Il presente è un accordo con Fiat

Martedì 20 settembre, a Torino e Belgrado, Fiat e Zastava hanno annunciato un accordo per il montaggio su licenza della Punto negli stabilimenti di Kragujevac, in Serbia.

180 mila abitanti, Kragujevac è uno spaccato degli ultimi 50 anni di storia nei Balcani. Qui, nei decenni passati, sono state prodotte un milione di “piccole Fiat”, la versione slava della 600 del gruppo torinese. Anzi, per la precisione 923.487.

Per il milione non si è più in tempo, la Jugoslavia non c’è più.

Il primo contratto per la produzione su licenza di modelli Fiat a Kragujevac risale al 1953. L’azienda serba, nata un secolo prima come fabbrica di armi, aveva da poco mutato denominazione in “Crvena Zastava”, bandiera rossa.

Dal 1953 al 1990, Zastava e Fiat hanno firmato e rinnovato una lunga serie di accordi. Alcuni modelli erano diventati una vera e propria icona della modernizzazione e dello sviluppo della Jugoslavia degli anni 60 e 70.

La disgregazione del Paese e l’inizio del decennio di guerre nei Balcani avevano poi segnato il crollo della produzione della Zastava e l’interruzione della collaborazione con la casa automobilistica italiana.

L’accordo firmato ora con la Fiat, da un lato si inquadra nel piano di recupero dei crediti che l’azienda torinese vanta nei confronti dell’azienda serba, dall’altro rompe un lungo isolamento, aprendo la strada a possibili collaborazioni tra aziende dell’indotto automobilistico italiano e della Serbia e Montenegro. L’accordo -di cui da tempo sui media serbi si discuteva- concede alla Zastava una licenza per assemblare autovetture con componenti provenienti dagli stabilimenti di Mirafiori. La Fiat, dopo il lancio nei mesi scorsi della Grande Punto, continuerà infatti a produrre vetture complete del modello precedente anche per tutto il 2006, prima di sospenderne la produzione. L’inizio dell’assemblaggio della “vecchia” Punto -con componenti sempre prodotti a Mirafiori- a Kragujevac, è previsto per il primo trimestre del 2007.

15 milioni di euro l’investimento di Zastava per avviare l’assemblaggio, per mettere insieme 16 mila Punto l’anno.

Le vetture saranno vendute attraverso la rete commerciale della casa automobilistica serba. Destinate principalmente al mercato serbo, verranno esportate anche in Macedonia, Croazia, Romania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria e Albania.

Cosa questo significherà in concreto per Kragujevac, e per la Zastava, resta da vedere. La fine della Jugoslavia aveva significato il drastico ridimensionamento della produzione automobilistica, e la Zastava era passata dalle 220 mila vetture del 1989 a produrre poco più di 10 mila vetture all’anno.

Quasi il 10% della popolazione di Kragujevac è costituito da sfollati dal Kossovo e rifugiati originari di Bosnia e Croazia. Secondo le stime ufficiali sarebbero circa 14 mila. Durante gli anni 90 si è verificato uno spostamento di popolazione lungo un tracciato che era stato già definito dalle migrazioni economiche interne alla Jugoslavia negli anni 60 e 70.

In molti infatti in quegli anni arrivarono per lavorare alla Zastava fino a quadruplicare gli abitanti della città. Poi, a seguito dei drammatici anni 90 e in particolare dopo i bombardamenti Nato del ‘99, sono arrivati anche parenti, amici e conoscenti, alla ricerca di un appiglio qualsiasi per ricostruirsi la vita dopo essere stati obbligati a lasciare le proprie case. Prima ci si è mossi per lavoro e poi per la guerra, quando, di lavoro, non ne era rimasto per nessuno.

“Siamo sopravvissuti a quegli anni solo perché la Serbia dopotutto è un Paese ricco. In molti hanno l’orto. In qualche modo ci si è arrangiati” racconta Liljana Palibrk, dita allungate e decise, mani richiuse una sull’altra. “Il problema è che ancora oggi molti non lavorano e in generale qui a Kragujevac ci si aspetta che qualcuno venga da fuori e risolva i nostri problemi”. Liljana a Kragujevac presiede l’Helsinki Comittee for Human Rights, organizzazione internazionale che si occupa di tutela dei diritti umani.

L’accordo con la Fiat, per il momento, non consente grandi euforie. Eppure in Serbia la notizia è stata accolta con grande sollievo. D’altra parte per cinquant’anni Kragujevac è stata la Zastava. Ciascun cittadino di Kragujevac o ci ha lavorato o ha un parente che lo ha fatto. Il traffico qui è un’alternarsi incessante di modelli Zastava, come da nessun’altra parte in Serbia. “Nel 2005 siamo arrivati a produrre 14 mila veicoli -ricorda Kostic-. Poco se si ricorda che abbiamo il potenziale per produrne 60 mila. Di più no, perché molti macchinari e strutture non sono più stati ricostruiti dopo i bombardamenti del 1999”. Poi un elenco di vantaggi che potrebbero convincere un acquirente ad acquistare una Zastava.

“I prezzi sono molto bassi, vanno dai 3.100 ai 5.300 euro, abbiamo reti di vendita e d’assistenza capillari in tutta la Serbia e infine i pezzi di ricambio sono a buon prezzo”.

Poi il rammarico per gli ultimi 15 anni. “Eravamo una delle principali aziende automobilistiche dell’Est Europa. Ora la Dacia rumena ha una partnership con la Renault, la Skoda con la Volksvagen e noi siamo rimasti a piedi”. Un grande poster ricorda che negli anni 80, in un rally negli Stati Uniti, una Yugo ha sconfitto marche ben più prestigiose. È in inglese.

Al culmine del suo successo, nel 1985, la Zastava è stata la prima azienda automobilistica dell’Est Europa a esportare negli Stati Uniti. 140 mila vetture vendute e una fama ambigua: gli americani rimasero soprattutto sorpresi e affezionati al modello che si chiamava “Yugo” (“tu vai”, e nonostante questo proprio non andava).

Da allora è come se la città fosse stata piegata in due e i grandi capannoni avessero finito per schiacciare e soffocare la città. Nel 1991 la Jugoslavia è andata in pezzi. Con essa letteralmente è andata in pezzi anche la Zastava. Si è frammentato il mercato e soprattutto si è interrotta la produzione. A Spalato, Croazia, la Jugoplastika produceva gli interni e poi vi erano altri stabilimenti in Kossovo, Slovenia e Bosnia. Quelle che erano relazioni del tutto interne alla fabbrica sono divenute relazioni internazionali, per di più tra Paesi in guerra. Poi le sanzioni internazionali alla Serbia e nel 1999 sulla Zastava sono cadute le bombe della Nato.

Il sistema Zastava ha subito, nel 2001, un’imponente ristrutturazione. Il colosso è stato scomposto in dodici componenti, ciascuna autonoma, e i lavoratori sono stati radicalmente ridotti. La ristrutturazione serviva soprattutto in chiave privatizzazioni. “Alcuni settori, i più appetibili, sono stati privatizzati. Ad esempio il settore che produce attrezzi, la Zastava Alati, è stata comperata dagli sloveni” racconta Dusan Kukic, laurea in economia presso l’Agenzia regionale per lo sviluppo economico con sede a Kragujevac. “Per il resto…”.

Attualmente la stessa Zastava, per precisione la Zastava Oruje -2.600 dipendenti, 5.600 prima della ristrutturazione del 2001- produce armi per la Nato. Un contrasto che stupisce. Da una parte i bombardamenti e un’epopea legata a questi ultimi e dall’altra si producono armamenti per gli stessi che ti hanno bombardato. Chiediamo un commento a Rade Gromovic direttore marketing della Zastava Oruje, gessato elegante e sigarette sottili. Una piccola pausa e un’unica parola, alzando le sopracciglia: “Politika”

Sono in molti, seppur in maniera differente, a non sentirsi responsabili per quanto avvenuto negli ultimi 15 anni.

Ma a Kragujevac si lavora anche per uno sviluppo che prescinda dalla grande industria. Su programmi di questo tipo lavora l’Agenzia regionale per lo sviluppo, organismo istituito grazie a varie agenzie internazionali tra le quali il programma dell’Undp-Unops e l’Agenzia europea per la ricostruzione. Secondo le stime dell’Agenzia sarebbero circa 22 mila i disoccupati a Kragujevac.

“Occorre che venga cambiato il paradigma e che dalla città ci si sposti in campagna” afferma Cole, alias Branislav Kovacevic, presidente della Koalicija Sumadjie, partito regionalista che fece parte della coalizione Dos, quella in grado, nel 2002, di sconfiggere Slobodan Milosevic.

“Lo sviluppo della Serbia non può prescindere dall’agricoltura. Anzi è da questa che deve ripartire. Occorre una profonda riforma agraria, le aziende agricole vanno ripensate e modernizzate. Ci sono troppi appezzamenti piccoli e bisogna uscire dalla produzione di sussistenza”.

La campagna che ha fornito un’ancora di salvataggio in questi anni di crisi ed embarghi come volàno per lo sviluppo.

“La Zastava? Sarebbe stato meglio se i bombardamenti della Nato l’avessero rasa al suolo” aggiunge, polemico verso il peso del “gigante” sullo sviluppo della città.

Entità separate

La fase “bosniaca” della guerra nella ex Jugoslavia inizia all’indomani della dichiarazione di indipendenza della Bosnia Erzegovina, riconosciuta Stato indipendente dall’allora Cee il 6 aprile 1992. Nei soli primi tre mesi di guerra civile si calcolano almeno 40 mila morti. Oggi Bosnia Erzegovina è costituita da due entità, la Federazione BiH (croato-musulmana, 51% del territorio) e la Republika Srpska (serba), più il distretto autonomo della città di Brcko.

La guida del Paese è affidata a una presidenza collegiale composta di un serbo, un croato e un musulmano.

L’attuale unione Serbia-Montenegro nasce invece il 4 febbraio 2003,  in base agli accordi di Belgrado del marzo 2002. È un unione “leggera”, che ha in comune le politiche estera e di sicurezza e prevede una progressiva convergenza economica. Secondo gli accordi l’unione è una “prova” che si esaurirà nel 2006.

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