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Ambiente

Il fondo speculativo italiano guarda all’acqua

680mila firme contro 150 milioni di euro. Sono i numeri a misurare la differenza tra l’acqua “bene comune” e l’acqua “merce”. Il primo (680mila) racconta il numero delle firme raccolte nel primo mese delle campagna referendaria contro la privatizzazione del…

680mila firme contro 150 milioni di euro. Sono i numeri a misurare la differenza tra l’acqua “bene comune” e l’acqua “merce”. Il primo (680mila) racconta il numero delle firme raccolte nel primo mese delle campagna referendaria contro la privatizzazione del servizio idrico integrato; il secondo misura invece l’investimento nel settore del servizio idrico integrato dalla società di gestione del risparmio F2i (Fondi italiani per le infrastrutture sgr).
E se il primo dato dà conto della volontà dei cittadini italiani di frenare l’ingresso di capitali privati e di capitali finanziari e speculativi nel società che portano nelle nostre case l’acqua potabile, diventata scelta obbligata con la legge Ronchi del novembre scorso, il secondo è un investimento che da quel testo di legge prende le mosse: nel comunicato stampa del 24 maggio scorso con cui Iride Acqua e Gas spa (società del gruppo Iride), F2i rete idrica italiana spa e F2i sgr spa danno conto dell’accordo, spiegano che esso ha finalità di “concentrazione e sviluppo dell’attività idrica”, intendendo con questo” di essere in grado, anche dal punto di vista finanziario, di realizzare (a) il piano degli investimenti previsto dal Piano d’Ambito dell’Ambito territoriale ottimale genovese, e (b) un programma di partecipazione alle future gare ad evidenza pubblica per l’assunzione di partecipazioni ovvero la gestione di ulteriori ambiti territoriali, allorquando troverà applicazione il nuovo regime delineato dall’entrata in vigore del Decreto Ronchi”.

La carta d’identità di F2i, una sgr che raccoglie 1,8 miliardi di euro, aiuta a capire chi sono gli sponsor di questa operazione: Banca infrastrutture innovazione e sviluppo, del gruppo Intesa-Sanpaolo, Cassa depositi e prestiti, Merrill Lynch, Unicredit, Cariplo, Cassa di risparmio di Torino, Monte dei Paschi di Siena, Cassa di risparmio di Cuneo, Cassa di risparmio in Bologna, Cassa di risparmio di Padova e Rovigo e Cassa di risparmio di Forlì, gli istituti di previdenza Inarcassa e Cipag.
Tra queste, Intesa-Sanpaolo e Fondazione Cassa di risparmio di Torino erano già azioniste di Iride.  

L’accordo tra Iride e F2i, che è guidata da Vito Gamberale (nella foto in apertura), già amministratore delegato di Atlantia (cioè di Autostrade per l’Italia, società del gruppo Benetton), ruota intorno a due società: San Giacomo (il “veicolo” attraverso il quale verrà realizzato il progetto) e Mediterranea delle Acque, già quotata in Borsa. Alla prima verrà conferita da Iride la partecipazione detenuta nella seconda, pari a circa il 68,323% del capitale sociale. Il 25 maggio, poi, San Giacomo ha acquistato le azioni detenute in Mediterranea delle acque da Veolia Eau-Compagnie Generale des Eaux S.A. (pari a circa il 17,090% del capitale) al prezzo di 3 euro per azione. A questo punto, F2i Rete idrica italiana è pronta a sottoscrivere entro il 1 giugno un aumento del capitale di San Giacomo da 39,5 milioni di euro.
Il punto d’arrivo di questo processo prevede il delisting, ovvero l’uscita dalla Borsa di Mediterranea delle acque, mediante un’offerta pubblica di acquisto totalitaria volontaria da parte di San Giacomo, al prezzo di  tre euro per azione.
A quel punto, Iride e F2i lavoreranno per creare “un polo industriale dell’acqua”, il “campione nazionale” del servizio idrico integrato.

Tutta l’operazione è stata, ovviamente, benedetta da Borsa Italiana (una società per azioni tra i cui azionisti privati ci sono Intesa-Sanpaolo e Unicredit, nomi che troviamo anche tra gli sponsor di F2i). “Mediterranea delle Acque -si legge in una nota Ansa del 25 maggio-vola in Borsa (+12,74% a 2,96 euro) e si allinea al prezzo di 3 euro per azione a cui verrà lanciata l’Opa sulla società”. E, nel frattempo, è stata completata anche la fusione tra Iride -partecipata attraverso Sviluppo Utilities dai Comuni di Torino e Genova- ed Enìa, altra società quotata in Borsa, emiliana.

Un’analisi dell’intera vicenda è stata pubblicata sul sito del Comitato promotore del referendum per l’acqua pubblica: “Il caso di Iride è particolarmente indicativo visto che il gruppo partecipato da Genova e Torino, oltre che di Mediterranea delle acque, è anche socio di Acque potabili e sta completando un processo di fusione con Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari, nata dalla fusione delle S.p.A. delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Iride ed Enìa insieme definirebbero un asse “padano occidentale” con 4 miliardi di capitalizzazione di borsa e 2,5 milioni di “clienti” solo per il servizio idrico, senza contare le quote di cittadini palermitani portati in dote da Iride e di Enna portati in dote da Enìa”. L’accorpamento di tutte le gestioni idriche tra Piemonte, Liguria, Emilia, Sicilia non avverrebbe, però, nell’interesse dei cittadini. E la partita potrebbe allargarsi anche a Smat, la società per azioni a totale controllo pubblico che gestisce il servizio idrico integrato nelle città di Torino. “Aprendo le porte dell’azienda a un soggetto come F2i, e vincolandosi a un patto parasociale, Genova e Torino rinunciano alla posizione del Comune imprenditore e completano il passaggio verso la posizione del Comune azionista” ha scritto Massimo Mucchetti in un commento sul Corriere della Sera: il Comune non è più responsabile e garante di un servizio e di un diritto per tutti i cittadini, ma solo uno dei tanti soci che attende l’assemblea di aprile per sapre quanto incasserà sotto forma di dividendo.  

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