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Ambiente

Il dissesto del Cadore

Nel cuore delle Dolomiti, una comunità convive col pericolo frane. Ma più che della natura la responsabilità potrebbe essere di abusi edilizi e appalti scadenti Borca di Cadore si trova nel cuore delle Dolomiti: è un incantevole paese di 800…

Tratto da Altreconomia 112 — Gennaio 2010

Nel cuore delle Dolomiti, una comunità convive col pericolo frane. Ma più che della natura la responsabilità potrebbe essere di abusi edilizi e appalti scadenti

Borca di Cadore si trova nel cuore delle Dolomiti: è un incantevole paese di 800 anime, a 15 chilometri da Cortina, dove basta alzare lo sguardo per godere di uno dei panorami più celebrati al mondo. Di Borca si parla nelle guide turistiche ma è anche al centro di due diverse inchieste della Procura della Repubblica di Belluno, una su presunti abusi edilizi e una per accertare le responsabilità della morte di due persone, che nella notte del 17 luglio 2009 sono state sepolte vive nella loro casa da una frana, nella frazione di Cancìa. Quella notte, dopo una pioggia torrenziale di otto ore, si riversò sulla contrada un ammasso di acqua e detriti superiore ai 50mila metri cubi contenibili dall’invaso artificiale sovrastante, e che ne fecero letteralmente esplodere le sponde; non funzionò l’allarme a monte e i soccorsi arrivarono solo dopo due giorni dalla tragedia. I morti di Cancìa purtroppo potrebbero non essere vittime della furia incontrollata della natura, ma di 50 anni di omissioni, avidità, malfunzionamenti, complicità e distrazioni molto umane, cui le indagini del comandante dei Carabinieri di Cortina, Filippo Vanni, coordinate dal Sostituto procuratore Simone Marcon, stanno cercando di attribuire nomi e cognomi.
Una dettagliata relazione del geologo Paolo Cancelli, noto professionista di Milano che nel 2002 presentò, su richiesta della Regione Veneto, uno studio sul caso specifico del comune del bellunese, documenta come il monte Antelao, che sovrasta Borca, sia soggetto a un fenomeno franoso particolare, definito debris flow, di cui si hanno testimonianze sin dal XIII secolo; le mappe inserite nella relazione, però, mostrano come il percorso della frana lungo la montagna sia cambiato e lo studioso non nasconde che la causa è la costruzione sul versante destro del monte, in località Corte, del villaggio turistico per i dipendenti dell’Eni, iniziato a metà degli anni 50 su progetto dell’architetto Edoardo Gellner. La celebre firma non temeva le frane dell’Antelao, nonostante le continue colate detritiche nei periodi di intensa piovosità, tanto da costruire una palazzina di 4 piani proprio allo sbocco del canalone naturale (nella foto in alto) dove le colate tuttora si riversano, immediatamente sopra Cancìa. Le piccole case del villaggio, invece, vennero progettate su una struttura “a palafitta”, per consentire il drenaggio dell’acqua e del terriccio; soprattutto venne rinforzato l’argine del canalone a fianco del nuovo insediamento, modificando così di circa 30 gradi il percorso naturale della frana. In quegli anni, però, nessuno sembra preoccuparsi dell’Antelao: la popolazione di Borca cresce e fa affari grazie al continuo andirivieni dei “foresti” del Villaggio Eni che alimentano il commercio e il turismo. Dopo una colata nel 1987, la Regione dispone al Genio Civile di Belluno alcuni interventi di consolidamento del bacino naturale su cui sorge la palazzina voluta da Gellner, una sorta di vascone per contenere le colate di detriti, ed un ulteriore rafforzamento degli argini, in particolare in prossimità del Villaggio.
A metà degli anni 90 la frana ricomincia a scendere, nel ‘94 e nel ‘96: “Sempre di notte e sempre dopo piogge intense” ricorda Nives Milani, direttrice di Radio Cortina, accorata cronista e residente a Cancìa da 30 anni, “in particolare nel ‘96 non ci furono vittime per pura fortuna: gli abitanti delle case colpite erano partiti poche ore prima per una breve vacanza”. Gli argini del vascone, costruiti dopo la colata del 1987, infatti, erano ceduti. “Era necessario a questo punto un intervento strutturale da parte della Regione” spiega l’attuale sindaco Massimo De Luca (a destra), 20enne all’epoca dei fatti “e la risposta arrivò tramite interventi urgenti gestiti dal Genio Civile e dalla convocazione di un pool di esperti”. La Regione appalta i lavori di ricostruzione delle sponde e dell’approfondimento dell’invaso, fino a fargli contenere 50mila metri cubi di detriti, a una ditta di Palermo, mentre uno studio d’ingegneria si preoccupa di stendere l’accurata relazione sul debris flow cadorino, che verrà consegnata solo nel 2003.
Nel documento si sottolinea come le barriere siano state costruite con il materiale di scavo del vascone e racchiuse in reti metalliche “proprio con l’intento di garantire elevate caratteristiche di permeabilità, sia in direzione longitudinale che trasversale”. Questo punto è attualmente oggetto dell’inchiesta dei Carabinieri di Cortina, che dovranno chiarire dove siano le responsabilità: quelle barriere, infatti, nella notte del 17 luglio 2009 crolleranno sotto la spinta della frana, aggiungendosi e accelerando la caduta dei detriti e provocando la morte di due persone. Le briglie costruite lungo l’argine del canalone della frana, che avrebbero dovuto trattenere la colata detritica, sono state divelte dall’impeto della cascata di fango e le reti metalliche utilizzate appaiono agli occhi del visitatore come pezzi di tulle in mezzo alla ghiaia. Qualche sospetto che i lavori del ’96 non fossero stati fatti a regola d’arte viene semplicemente osservando le nuove briglie e argini costruiti dopo l’ultima colata: invece di sabbia a ghiaino sono state utilizzate pietre da 30 centimetri di lunghezza e le reti sono di uno spessore molto superiore alle precedenti.
Nel frattempo, nel 2001, l’Eni vende tutte le sue proprietà immobiliari e il villaggio di Corte viene acquistato dalla ditta Mi.No.Ter, che fa capo al gruppo di Gualtiero Cualbu, noto imprenditore edile sardo. L’impresa comincia una fitta campagna di vendita ai privati delle circa 300 villette, cui si accompagnano lavori ad edifici più grandi pre-esistenti per la creazione di un grande albergo e di un centro benessere. Anche gli acquirenti cominciano una serie di ristrutturazioni che, però, sembrano andare molto al di là della semplice manutenzione dichiarata al Comune di Borca: passeggiando per i viali del Villaggio infatti si notano finte legnaie che nascondono lavori di cementificazione tra le fondamenta a palafitta: in oltre 30 case quello che era “cavo”, per far scorrere i detriti della montagna, è divenuto “pieno”, cioè cantine, garage, taverne quando non addirittura ulteriori miniappartamenti. Nell’estate del 2009, poco prima della tragedia del 17 luglio, la magistratura di Belluno apre infatti un’inchiesta, con indagini affidate al Corpo forestale dello Stato, per abuso edilizio e violazione del vincolo ambientale, tutt’ora in corso: sono 4 le villette sotto sequestro ma il numero sembra destinato ad aumentare. “Le due inchieste sono separate -spiega Nives Milani-, ma io credo potrebbe esserci una correlazione tra i presunti abusi edilizi nell’ex villaggio Eni e il cedimento sempre più frequente dell’Antelao: la montagna è una sola”. Nonostante le ripetute richieste del Comune per l’abbattimento, la palazzina al centro dell’invaso voluta da Gellner negli anni 60 resta in piedi: la frana dello scorso luglio l’ha investita fino al secondo piano; è oggetto di inchiesta se abbia fermato parzialmente il flusso o se abbia invece occupato tanto volume da far tracimare la colata con una forza ancora maggiore. Torniamo alle date: è il luglio 2007 quando una nuova Valutazione di impatto ambientale dà il via libera alla costruzione di un secondo invaso, adiacente al primo. Ministero dell’Ambiente e Regione stanziano 12 milioni di euro: il 10 luglio 2009 il Comune finalmente ottiene il via libera per gli appalti; una settimana dopo, l’Antelao riversa tonnellate di detriti e acqua su Cancìa, “e solo per miracolo le vittime non sono state di più”, sospira l’albergatore Giuseppe Varettoni, 76 anni passati a convivere con le frane. Il sistema di allarme installato dopo la frana del ’96 era fuori uso: gli apparecchi, disseminati su tutto il percorso della colata fino al paese, sono stati sequestrati dai carabinieri del Capitano Vanni, che a settembre hanno eseguito anche il deposito degli atti dell’inchiesta e dei numerosi documenti in sequestro. Ora il magistrato ha convocato un pool di esperti per valutare i due aspetti principali dell’inchiesta: la prevedibilità o meno del debris flow dell’Antelao e la corretta manifattura dei lavori di costruzione delle sponde dell’invaso nel ‘99. Dopo l’ultima frana, nel paese si è creato un comitato contrario al nuovo vascone, poiché si teme un “effetto Vajont”, nel caso dell’ennesima colata di proporzioni eccezionali: la Regione ha riaperto un tavolo di consultazioni ma, dicono in paese, da aprile, con le piogge, sarà di nuovo “allarme frane”.

Su Borca di Cadore abbiamo realizzato un breve filmato a corredo del reportage di queste pagine.
Per vederlo fate un salto sul nostro canale su www.youtube.com/altreconomia

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