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Diritti

Il diritto di emigrare: ecco la Carta di Lampedusa

Il documento dà un assetto compiuto ai prìncipi cardine della libertà di movimento e indica gli interventi necessari per renderla effettiva. Un testo importante, da leggere per intero: mette nero su bianco concetti che sono stati rimossi per anni e che quasi non si riusciva più a pensare. Il commento di Lorenzo Guadagnucci

La Carta di Lampedusa è un testo importante, messo a punto dopo un lungo lavoro da un gruppo largo di associazioni e attivisti. È un testo che va letto per intero, in modo da apprezzare lo sforzo compiuto per definire, da un lato, i princìpi chiave legati al diritto a muoversi dal proprio luogo d’origine per farsi una vita altrove (ma anche il diritto a restare a casa propria senza dover fuggire da persecuzioni o altre forme di oppressione), e dall’altro lato le scelte da compiere per rendere effettivo quel diritto.

Impossibile sintetizzare tutti i punti toccati dalla Carta, che è un testo lungo e concepito con l’intento – anche – di fare il punto su qual è la realtà concreta dei migranti ma più in generale dei diritti umani: non ne esce un bel quadro. Mi limito a richiamare l’attenzione su alcuni aspetti, segnalando al contempo che la parte propositiva è senza dubbio (necessariamente) radicale: si propone fra l’altro di chiudere tutti i centri di detenzione, di eliminare tutti i programmi di controllo delle frontiere e delle persone (Eurosur, Frontex, Mare Nostrum etc) e delle normative che condizionano pesantemente la libertà di movimento, dal Trattato di Schengen al Regolamento di Dublino. Non sono obiettivi raggiungibili facilmente e in tempi brevi, ma averli bene in mente è importante per orientare l’azione nella giusta direzione: troppo spesso l’attenzione si è concentrata su punti sbagliati e non centrali.
 

Il primo aspetto che mi pare importante, è che la Carta di Lampedusa afferma solennemete il diritto alla libertà di movimento, che in tutti questi anni di grande discussione attorno al tema delle migrazioni non si è mai osato affrontare. Anche in ambito progressista, è stata accettata come un dato di fatto l’idea che gli spostamenti, e quindi gli ingressi nei vari paesi, debbano essere limitati e sottoposti a un vaglio dlegato per lo più a valutazioni di convenienza economica.

Il diritto a muoversi è in realtà riconosciuto a certe fasce di persone in virtù del passaporto posseduto (cioè ai cittadini dei Paesi più ricchi) e poi affievolito, fino ad annullarsi, a seconda dell’origine nazionale e del censo. E’ vero che da sempre esistono regole all’accesso alla residenza e alla cittadinanza, ma queste dovrebbero essere coordinate con il diritto umano alla libertà di movimento, tanto più in un mondo che si fa sempre più piccolo in virtù della crescente facilità di spostamento.

Il secondo aspetto importante, legato al primo, è la richiesta contenuta nella Carta di Lampedusa di svincolare la libertà di restare nel paese di arrivo "allo svolgimento di un’attività lavorativa e autorizzata sulla base delle necessità del mercato del lavoro" locale. In altre parole si tratta di applicare un principio sacrosanto e cioè che un diritto importante, come la libertà di scegliere dove vivere, non sia subordinato al mercato. Un principio che finora si è stentato non solo ad affermare, ma anche a pensare.

Terzo punto degno di speciale attenzione: la Carta rivendica l’applicazione dello ius soli in tutta Europa, come criterio per l’attribuzione della cittadinanza. Ma va poi più in là suggerendo "la necessità di elaborare nuove modalità di relazione fra istituzioni e persone, basandole sulla residenza e non più sull’appartenza nazionale". Quando questo avverrà, potremo davvero di un importante progresso collettivo.

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