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Esteri

Il default dello studente

Negli Usa si prepara la prossima bolla. Scoppierà per i debiti degli universitari, ormai oltre i 900 miliardi di dollari. Anche per questo è nata Occupy Wall Street

Tratto da Altreconomia 143 — Novembre 2012

New York – Stephanie McGuinness alla fine ha scelto l’Argentina. Dopo due anni al Maryland Institute College of Art (Mica) di Baltimora ha abbandonato sia l’arte che gli Stati Uniti d’America e sta per laurearsi in Scienze sociali all’Università di La Plata. Il Mica è una delle scuole d’arte più prestigiose d’America, ma questa ventiquattrenne di Providence, Rhode Island, ha deciso di lasciare per non indebitarsi a vita. “Il livello dei corsi non era all’altezza della retta che pagavo, e per quei due anni, al netto della borsa di studio, la mia famiglia ha dovuto chiedere un prestito di 50mila dollari. Lo stiamo ripagando, o meglio, dovremmo pagare, perché lo stipendio da insegnante elementare di mia madre non ci permette di coprire la rata di 700 dollari al mese”. L’autunno scorso Stephanie era a Zuccotti Park, accampata sotto gli alberelli del parchetto metropolitano che è diventato la culla di Occupy Wall Street. Anche lei ha manifestato per quello che era, e resta, uno dei temi centrali della protesta nata tra le strade del Financial District di New York, la crescita vertiginosa del debito legato agli student loan. I mutui a cui fanno ricorso quasi tutti gli studenti americani per coprire le rette universitarie e mantenersi durante gli anni di studi, una delle possibili emergenze per l’economia americana. Secondo le stime del Consumer Financial Protection Bureau, l’agenzia federale a tutela dei cittadini che utilizzano prodotti finanziari, il fardello che toglie il fiato agli studenti ha già superato il trilione di dollari, che tradotto significa mille miliardi. I numeri della Federal Reserve Bank of New York sono diversi, ma di poco. Nel rapporto diffuso a fine maggio, l’istituto afferma che nel primo quadrimestre del 2012 il debito legato ai mutui studenteschi ha raggiunto i 904 miliardi di dollari, in aumento di 30 miliardi rispetto agli ultimi mesi del 2011. Per comparare queste cifre si può aggiungere che nel 2010 il debito contratto dagli studenti ha superato, per la prima volta, quello delle carte di credito, e nel 2011 ha battuto anche quello legato all’acquisto di automobili.
Ma i dati davvero negativi sono quelli legati alle insolvenze, perché crescono le fila di studenti che -come Stephanie- non riescono a tenere il passo con le rate, e smettono di rispettare i pagamenti. Secondo le statistiche del Dipartimento per l’educazione più di uno studente su dieci ha dichiarato default e non sta ripagando il mutuo. Un documento della Federal Reserve Bank of Kansas City, datato 27 settembre 2012, titolava “Mutui studenteschi. È crisi?”, e c’è chi da mesi intravede sintomi che ricordano la bolla scoppiata nel 2008.
Tuttavia il meccanismo che ha provocato quella che è già una crisi (di fatto) per milioni di giovani è stato attivato parecchio tempo fa. “Cinquant’anni fa il sistema universitario americano non era così diverso da quello europeo -racconta Richard Vedder, docente di Economia dell’Università dell’Ohio specializzato in politiche economiche legate all’educazione e direttore del Center for College Affordability and Productivity-. In media la popolazione era più povera, ma chi decideva di studiare riusciva a coprire i costi lavorando, senza bisogno di chiedere prestiti alle banche. Nel 1970 il governo federale ha iniziato a concedere piccole borse di studio alle fasce disagiate, e sono comparsi i primi mutui. In quegli anni le spese federali per finanziare gli studenti si aggiravano intorno al miliardo di dollari, ora il governo investe oltre 100 miliardi all’anno in mutui studenteschi”. Nel frattempo, però, le università hanno iniziato ad aumentare il costo delle rette, all’incirca di un 3% all’anno senza contare l’inflazione, racconta il professor Vedder, e secondo le sue stime i prezzi sono raddoppiati nell’arco di 25 anni (la rivista Forbes, in un articolo pubblicato a marzo 2012 cita i dati di Gordon Wadsworth, autore del libro “The College Trap”, “La Trappola del college”, secondo il quale dal 1986 a oggi il costo delle rette è aumentato del 500%). “Tra il 1972 e il 2010, i mutui studenteschi venivano considerati federali quando erano creati da istituzioni finanziarie (incluse le banche quotate a Wall Street) ma garantiti e sovvenzionati dal governo”, si legge nel “The Debt Resistor Operations Manual”, il manuale informativo e “di resistenza” contro ogni forma di debito pubblicato a settembre da Strike Debt, uno dei rami più organizzati di Occupy Wall Street. Nel 2010 l’amministrazione Obama ha deciso di eliminare ogni forma di intermediario, e ora è il governo federale ad emettere i mutui, anche se i passaggi tecnici sono affidati a un piccolo gruppo di enti privati tra i quali Sallie Mae (Sm), un pezzo da novanta per giro d’affari e per anzianità. Creata nel 1972 come ente governativo Sm è stata completamente privatizzata nel 2004. La maggior parte degli studenti americani le è stata debitrice o lo è ancora, e oggi Sm fornisce servizi e riscuote le rate dei prestiti concessi fino al 2010. “Ora il 93% dei mutui sono esclusivamente federali -afferma Mark Kantrowitz, fondatore di FinAid.org, sito di riferimento per districarsi in quella che tutti -studenti, genitori ed esperti-  considerano la “giungla” dei finanziamenti per l’università. “Gli studenti non hanno bisogno di rivolgersi direttamente a chi presterà loro i soldi -spiega Kantrowitz-: è un ufficio interno al college a offrire diversi tipi di finanziamento. Al contrario di quanto accadeva in passato, però, oggi chi eroga il denaro è sempre il governo federale”. Esistono due tipi di prestiti governativi: il primo riguarda gli studenti delle fasce meno agiate, con condizioni agevolate e un tasso di interesse al 3,4%, mentre il secondo, che non è legato al reddito e non è sovvenzionato direttamente dal governo, ma solo garantito, ha un interesse del 6,8%. C’è poi il piccolo mondo dei finanziamenti privati, operati da gruppi bancari come Wells Fargo, “ma riguarda solo il 7% del mercato”, ricorda Kantrowitz.
La Federal Reserve Bank of New York stima che gli studenti-debitori siano 37 milioni, e se il 39,6% è composto da giovani adulti sotto i trent’anni, il 27% ha tra i trenta e i quarant’anni e c’è anche un 5,3% che ha superato i sessanta. Il debito medio di ogni (ex) studente è di 25mila dollari, ma non mancano i picchi di chi dovrà restituirne 50 o 100mila, a seconda del prestigio e dal costo dell’istituto che si è scelto a 17 anni. I mutui sono personali, anche se i genitori sono obbligati a co-firmare, e come per le spese legate alla sfera sanitaria è quasi impossibile dichiarare bancarotta. Secondo la National Association of Consumer Banckruptcy Attorneys, l’associazione di avvocati che fa assistenza ai consumatori costretti a ricorrere a questa opzione, sono aumentati gli studenti che si presentano agli sportelli in cerca di aiuto. “I nostri avvocati stanno affrontando una realtà molto simile a quella degli anni precedenti il crack dei mutui subprime, e anche in questo caso si tratta di gente indebitata perché ha investito molto in beni che hanno perso valore -racconta il presidente William Brewer-. Secondo noi questa potrebbe essere la prossima bomba per l’economia americana”. Il boom di disoccupazione provocato dalla crisi e i costi stellari dei corsi universitari hanno creato uno scenario che nessuno, soprattutto al Congresso, sa come gestire. Andrew Hacker e Claudia Dreifus, docenti universitari e autori del libro “Higher Education?”, “Educazione migliore?”, hanno scritto che il parallelo tra questa situazione e il crack legato al mercato immobiliare è sorprendente. In entrambi i casi le penali a cui va in contro chi sottoscrive i mutui sono state sottovalutate, e se per una casa si scommetteva sull’aumento del suo valore, chi ha scelto di spendere 30mila dollari all’anno per un corso universitario era convinto di riuscire ad ottenere uno stipendio con cui ripagare il proprio investimento. Ma la crisi ha scompaginato tutto. “Una bolla è scoppiata; la seconda sta già prendendo aria”, scrivono Hacker e Dreifus.
Mark Kantrowitz, non è d’accordo, e sostiene che “chi parla di una bolla non sa che cosa dice”. Prima di tutto perché “il debito è quasi totalmente a carico del governo federale, che trae profitto da questi prestiti”. E poi perché il trilione di dollari di debito non è paragonabile alle cifre coinvolte dallo tsunami finanziario del 2008. Anche se davvero provocasse una grossa crisi, cioè, essa non sarebbe in grado di far collassare l’economia. Secondo Kantrowitz “almeno un quarto o un terzo degli studenti dovrebbero essere in default perché il governo smetta di fare profitti e si possa parlare davvero di una bolla”. Un orizzonte tenuto ancora a debita distanza. —

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