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Il contro-vertice sui sistemi alimentari per resistere alla presa delle multinazionali

Il 26 luglio a Roma si è aperto il pre-vertice del Food System Summit delle Nazioni Unite. Oltre 330 realtà contadine richiamano la necessità di una vera transizione “ecologica e socialmente trasformativa”, rifiutando la “colonizzazione” in corso da parte delle imprese e le false soluzioni che “continueranno a opprimere e sfruttare persone, comunità e territori”

Quattro giorni dividono il G20 Ambiente di Napoli -che si è chiuso il 22 luglio 2021- e il pre-vertice del Food System Summit delle Nazioni Unite (UNFSS) -che si è aperto il 26 luglio a Roma-, ma tre parole li connettono: “Sicurezza alimentare globale”. Le ritroviamo nel comunicato finale del G20 e anche nelle intenzioni del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in occasione dell’annuncio, avvenuto ancora nel 2019, del Summit alimentare, un’occasione (sotto l’egida del World Economic Forum), ancora nelle sue parole, per “cambiare radicalmente il modo in cui produciamo, lavoriamo e consumiamo il cibo”. 

Ma che cosa racchiudono le tre magiche parole sicurezza-alimentare-globale che, ancor più nella pandemia –secondo la FAO, nel 2020 la fame è aumentata sia in termini assoluti sia proporzionali: nel 2020 circa il 9,9% degli abitanti del Pianeta erano sottonutriti, erano l’8,4% nel 2019-, hanno il potere di mettere tutti d’accordo? Se lo sono chieste numerose realtà della società civile che hanno aderito nei mesi scorsi all’iniziativa “Autonomous People’s Response to the UNFSS” e che in questi giorni, fino al 28 luglio, animano una contro-mobilitazione popolare al pre-vertice, con diverse iniziative on e offline per “resistere alla presa delle aziende multinazionali sui sistemi alimentari”. 

Il contro-vertice è un’iniziativa del “Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni” (CSM), una realtà creata nel 2010 in risposta alla decisione del Comitato delle Nazioni Unite sulla Sicurezza alimentare mondiale (CFS) di dar voce a chi è più colpito dall’insicurezza alimentare e allo stesso tempo contribuisce a nutrire il mondo.

“Non in nostro nome” (#NotInOurNames) era il titolo già scelto da La Via Campesina e ARI – Associazione Rurale Italiana per portare al contro-vertice del Food System Summit le soluzioni che “popoli organizzati, contadin@ pescator@, indigen@, pastor@, salariat@ agricol@, senza terra, donne, giovani e persone di tutte le diversità” hanno costruito “da tempo, sulla base dei principi della sovranità alimentare”, per “portare giustizia sociale e combattere la fame”.

Fin dal 2008 La Via Campesina ha partecipato attivamente al processo di democratizzazione delle Nazioni Unite, ottenendo importanti risultati e significativi avanzamenti sanciti da documenti come le “Linee guida sui regimi fondiari” (Guidelines on Land Tenure), quelle sulla piccola pesca sostenibile (Guidelines for Securing Sustainable Small-Scale Fisheries) e sull’agroecologia (Guidelines on Agroecological and Other Innovative Approaches), oltre alla “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano in zone rurali”. E, infatti, ritiene fondamentale “un dibattito globale sui nostri sistemi alimentari”, come ha scritto nel position paper del dicembre 2020 “Un summit sotto assedio!”, nel quale denuncia, tuttavia, l’esclusione dei movimenti sociali ai processi decisionali del Summit. “Non è stata mostrata alcuna preoccupazione di includere le organizzazioni dei piccoli produttori di cibo, della società civile e dei popoli indigeni in modo che la loro autonomia, auto-organizzazione e auto-determinazione fossero rispettate”, si legge nel paper.

Attivisti de La Via Campesina

È una posizione molto vicina a quella del Meccanismo della Società Civile (CSM), che nell’ottobre 2020 aveva denunciato pubblicamente la non inclusività del Summit sui sistemi alimentari e invitato movimenti e organizzazioni che si occupano di cibo a costruire un processo collettivo per “sfidarlo”. Secondo il CSM, infatti, l’intera costruzione dell’UNFSS sarebbe controllata dal World Economic Forum, con intenzioni ben diverse da quelle fondate sulla sovranità alimentare e l’agroecologia, come dimostrerebbe il fatto che la presidente dell’Alleanza per una Rivoluzione Verde in Africa (AGRA), Agnes Kalibata, ex-ministra dell’agricoltura ruandese, è l’inviata speciale del Summit. AGRA, che ha sede a Nairobi e vede tra i suoi finanziatori le Fondazioni Gates e Rockefeller, si propone di “trasformare l’agricoltura dei piccoli proprietari terrieri africani da una lotta solitaria per sopravvivere a un business che prospera”, si legge nel sito. 

“Abbiamo soluzioni praticabili per affrontare i problemi sistemici dei nostri sistemi alimentari”, afferma la coalizione che anima il contro-vertice (sono 333 le realtà aderenti, tra cui sei italiane: Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, Focsiv, Fondazione Acra, il Movimento per l’Autosviluppo, l’Interscambio e la Solidarietà, Slow Food Roma e Terra Nuova), richiamando la necessità di una transizione “ecologica e socialmente trasformativa”. Per questo rifiuta “la colonizzazione in corso da parte delle aziende dei sistemi alimentari e della governance del cibo sotto la facciata del vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari” e “le false soluzioni che continueranno a opprimere e sfruttare persone, comunità e territori”, accusando il Summit di “green” e “poor washing”. 

Gli animatori del contro-vertice fanno appello a “un’azione politica urgente, dal livello locale a quello internazionale, per affrontare la crescente disuguaglianza, l’ingiustizia strutturale, la violenza di genere e le migrazioni forzate”. La loro richiesta è “il pieno riconoscimento, l’implementazione e l’applicazione del diritto umano a un’alimentazione adeguata”, un diritto indivisibile da altri, quello alla salute, alla casa, a un lavoro dignitoso, alla protezione sociale e ai diritti civili e politici, “compresa la contrattazione collettiva e la partecipazione politica, che collettivamente dovrebbero essere centrali in qualsiasi processo del sistema alimentare”, sottolineano. 

Mentre i piccoli contadini che producono tra il 70 e l’80% del cibo del mondo fanno sentire la loro voce collettiva a Roma, l’autunno si preannuncia ancora caldo su questi temi. Oltre all’UNFSS di settembre, nell’anno di Presidenza italiana del G20, Firenze si prepara a ospitare anche il vertice sull’agricoltura (17 e 18 settembre). In ottobre è poi in programma la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (a Kunming, Cina) e in novembre la COP26 sul cambiamento climatico a Glasgow, in Scozia. 

Nel frattempo, la rete URGENCI, che riunisce le esperienze di Community Supported Agriculture (CSA) del mondo, sta organizzando “Decolonize your Plate, Amazonize the World”, il simposio internazionale sulle Csa (online dal 25 al 30 ottobre). Una nuova occasione per riflettere, questa volta dal basso e collettivamente, sulla sicurezza alimentare.

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