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Ambiente

Il conto del clima – Ae 80

Il governo britannico incarica un autorevole economista di calcolare quanto ci costeranno i cambiamenti climatici. Se non facciamo nulla perderemo il 5% del Pil. Correggere la rotta richiede invece solo l’1% Sir Nicholas Stern è un personaggio autorevole, capo del…

Tratto da Altreconomia 80 — Febbraio 2007

Il governo britannico incarica un autorevole economista di calcolare quanto ci costeranno i cambiamenti climatici. Se non facciamo nulla perderemo il 5% del Pil. Correggere la rotta richiede invece solo l’1%


Sir Nicholas Stern è un personaggio autorevole, capo del Governement Economic Service inglese e capo economista alla Banca mondiale. Incaricato dal governo britannico di analizzare le conseguenze economiche del cambiamento climatico e i costi necessari per limitarle, ha pubblicato il suo rapporto nell’ottobre scorso. Le sue conclusioni sono finite, con toni preoccupati, sulle prime pagine dei giornali. A fare notizia era la previsione che se le emissioni di gas serra continuano con i ritmi attuali, a lungo termine le conseguenze climatiche avranno un costo pari al 5% annuo del prodotto lordo (Pil) mondiale, calcolato da ora e per i prossimi due secoli; costo che potrebbe arrivare addirittura al 20% se dovessero avverarsi le peggiori previsioni sui cambiamenti climatici. Per contro, un intervento volto a mitigare queste conseguenze avrebbe invece un costo pari a circa l’1% annuo del Pil mondiale, purché tutti i Paesi decidano di muoversi congiuntamente e rapidamente. Ma, al di là delle conclusioni, che cosa contengono di nuovo le quasi 600 pagine del rapporto?

Il punto di partenza sono le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sui cambiamenti climatici causati dalle emissioni di gas serra, giudicate ormai attendibili al di là di ogni ragionevole dubbio, anche se ancora c’è qualcuno che non vuole riconoscerlo. Tra l’altro il 2 febbraio l’Ipcc (www.ipcc.ch) ha presentato il primo volume del suo rapporto 2007.

Il passo successivo è la valutazione delle conseguenze economiche di questi cambiamenti climatici. Un passo irto di difficoltà perché la maggior parte si manifesterà su scala globale tra molti anni, e riguardano quindi le generazioni future, con impatti ben diversi sulle economie dei Paesi ricchi rispetto a quelli più poveri.

Il nocciolo della questione è che il clima è un “bene pubblico” che le regole di mercato non sono in grado di garantire. I mercati dei prodotti che in qualche modo utilizzano questo bene comune (energia, trasporti, uso delle terre coltivabili, etc.) non riflettono in modo adeguato il suo valore.

Nella terminologia degli economisti il cambiamento climatico è un tipico esempio di “fallimento del mercato”, che il rapporto definisce come “il fallimento su scala più vasta che il mondo abbia mai visto”. Ma anche questa non è una novità. Il vero problema è il modo in cui si valuta il costo di queste conseguenze globali e intergenerazionali, ed è un problema che ha innanzi tutto un carattere etico. Il chiaro riconoscimento della necessità di questa preliminare scelta etica è la vera novità presente nel rapporto Stern.

Usando le parole del rapporto: “Se il giudizio etico è che le generazioni future contano molto poco riguardo ai loro livelli di consumo, allora gli investimenti che danno frutti nel lontano futuro sono sfavoriti. In altri termini, se ci si preoccupa poco delle generazioni future ci si preoccuperà poco del clima […] è una posizione che non ha molti fondamenti etici e che da molti potrebbe essere ritenuta inaccettabile.”

Le critiche che sono state rivolte al rapporto Stern, soprattutto da parte degli economisti, riguardano proprio la scelta di questi strumenti di valutazione, e in particolare di un valore molto basso per il tasso di sconto, dal quale dipende il valore che attualmente attribuiamo a un bene che verrà utilizzato nel futuro.

Basta aumentare di un po’ questo tasso per ridurre i costi attuali del cambiamento climatico a valori ben più bassi, o trasformarli addirittura in apparenti vantaggi. Ma così si continua a eludere il punto chiave dell’intera questione, che Stern ha avuto il merito di mettere bene in evidenza, e cioè il dovere di garantire alle generazioni future le stesse condizioni ambientali di cui noi godiamo e che stiamo compromettendo.

Altra questione è valutare l’efficacia delle misure proposte dal rapporto per porre un freno ai cambiamenti climatici e per mitigarne gli effetti. Su questo Sir Nicholas è ottimista: “c’è ancora tempo sufficiente per schivare gli impatti peggiori del cambiamento climatico, se agiamo subito e a livello internazionale”. La sua speranza poggia sulla fiducia nello sviluppo di nuove tecnologie per catturare le emissioni di anidride carbonica e sulla convinzione che sia possibile prevenire le conseguenze peggiori senza rallentare sensibilmente lo sviluppo economico. Si può discutere se questo ottimismo sia ben riposto, ma per ora la cosa importante è sottolineare l’urgenza di arrivare a un accordo almeno sui criteri etici con cui il problema deve essere affrontato.



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