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Economia / Opinioni

Il caso SIA-Nexi e la concorrenza promossa a parole dal governo

La quotazione di Nixi in Borsa, ad aprile 2019 © Paolo Salmoirago

Il mantra della concorrenza pervade il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma è pura ipocrisia come dimostrano due vicende attuali ma poco discusse relative ai colossi dei pagamenti. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini, dal nuovo numero di ottobre

Tratto da Altreconomia 241 — Ottobre 2021

Stando al Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposto dal Governo Draghi e inviato alla Commissione europea lo scorso 30 aprile, il rilancio del nostro Paese dovrebbe passare per la riforma della Pubblica amministrazione, quella della giustizia, la semplificazione della legislazione e la “promozione della concorrenza”. Quest’ultima sarebbe “essenziale per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia”, oltreché decisiva per “contribuire a una maggiore giustizia sociale” (parole del Pnrr). Proviamo però a far finta di crederci e osserviamo che cosa accade dalle parti delle grandi banche italiane, i padroni di casa. 

Soffermiamoci su un’importante operazione societaria in corso di cui si discute poco. Si tratta della fusione per incorporazione di SIA in Nexi. I soggetti potrebbero risultare poco familiari a qualcuno ma in realtà li frequentiamo spesso: i due, infatti, operano nel settore dei servizi di pagamento, soprattutto online. In poche parole: consentono agli esercenti di accettare pagamenti tramite carta -sia al punto vendita sia online-, instradano la transazione verso l’esercente o il titolare della carta, gestiscono i Pos, le commissioni, la rete sulla quale transitano i dati, si occupano dell’emissione delle carte di pagamento, della compensazione al dettaglio dei pagamenti, della trasmissione dei dati interbancari, anche dei servizi per la fornitura e la manutenzione degli Atm. Lungo questa “catena del valore” sono contemporaneamente fornitori delle banche, dei commercianti e dei consumatori.

Nexi è una holding quotata in Borsa attualmente controllata dai fondi Advent International Corporation e Bain Capital Investors LLC (tramite il “veicolo” Mercury UK HoldCo). SIA, che non è quotata, è sottoposta invece al controllo congiunto di Cassa depositi e prestiti (Cdp) e di Poste Italiane (tramite la FSIA Investimenti Srl). 

Il progetto in fieri, annunciato nell’ottobre 2020, prevede la fusione tra SIA e Nexi e quindi la nascita di un colosso europeo dei pagamenti digitali in mano a Cdp, ai due fondi citati, ad AB Europe Luxembourg Investment, Eagle AIBC & Cy, Hellman & Friedman e all’immancabile Intesa Sanpaolo. Tutto bene? No. A sollevare un “piccolo” problema di equilibrio è stata l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che il 31 agosto 2021 ha avviato una istruttoria per esaminare il caso. Secondo l’Antitrust l’operazione potrebbe essere infatti “suscettibile di determinare […] la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante”, con “effetti di tipo orizzontale, nonché di natura verticale e conglomerale”. In alcuni dei servizi elencati sopra l’Autorità stima una concentrazione in capo a un unico soggetto di quote di mercato del 50, 70, anche del 95%. Un quasi-monopolista con cui dovranno interfacciarsi le banche (in particolare le medio-piccole), gli esercenti e noi cittadini, con un “potere” negoziale ridottissimo. Sarà interessante seguire l’epilogo, considerato che i promotori dell’iniziativa -pubblici e privati- non contemplano alcuna alternativa o retromarcia possibile.

E sarà altrettanto stimolante seguire un’altra partita, in qualche modo parallela all’operazione SIA-Nexi, ovvero quella della revisione del meccanismo delle commissioni per il prelievo su Atm Bancomat. Il 22 ottobre 2020 la società-consorzio Bancomat Spa ha fatto sapere all’Agcm di voler modificare il sistema tariffario in vigore per il servizio di prelievo di contante, che oggi consente di tenere “controllate” le commissioni che le banche fanno pagare alla clientela, fino quasi alla gratuità, riducendo così le sproporzioni tra banche piccole (pochi Atm disponibili, alti costi) e banche grandi (tantissimi Atm, costi bassi per via di economie di scala). Bancomat ora vuole superare questa logica “consortile” favorendo invece accordi singoli ed escludenti. La misura, avversata dall’Associazione nazionale fra le banche popolari perché “a favore delle banche grandi”, è stata rigettata a inizio giugno 2021 anche dall’Antitrust. L’ipocrisia della concorrenza non ha competitor.

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