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Ambiente

Il carbone di Generali

Nonostante l’adesione "ideale" alle politiche Onu per la mitigazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, e linee guida ispirate alla tutela ambientale adottate nel 2010, la compagnia assicurativa di Trieste negli ultimi sei anni non ha preso alcun impegno concreto per porre fine ai finanziamenti a progetti per l’estrazione del combustibile fossile più inquinante. Il caso dell’investimento in Duke Energy, oggi all’assemblea degli azionisti

"In qualità di assicuratore, Generali desidera avere un ruolo attivo nel dare supporto alla transizione verso un’economia ed una società più sostenibili. Continueremo a monitorare e ridurre i nostri impatti diretti e a promuovere un’economia per limitare il riscaldamento globale a 2 gradi attraverso i nostri prodotti, servizi e investimenti, così come affermato nella nostra Politica di Gruppo per l’ambiente e il clima”.

Durante i giorni convulsi e traboccanti di retorica della COP21, tenutasi lo scorso dicembre a Parigi, anche Generali ha voluto lanciare il suo messaggio di speranza e impegno. Dal 2010 la più grande compagnia di assicurazioni d’Italia ha delle linee guida su come vincolare i suoi investimenti e prestiti in giro per il mondo a una maggior tutela ambientale. In precedenza seguiva le best practice del Fondo pensione del governo norvegese, che con quasi 790 miliardi di euro di attivi in gestione è il principale veicolo a controllo statale al mondo.

Tuttavia in questo ultimi sei anni la compagnia di Trieste non ha preso alcun impegno concreto per porre fine ai finanziamenti a progetti per l’estrazione del carbone. Nello stesso periodo il Fondo norvegese ha compiuto dei passi importanti, decidendo di non investire più sulle società che abbiano più del 30% della propria capacità di generazione elettrica, nel caso delle utility elettriche, che deriva dal carbone o più del 30%  dei ricavi da progetti a carbone.  

Mentre i suoi diretti concorrenti, le altre due super-potenze del settore assicurativo Axa e Allianz, hanno scelto una linea ben precisa, ovvero niente più risorse proprie per investimenti nella polvere nera, Generali nicchia. In base ai dati messi a disposizione di Re:Common e di Urgewald (Germania), controllerebbe azioni per circa 102 milioni di euro di compagnie che estraggono carbone. Tra queste la tedesca RWE, la utility europea che emette più anidride carbonica nell’atmosfera.  
 
Circa il 40 per cento della somma appena menzionata, per la precisione 41 milioni, sarebbe invece investita nella Duke Energy, la più grande utility energetica statunitense, con interessi anche in Canada e in America Latina. Negli ultimi tre anni la Duke è finita nell’occhio del ciclone per l’altissimo livello di inquinamento dei bacini d’acqua in cui rilascia i residui tossici della combustione delle sue centrali a carbone. Tecnicamente si chiama coal ash management, ed è un’attività molto dannosa per l’ambiente e per le persone. La Duke brucia carbone in cinque stati: Indiana, Florida, Kentucky, South Carolina e North Carolina, dove a fronte di 14 impianti ci sono ben 33 bacini di smaltimento. “Immaginate 33 stagni grandi come il Colosseo, ma anche di più, pieni di rifiuti industriali contenenti arsenico, cromo, cadmio, mercurio e piombo che finiscono nei fiumi e nelle falde acquifere” ci racconta Donna Lisenby, esponente dell’organizzazione Waterkeeper Alliance, che dal 2010 segue questo caso. “Nei pressi di questi stagni vivono oltre 300 famiglie, che non possono utilizzare l’acqua dei pozzi vicini alle loro abitazioni”. Donna Lisenby racconta che oggi è la Duke a fornire riserve idriche a tutte queste famiglie, ma che le ultime analisi fatte eseguire dalle autorità statali lo scorso febbraio hanno stabilito che l’acqua degli stagni è potabile, smentendo le precedenti ricerche. “L’attuale governatore del North Carolina, Pat McCrory, ha lavorato per la Duke Energy per 28 anni…” ricorda la Lisenby.
 
L’attivista della International Waterkeeper Alliance oggi è a Trieste, per partecipare all’assemblea degli azionisti di Generali. Durante il suo intervento segnalerà che negli Usa gli azionisti della Duke hanno intrapreso ben sei cause nei confronti della compagnia, e di come a livello federale la compagnia abbia già dovuto ammettere le proprie colpe per una condotta del tutto incompatibile con la tutela dell’ambiente. 
Nel 2014, a causa della sua discussa coal ash management e soprattutto di un grosso sversamento nel fiume Dan, in North Carolina, la Duke Energy è stata accusata di negligenza, imperizia e violazione della normativa nazionale sui fiumi. La compagnia ha patteggiato con le corti federali civili e penali, che hanno così imposto sanzioni pecuniarie di oltre 100 milioni di dollari e l’obbligo di svolgere servizi per le comunità impattate. “Ma ci sono aspetti molto controversi in queste sentenze: ad esempio, la Duke è obbligata a ripulire i bacini che si trovano nei paraggi di appena 7 delle 14 centrali in North Carolina. Non basta, devono bonificare tutta l’area che hanno inquinato”, ribadisce la Lisenby.
 
Uscire da Duke Energy per Generali rappresenterebbe dunque un primo passo per dotarsi di una seria politica di disinvestimento dal carbone. 

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