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Economia / Opinioni

Il capitalismo sta divorando le ultime tracce del mercato e dei suoi strumenti

© NIck Chong - Unsplash

Nel 2021 i titoli del debito hanno raggiunto una capitalizzazione di 70mila miliardi di dollari, pari al 75% del Pil mondiale. Le criptovalute accentuano i tratti speculativi del mercato, mentre in Italia la spesa pubblica finisce per sostenere chi non è indigente. Bisogna ripensare tutto e farlo in termini di giustizia sociale. L’analisi di Alessandro Volpi

Ci sono numeri e circostanze che dovrebbero indurre ripensamenti profondi nel modo di definire gli strumenti dell’economia contemporanea. Nel 2021 i titoli del debito, pubblico e corporate, hanno raggiunto una capitalizzazione di 70mila miliardi di dollari, pari al 75% del Pil mondiale. Nel 2010 tale capitalizzazione era di 35mila miliardi, poco meno del 53%. Si è assistito dunque a un’esplosione accentuata dalla pandemia per quel che riguarda i debiti pubblici e dalla feroce finanziarizzazione, favorita dalla liquidità delle banche centrali. Ci troviamo di fronte così a una montagna di debiti, ormai quasi insensibile anche all’inflazione, che dovremo imparare a considerare fisiologica e non più patologica, vista la pressoché impossibile loro restituzione. Il debito sarà sempre più necessario e il tema centrale sarà quello del suo proficuo utilizzo, in primis in termini di giustizia sociale, e dei costi della sua “manutenzione”, tanto più ridotti quanto più il medesimo debito sarà ritenuto, appunto, fisiologico.

Una riflessione merita certamente anche il tema della moneta. I prezzi dei Bitcoin sono tornati sopra i 50mila dollari; ciò è dipeso, almeno in parte, dal fatto che Walmart, la grande catena di distribuzione statunitense, ha messo annunci per trovare esperti di valute digitali. Quasi contemporaneamente, PayPal ha avvisato i propri clienti del varo di un servizio che consente di vendere, comprare e detenere Bitcoin e altre valute digitali. In estrema sintesi, quella che dovrebbe essere una moneta muta costantemente il suo valore per le voci più disparate e più o meno accompagnate dal parallelo, funzionale acquisto di Bitcoin. Ora, per anni e anni, la scienza della finanza ha cercato di partorire strumenti che dessero stabilità alle monete e ne riducessero i tratti speculativi proprio per rendere il mercato più trasparente e reale. Oggi si introduce nella nozione di moneta un “oggettino” che varia sulla base degli annunci di lavoro e sulle più spericolate operazioni, il cui fine esclusivo è la frenetica generazione, e conseguente distruzione, di profitto. Il capitalismo sta divorando le ultime tracce del mercato e dei suoi strumenti.

Continuano intanto ad arrivare conferme che la pandemia ha favorito, nel nostro Paese, uno spostamento di reddito e ricchezza in direzione delle imprese più forti e delle famiglie appartenenti alle fasce più ricche. Due dati, speculari, sono esemplari in tal senso. I conti correnti delle imprese sono cresciuti nell’arco degli ultimi 16 mesi di 110 miliardi di euro; una montagna di liquidità che rappresenta un record da quando sono state avviate statistiche a riguardo. Ciò è dipeso, in larga parte, dall’enormità di sussidi pubblici e dalla possibilità di disporre della cassa integrazione pagata dallo Stato. Anche i conti correnti delle famiglie italiane, ovviamente soprattutto di quelle con redditi più alti, si sono rimpinguati, crescendo di ben 70 miliardi e raggiungendo la paradossale somma di 1.130 miliardi di euro. I risparmi garantiti dal superbonus 110% -misura sulla quale occorre naturalmente una valutazione complessiva- hanno favorito questa tendenza dei benestanti a non spendere in tali lavori beneficiando della spesa statale.

A fronte di tutto ciò, si presenta un dato, appunto, speculare: il deficit pubblico primario, al netto degli interessi, è cresciuto, negli stessi 16 mesi, di 167 miliardi di euro; in estrema sintesi lo Stato si fa carico delle spese per affrontare la crisi ma una parte rilevantissima di tali spese finisce nei conti correnti di imprese e famiglie certo non indigenti. Alla luce di ciò l’utilizzo della spesa pubblica ha bisogno, sempre più, di un ripensamento che la leghi direttamente, e in maniera indissolubile, alla riduzione delle disuguaglianze sociali.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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