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Diritti

Il capitale usuraio

La sovranità finanziaria non è più in mano agli Stati. Ancora più grave è la crisi della democrazia rappresentativa, e la minaccia del debito ecologico

Tratto da Altreconomia 131 — Ottobre 2011

Solo da un paio di anni il debito dello Stato, una volta definito “debito pubblico” viene chiamato “debito sovrano”. Niente di più falso e fuorviante. Proprio quando gli Stati hanno perso la loro autonomia rispetto alla potenza e tracotanza dei mercati finanziari è stata inventata la definizione di “debito sovrano”. Ancora più paradossale nel caso dei Paesi europei, i cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), che ricadono nell’area dell’euro e i cui governi sono soggetti ai diktat di Bruxelles. Come dimostrano gli avvenimenti di questi ultimi mesi, c’è una maggiore autonomia/sovranità in un piccolo Paese come l’Islanda che in qualunque grande e ricco Stato dell’Eurozona. Debito sovrano, cioè debito del Re -principe,granduca, ecc.- si definiva giustamente il debito contratto dai regnanti dal Mediovevo fino al XIX secolo. Ed il sovrano gestiva a suo piacimento il debito quando questo era arrivato a livelli di insostenibilità. Una delle pratiche più diffuse -svariate citazioni storiche le troviamo in tutti i classici del pensiero economico, a partire da Adam Smith- era quella di ritirare le monete d’oro o d’argento in circolazione e riconiarle, avendo cura di lasciare immutato il valore nominale mentre diminuiva il peso specifico in oro. In altri termini, i sovrani tagliavano il loro debito sottraendo valore d’uso alle monete che mantenevano il loro valore nominale. Ed i sudditi non avevano alternative: dovevano obtorto collo usare quelle monete che avevano subito una perdita di valore.  Proprio per  questa operazione venne definita “signoraggio”, ovvero il potere assoluto del sovrano sulla emissione e circolazione della moneta/denaro. In altri casi, i sovrani -soprattutto quelli potenti e ben armati- usavano semplicemente la forza per opporsi alle richieste dei banchieri che avevano prestato loro ingenti somme di denaro (in oro). È il caso famoso di Filippo II che rimandò a casa, con relativa minaccia di invasione, gli emissari dei banchieri fiorentini che gli chiedevano legittimamente la restituzione di un cospicuo prestito. In breve, o con la svalutazione o con la forza delle armi, i sovrani hanno per secoli gestito brillantemente i loro debiti.
Oggi, solo per gli Usa è corretto usare l’espressione “debito sovrano”. Anzi, più correttamente, il compianto Riccardo Parboni parlava fin dagli anni 70 del secolo scorso, di “signoraggio del dollaro”. In sostanza gli Usa sono stati per quarant’anni l’unico Paese al mondo che poteva pagare i propri debiti con l’estero attraverso l’emissione di cartamoneta, vale a dire svalutando il dollaro. Per altro, finché Wall Street ha funzionato da idrovora monetaria, i dollari messi in circolazione nell’economia mondo ritornavano a New York e mettevano in pareggio la bilancia dei pagamenti. Questo meccanismo si è rotto. Un’epoca, quella del “signoraggio del dollaro” e dell’egemonia Usa sul mondo, è finita.  Ed il governo statunitense non può nemmeno, come fece Filippo II con i banchieri fiorentini, usare la forza militare per continuare ad imporre la sua moneta ed i suoi debiti al resto del mondo. La sovranità è passata, in parte, ai “Capitali sovrani” e, soprattutto, al capitale finanziario. I “Capitali sovrani” sono costituiti dalle riserve monetarie dei Paesi che hanno un surplus strutturale e consistente nella bilancia commerciale: la Cina in primis, ma anche diversi Paesi petroliferi compresa la Russia. I “Capitali sovrani” vengono usati sempre più dai governi dei singoli Paesi per acquisire beni o titoli all’esterno in base ad una strategia di potenza ed interessi che variano decisamente se si passa dalla Cina alla Norvegia.  Complessivamente si tratta di circa 5mila miliardi di dollari. Niente al confronto della potenza del capitale finanziario, e suoi derivati, che sarebbe meglio definire “usuraio”. Infatti, le richieste di aggiustamenti strutturali, di taglio al welfare e di privatizzazione/svendita del patrimonio pubblico è una tipica richiesta del modo di operare degli usurai con le proprie vittime. I prestiti vengono concessi sempre dietro minacce e ricatti e gli “usurati” vengono spinti a svendere il proprio patrimonio, a chiedere aiuto ad amici e parenti, fino al collasso o al suicidio. Ora, di fronte allo strapotere del “capitale usuraio” la questione politica prioritaria che si impone è come recuperare la propria autonomia, la propria sovranità. In altre parole, come trasformare il “debito usuraio” in “debito sovrano”.  A fronte di governi  sordi o impotenti, le popolazioni europee non credono più alla favola dei “sacrifici oggi” e della “crescita domani”. Le rivolte degli indignatos che si vanno estendendo in tutta Europa pongono con forza il tema della “sovranità reale” che non trova più risposte nelle ricette del passato e nei riti della democrazia rappresentativa. Di contro, la crescita spaventosa del debito ecologico, della riduzione delle risorse naturali e, soprattutto, dell’inquinamento, è vistosamente negato. Sui mass media è letteralmente scomparso ogni dibattito, approfondimento, in merito al debito ecologico, cioè al prelievo sproporzionato di risorse ed al crescente inquinamento. In nome della Crescita, sono state sospese nei Paesi occidentali diverse misure che obbligavano le imprese ad abbassare il loro impatto ambientale. Tutti i roboanti impegni presi da Kyoto a Cancun , nelle ultime conferenze mondiali sul clima, sono diventati lettera morta. Che fine ha fatto la “green economy” su cui Obama aveva puntato e  vinto le elezioni? Non solo non c’è più traccia nelle sue iniziative di governo che puntano solo alla ripresa economica, ma in nome della crescita Obama ha sbloccato i permessi di perforazione dell’Alaska e, malgrado il disastro spaventoso della British Petroleum, anche quelli off-shore nel golfo del Messico. Siamo alla follia totale. La crisi economica che (ricordiamolo!) è stata scatenata dalla crescita vertiginosa del debito pubblico per salvare le grandi banche, adesso viene scaricata sull’ambiente e sugli equilibri dell’ecosistema. Oltre che sui lavoratori dipendenti ed il ceto medio. Pagano la Società e la Natura per colpe che sono unicamente di chi usa il denaro per produrre altro denaro. L’idea che passa, senza suscitare dubbi o perplessità, è che la tutela ambientale, la riduzione della CO2 siano un lusso nella fase che stiamo vivendo. È esattamente il contrario di quello che servirebbe per affrontare questa crisi epocale. 
I mutamenti climatici stanno facendo crescere la frequenza degli “eventi estremi” -uragani, piogge intense, siccità…- che, oltre un numero crescente di vite umane, producono danni pesanti alle infrastrutture ed alla produzione agricola su scala mondiale. A sua volta la speculazione finanziaria amplifica questi effetti producendo fluttuazioni giganti dei prezzi -si pensi al grano, riso, mais, ecc. che hanno subito sbalzi anche del 200% in pochi mesi e più volte negli ultimi tre anni- provocando ogni anno la chiusura di decine di migliaia di aziende contadine in tutto il pianeta. Vale a dire: a quella parte vitale dell’agricoltura che preserva la biodiversità ed è integrata con l’ecosistema. Il risultato è una brutale selezione a favore della grande azienda agricola legata al ciclo delle multinazionali del food, con un impatto crescente e devastante sulla biodiversità e sul clima. Un cerchio infernale che si autoalimenta e che dovrebbe essere rotto al più presto. Prima di tutto “disarmando la finanza” anzicché sottostare ai suoi diktat, ed allo stesso tempo convertendo in senso ecologico l’economia reale. Non ha nessun senso parlare di Crescita, senza spiegare quali settori debbono crescere (agricoltura biologica, energie rinnovabili, cultura…) e quali debbono decrescere (armi, inquinanti…). Un cambio di paradigmi e di linguaggio è urgente, quanto una politica che persegua -controcorrente- questi obiettivi. Se non ora, quando?

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