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Ambiente / Approfondimento

Il business dei pesticidi europei: vietati nell’Ue ma esportati verso i Paesi più poveri

Nel 2018 oltre 81mila tonnellate di sostanze chimiche sono state commercializzate in Paesi extra Ue, in particolare a basso reddito. Con il Regno Unito, l’Italia è il principale esportatore. Una forma di “sfruttamento” secondo le Nazioni Unite. L’inchiesta di Greenpeace e Public Eye

I pesticidi vietati nell’Unione europea vengono commercializzati nei Paesi in via di sviluppo. Nel 2018 l’Italia ha approvato l’esportazione di oltre 9mila tonnellate di sostanze chimiche vietate da Bruxelles. E non è sola. Secondo un’inchiesta realizzata da Unearthed, l’unità investigativa del Regno Unito di Greenpeace, e dalla Ong svizzera Public Eye, a farlo sono stati altri dieci Paesi dell’Ue, inclusa appunto Londra. Oltre 81mila tonnellate di sostanze chimiche, potenzialmente pericolose per salute e ambiente, sono state vendute al di fuori dall’Unione, destinate principalmente a Paesi come Brasile, Colombia, India, Ucraina e Sudafrica. “I giganti della chimica inondano di pesticidi altri Paesi, molti dei quali più poveri. Queste sostanze sono così pericolose che abbiamo preso la giusta decisione di vietarne l’uso nel nostro Paese e in tutta Europa”, ha spiegato Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “Cosa ci dà il diritto di pensare che sia legittimo continuare a produrli e spedirli in tutto il mondo?”.

Il rapporto, il più approfondito realizzato finora, ha analizzato le notifiche di esportazione che ogni azienda con sede nell’Ue deve realizzare per indicare la propria intenzione di esportare determinate sostanze chimiche in un Paese extra Unione. Nelle notifiche è necessario indicare i dettagli relativi alle informazioni sulla quantità della sostanza, sul suo impiego nel Paese importatore e sulle misure di precauzione da adottare per utilizzarlo. Greenpeace e Public Eye hanno ottenuto la documentazione presentando centinaia di richieste di accesso agli atti presso l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) e le autorità competenti dei singoli Paesi. In alcuni casi, specificano le due organizzazioni, il volume dei prodotti effettivamente venduti è stato superiore o inferiore alla quantità notificata e in altri le esportazioni non sono avvenute.

Da qui l’elenco dei fornitori e dei pesticidi. Nel 2018 undici Paesi dell’Ue hanno esportato 81.615 tonnellate di 41 diversi prodotti antiparassitari vietati da Bruxelles. Le esportazioni hanno riguardato 85 Paesi e circa 42.636 tonnellate sono state destinate a Paesi a basso e medio reddito. Il Regno Unito è il principale esportatore: nel 2018 ha esportato 32.188 tonnellate di pesticidi, circa il 40% del totale, e 13.760 sono finite in Paesi con redditi medio-bassi. La maggior parte delle esportazioni hanno riguardato miscele contenenti paraquat, un diserbante prodotto dalla multinazionale Syngenta. “È così tossico che un sorso può uccidere e aumentare il rischio di contrarre il Parkinson”, si legge nell’inchiesta.

 

L’immagine illustra le esportazioni di fitofarmaci, vietati nell’Unione europea, in Paesi extra-Ue

Al secondo posto c’è l’Italia che ha esportato 9.500 tonnellate di fitofarmaci, circa il 12% del totale. Due terzi del totale delle esportazioni italiane, pari a 6.120 tonnellate, hanno riguardato il trifluralin puro, prodotto da Finchimica, vietato nell’Ue dal 2007 e considerato sospetto cancerogeno. La stessa azienda ha emesso notifiche di esportazione anche di 1.820 tonnellate di ethalfluralin, un erbicida sospetto cancerogeno per le persone, esportato principalmente negli Stati Uniti e in Canada. Tra le aziende italiane, anche la Sipcam Oxon che ha esportato 300 tonnellate di diserbante a base di atrazina, un erbicida tossico vietato nell’Ue dal 2004, in Sudan, Israele, Stati Uniti e Sudafrica. Inoltre secondo Greenpeace, l’azienda ha notificato una prevista esportazione di 220 tonnellate di diserbante a base di alachlor in Sudafrica, “sospetto cancerogeno classificato come molto tossico per gli organismi acquatici, identificato come un potenziale interferente endocrino dalla Commissione europea nel 2000 e una delle poche sostanze chimiche che rientra nei criteri per essere elencato come pesticida pericoloso ai sensi della Convenzione di Rotterdam”. La stessa sostanza, prodotta dalla Sygenta, è esportata anche in Sudan, Pakistan e Ucraina.

Nell’elenco c’è anche il 1,3-dicloropropene (1,3-D) -vietato nell’Unione europea dal 2007 a causa dei rischi per i consumatori oltre che per il rischio di contaminazione delle acque sotterranee, flora e fauna- prodotto da Corteva ed esportato in Marocco, Senegal e Sudafrica. E gli erbicidi atrazina e acetoclor, prodotti principalmente da Bayer e Corteva. Quattromila tonnellate di pesticidi a base di acetoclor, bandito dall’Unione europea nel 2011, sono state principalmente esportate in Russia e Ucraina, dove il fitofarmaco è utilizzato nella coltivazione del mais poi acquistato dall’Ue.

Il rapporto di Greenpeace e Public Eye è stato pubblicato dopo che a luglio esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite avevano lanciato un appello per fermare l’esportazione di fitofarmaci verso i Paesi in via di sviluppo. Baskut Tuncak, incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di esaminare l’impatto dei pesticidi sui diritti umani, ha definito questo fenomeno una forma di “sfruttamento”: una pratica che ha colpito i “più vulnerabili” favorendo l’industria che trae profitto da “comunità e lavoratori all’estero che si ammalano, mentre importano prodotti più economici attraverso le catene globali di fornitura e alimentano insostenibili modelli di consumo e produzione”. Dello stesso parere Alan Tygel -portavoce della Permanent Campaign Against Pesticides and for Life, coordinamento di Ong e movimenti brasiliani contro l’uso dei fitofarmaci- secondo il quale si sta assistendo a un “doppio parametro” che attribuisce un valore inferiore alle vite nei Paesi più poveri e al loro ambiente. “Se un pesticida è vietato perché può portare a un cancro nell’Unione europea, causerà gli stessi problemi anche ai brasiliani”.

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