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Idrogeno, la rivoluzione che non c’è – Ae 38

Numero 38, aprile 2003Le celle a combustibile sono più efficienti dei tradizionali motori a scoppio ma ancora troppo costose. E l'attuale produzione di idrogeno è comunque inquinante. L'unica soluzione è il risparmio energeticoSe il petrolio, come è ormai chiaro, è…

Tratto da Altreconomia 38 — Aprile 2003

Numero 38, aprile 2003

Le celle a combustibile sono più efficienti dei tradizionali motori a scoppio ma ancora troppo costose. E l'attuale produzione di idrogeno è comunque inquinante. L'unica soluzione è il risparmio energetico

Se il petrolio, come è ormai chiaro, è destinato ad esaurirsi, le celle a idrogeno, di cui tanto si parla, possono rappresentare l'alternativa? Vediamo.

Le celle a combustibile abbinate a motori elettrici (vedi riquadro a pagina 30), sono certamente più efficienti dei tradizionali motori a scoppio, ma hanno attualmente costi troppo elevati e devono essere migliorate sul piano dell'affidabilità. Ci vorranno 10 o 20 anni per arrivare a soluzioni efficienti, e questo dipenderà dall'entità degli investimenti e dall'avvento più o meno rapido di una produzione su grande scala.

E qui sta il vero problema, perché per sviluppare un mercato delle auto a idrogeno è indispensabile che questo gas sia prodotto in grande quantità a prezzi ragionevoli e distribuito in modo efficiente, e per ora siamo molto lontani dal poterlo fare.

Tutte le difficoltà derivano dal fatto che l'idrogeno è il gas più leggero che esista, tanto leggero che sulla Terra non viene trattenuto dalla forza di gravità e si disperde rapidamente nell'atmosfera e quindi nello spazio esterno. Sulla terra quindi non si trova idrogeno allo stato naturale, ma deve essere estratto dall'acqua, dal metano o da altri idrocarburi. Ma per scindere le molecole di acqua e ottenere l'idrogeno, e per distribuirlo a chi lo utilizzerà, dobbiamo spendere più energia di quella che potremo poi ottenere dalla sua combustione.

L'idrogeno quindi non può essere considerato realmente una fonte di energia, ma solo un mezzo per conservare, trasportare e riutilizzare energia che è stata prima prodotta in qualche altro modo, e comunque l'energia che ci può fornire è sempre minore di quella spesa per produrlo.

L'idrogeno è già oggi prodotto su scala industriale, ricavandolo dal metano con un processo che separa gli atomi di idrogeno dal carbonio, e il suo uso è concentrato principalmente nella stessa industria petrolifera e petrolchimica. Questa tecnica comporta l'emissione di una certa quantità di anidride carbonica e sarebbe quindi da evitare, se non si vuole spostare la produzione di gas serra dal motore dei veicoli alla fase di produzione del combustibile.

La scelta ecologicamente migliore sarebbe di ricavare l'idrogeno con l'elettrolisi dell'acqua, un processo già utilizzato su piccola scala, che richiede l'utilizzo di corrente elettrica come fonte di energia. In questo caso però il problema si sposta sulla fonte da cui proviene l'energia elettrica: se è prodotta in centrali a carbone o a gas o nucleari, allora l'inquinamento da anidride carbonica, o peggio da scorie nucleari, viene solo spostato e non eliminato. Per risolvere il problema bisognerebbe utilizzare solo l'elettricità prodotta da fonti rinnovabili, come le centrali idroelettriche -che attualmente forniscono circa il 17% dell'energia elettrica prodotta nel mondo- o le centrali eoliche, solari o geotermiche, che però contribuiscono per meno del 3%.

Le previsioni dell'International Energy Agency, in effetti, non sono particolarmente ottimistiche. Attualmente la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nei Paesi industrializzati è il 6,4% del totale, e arriverà forse all'8% nel 2030, a meno che i governi non attuino politiche di promozione di queste fonti particolarmente aggressive, nel qual caso potrebbe arrivare al 25%. Ma non sembra proprio che le scelte di politica energetica vadano in questa direzione.

Il problema della produzione pulita dell'idrogeno è insomma una questione di decisioni politiche e, a meno di drastiche scelte per ora improbabili, difficilmente potrà avere una risposta soddisfacente prima del 2050. Come abbiamo già sottolineato in diversi articoli comparsi su Altreconomia, ci sono molti dubbi che le riserve petrolifere mondiali siano sufficienti ad assicurarci petrolio abbondante e a buon mercato fino ad allora.

Siccome il settore dei trasporti assorbe oltre il 60% del consumo mondiale di petrolio, la soluzione più ovvia sarebbe una riduzione dei consumi in questo settore, imponendo alle case produttrici di automobili di migliorare il rendimento dei motori (con tecnologie già disponibili) e soprattutto sviluppando il trasporto pubblico in alternativa a quello privato.

Ma questa è una soluzione che richiede un cambiamento radicale delle nostre abitudini e, soprattutto, che incrocia troppi interessi forti e politicamente influenti. Quello che ci stanno inducendo a pensare è che si possano introdurre le auto a idrogeno senza preoccuparsi di come viene prodotto.

Con le tecniche attualmente usate in applicazioni commerciali, l'idrogeno compresso in una bombola di dimensioni ragionevoli è del tutto insufficiente a garantire una autonomia accettabile a un'automobile.

Per avere una autonomia di almeno 400 km (come richiede attualmente il mercato automobilistico) un'auto a idrogeno dovrebbe avere un serbatoio enorme e pesantissimo, praticamente impossibile da portarsi appresso, e che per di più richiederebbe ore di attesa per essere rifornito. Sono allo studio molte altre tecniche per contenere l'idrogeno e renderlo più facilmente trasportabile, ma per ora non hanno superato la fase sperimentale ed è difficile prevedere se e quando potranno fornire delle soluzioni economicamente accettabili.

Le case automobilistiche stanno quindi studiando soluzioni intermedie, in cui l'idrogeno viene prodotto a bordo del veicolo, a partire da benzina o metanolo contenuti in un normale serbatoio. Così facendo si potrebbero costruire auto simili a quelle tradizionali (come i prototipi attualmente in circolazione) con motori più efficienti, ma l'estrazione dell'idrogeno dalla benzina o dal metanolo produrrebbe inevitabilmente l'emissione di anidride carbonica e quindi, ancora una volta, non si risolverebbe il problema dell'inquinamento, e inoltre continueremmo a dipendere dal petrolio o dal metano.

Insomma, come dicevamo all'inizio, l'idrogeno di cui si parla non ha niente a che vedere con la soluzione dei problemi di inquinamento e di dipendenza dal petrolio, perlomeno in tempi rapidi. In Usa la percorrenza media delle auto è attualmente di circa 8 km con un litro di benzina. In Europa andiamo un po' meglio, ma anche da noi le case automobilistiche spingono per farci acquistare auto sempre più grosse o potenti fuoristrada, in modo da assicurarsi gli alti margini di profitto necessari per sopravvivere in un mercato sempre più concorrenziale. Intanto le forze politiche, di governo o di opposizione, invece di affrontare il problema con misure legislative che prefigurino realmente una diversa politica dei trasporti e di risparmio energetico, si palleggiano la responsabilità di provvedimenti inconcludenti, come i blocchi del traffico domenicali, e si nascondono dietro promesse inconsistenti o futuribili come l'auto a idrogeno. Non facciamoci ingannare e cerchiamo di far pesare le nostre scelte di consumatori consapevoli, ricordando che l'unica via praticabile è quella della riduzione dei consumi. !!pagebreak!!

Per approfondire
Un'analisi delle prospettive di sviluppo dei diversi tipi di veicoli (compresi quelli a idrogeno) dal punto di vista delle compagnie automobilistiche e petrolifere si trova nel rapporto preparato dalla General Motors, assieme a ExxonMobil, Shell e TotalFinaElf, al sito:
http://www.lbst.de/gm-wtw

Un punto di vista diverso è espresso in un recente studio del Massachussetts Institute of Technology (Mit), all'indirizzo: http://lfee.mit.edu/publications/PDF/LFEE_2003-001_RP.pdf

Le previsioni dell'International Energy Agency sullo sviluppo delle energie rinnovabili si trovano al sito: http://www.iea.org/Leaflet.pdf

Per avere un'idea dello stato delle ricerche in Italia sull'uso dell'energia solare per la produzione di idrogeno si può consultare il sito dell'Enea, che sta sviluppando un programma di ricerca in merito: http://www.enea.it/com/solar/index.html.

La via americana all'idrogeno è illustrata in un documento del Dipartimento dell'Energia, all'indirizzo: http://www.eere.energy.gov/hydrogenandfuelcells/pdfs/national_h2_roadmap.pdf

Auto a celle a idrogeno: il futuro non è prossimo
Una cella a combustibile è un apparato simile a una batteria, in cui però i reagenti chimici che forniscono l'energia elettrica non sono inseriti fin dall'inizio e una volta per tutte, ma vengono forniti man mano durante il funzionamento. Nelle celle a idrogeno è appunto questo elemento che viene immesso e che fornisce energia combinandosi con l'ossigeno dell'aria per formare acqua.

Il principio di funzionamento è noto fin dagli anni '30, e le prime celle furono costruite dalla Nasa per le missioni Apollo. I costi delle celle sono fortemente condizionati dall'uso di materiali preziosi, come il platino, necessari per costruire le membrane attraverso cui avvengono le reazioni chimiche che liberano energia.

In un'auto a idrogeno l'energia fornita dalla cella viene utilizzata per alimentare un motore elettrico, e il sistema complessivo dovrebbe avere, in teoria, un rendimento superiore a quello di un tradizionale motore a scoppio o a iniezione. Ma ci sono ancora notevoli difficoltà tecnologiche da superare e le valutazioni sul rendimento effettivamente raggiungibile sono discordi. Mentre le case automobilistiche, come la General Motors, indicano valori di oltre il 60% in più rispetto ai motori tradizionali, altri lavori indipendenti, come quelli del Mit, attribuiscono alle auto a idrogeno un rendimento quasi identico a quello di veicoli ibridi, in cui un normale motore a iniezione è abbinato a un motore elettrico alimentato da batterie. !!pagebreak!!

Un autore di successo ma la tesi resta fuorviante
Energia per tutti, utopia lontana
Jeremy Rifkin è uno scrittore di successo. Per capirlo non serve consultare le statistiche di vendita, basta osservare la copertina del suo ultimo libro edito da Mondadori, dove il suo nome è scritto in caratteri ben più grandi del titolo:

La società dell'idrogeno. Una furbizia dell'editore, che completa un libro confezionato in maniera altrettanto furba.

La tesi di Rifkin è affascinate: mentre il petrolio, concentrato in poche mani, ha modellato una società caratterizzata dall'accentramento delle decisioni e dal dominio di pochi, l'avvento dell'idrogeno segnerà la nascita di una nuova era di piena democrazia, in cui tutti potremo produrre e scambiare l'energia che ci serve senza dipendere da nessuno. Una tesi che meriterebbe una dimostrazione rigorosa, basata su indagini approfondite, ma che l'autore sostiene invece solo con un grande sfoggio di suggestive analogie e di numeri citati in modo spesso incongruo e fuori contesto.

Sostenere che l'impero romano cadde per una crisi energetica è per lo meno semplicistico, e citare un certo numero di storici che appoggiano questa tesi senza parlare dei molti altri che la pensano diversamente non basta a dimostrarla.

Che vi sia stata una coincidenza temporale tra taylorismo, diffusione dell'uso del petrolio e gestione centralizzata delle comunicazioni da parte delle società telefoniche è certamente vero. Ma le connessioni causali tra questi eventi andrebbero analizzate ben più a fondo per poter stabilire un parallelismo con l'attuale sviluppo del web, dell'organizzazione reticolare delle grandi aziende e la prossima diffusione dell'idrogeno, che coronerebbe un processo già in atto di cambiamento dell'intera gerarchia della nostra società.

Tutto questo ottimismo poi non è mai sostenuto da previsioni certe. I tempi del cambiamento restano indefiniti, anche se il lettore è portato abilmente a pensare che la società dell'idrogeno sia molto prossima. A suggerire questa idea contribuiscono i molti numeri citati da Rifkin, che tendono a dimostrare la prossima fine delle riserve petrolifere e la crescita impetuosa delle fonti di energia rinnovabili. Dati reali, ovviamente, ma scelti con accuratezza tra i molti disponibili (spesso contraddittori), con l'effetto di offrire una visione parziale dei problemi. Così la probabile prossima fine del petrolio a buon mercato rischia di presentarsi non come una preoccupante prospettiva (che già produce tragedie come la guerra), ma come una opportunità.

E lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili sembra dietro l'angolo solo perché Rifkin non si preoccupa di sottolineare come il loro contributo attuale sia quasi trascurabile.

Certo non mancano nel suo libro gli spunti interessanti, e una ventata di ottimismo può anche esser utile di questi tempi. Ma senza una buona dose di sano realismo c'è il rischio di fare solo da supporto a un'operazione ideologica gestita dai soliti noti.

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