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Idee di conversione alle porte di Milano

Nel Parco agricolo Sud tre storie di chi punta al biologico e a sviluppare una filiera corta. Contro chi pensa di trasformare i campi in una distesa di cemento Non ci sono solo mais e cemento nel futuro del Parco…

Tratto da Altreconomia 120 — Ottobre 2010

Nel Parco agricolo Sud tre storie di chi punta al biologico e a sviluppare una filiera corta. Contro chi pensa di trasformare i campi in una distesa di cemento

Non ci sono solo mais e cemento nel futuro del Parco agricolo Sud Milano. Per capirlo basta andare a Vittuone, una quindicina di chilometri a Ovest del quartiere milanese di Baggio, tra i fontanili e i campi, ed ascoltare dalla voce di Benedetta Varri la storia di conversione della cascina Resta. L’azienda di famiglia, che esiste dal ‘700, fino al 2000 allevava solo vacche da carne. Oggi sta passando al biologico: “Da commercialista con studio a Milano ho deciso di diventare imprenditrice. E l’ho fatto scegliendo l’agricoltura bio, per dare un contributo alla difesa dell’ambiente, anche se gli agronomi locali lo sconsigliavano”.
Insieme al marito la Varri ha ristrutturato la cascina e destinato 8 ettari a prato da fieno, frutteto e orto biologico: banditi i prodotti chimici e l’uso di diserbanti per mirtilli, pesche, more, ciliegie, fragole, albicocche e verdure. L’impianto di irrigazione a goccia (con le pompe che pescano nei fontanili) permette un risparmio sul consumo di acqua e limita la crescita delle erbacce (e quindo l’uso di erbicidi e pesticidi), e i pannelli fotovoltaici sul tetto producono l’energia necessaria (100 chilowatt) per le attività della fattoria.
La loro è una storia coraggiosa, un cammino in direzione ostinata e contraria. Tutt’intorno, il futuro del Parco è sempre più incerto (vedi i due box a p. 15) e pare segnato dagli interessi degli speculatori,
che sui suoi 46mila ettari vorrebbero costruire case, strade e autostrade.
Benedetta Varri conferma che la scelta di sperimentare l’alternativa ripaga: il primo raccolto della scorsa primavera, 3 quintali tra insalata, zucchine e pomodori, è andato per metà ai gruppi di acquisto solidali (Gas) di Baggio.
Il resto è stato venduto direttamente in cascina, saltando la filiera dei terzisti che fa lievitare il costo finale. Sono soprattutto famiglie quelle che vengono a fare la spesa la domenica.
Dalla vita di città Benedetta Varri è passata ai ritmi della campagna: sveglia alle 4.30 per annaffiare, alle 9 a Milano per lavoro part-time e alle 14 di nuovo in cascina per completare la giornata. “Questo è il primo anno di sperimentazione per capire cosa conviene seminare e coltivare -racconta-. Ci vorranno due o tre anni per recuperare il capitale investito, ma siamo molto contenti della nostra scelta. Soprattutto dal punto di vista etico”.
Benedetta Varri è un’imprenditrice agricola che “testardamente” ha deciso di recuperare la sua cascina, convertire l’agricoltura al biologico, puntare sull’allevamento di qualità e a chilometro zero. Se raccontiamo la sua storia è perché alle porte di Milano le fattorie abbondano (sono quasi mille le aziende agricole), in nome di un passato di agricoltura e allevamento, e il suo esempio potrebbe far scuola.

L’agricoltura di qualità oggi ha un sostegno nei distretti di economia solidale, che aiutano a creare un mercato per i prodotti. Oltre alla frutta e verdura, così, è possibile acquistare anche la carne, direttamente dall’allevatore.
Nella cascina Resta tra le coltivazione bio si muovono gli animali di Silvia e Sebastiano Canavesio, allevatori che da quindici anni vivono grazie alle vacche da carne. Nel 2004 hanno deciso di puntare sulla qualità e non più sulla quantità del prodotto, diminuendo il numero di mucche e passando a un tipo di allevamento non intensivo. Un po’ per passione e un po’ per sfida Sebastiano Canavesio ha sostituito 150 capi di razza limousine con solo 52 vacche di razza varzese. Un animale tipico della Lombardia ma in via di estinzione (sono 190 in tutta la regione) che può essere utilizzato sia per il latte che per la carne. Una scelta in controtendenza rispetto ai grandi allevamenti da latte della pianura Padana, dove si usano le più grandi vacche frisone che richiedono una maggiore alimentazione rendendo quasi obbligatorio l’uso del mangime. Alla cascina Resta, invece, le mucche sono tenute all’ingrasso con quello che si produce nei campi intorno, e possono produrre anche 20 vitelli. Così le mucche, che Canavesio chiama per nome, riescono a vivere con poco, scorrazzando libere nei prati permanenti della proprietà. Quaranta ettari tra pascolo, erba da foraggio e coltivazione di cereali che vengono interamente consumati dagli animali (solo una parte dell’orzo viene venduta, mantenendo nell’azienda un ciclo chiuso). La qualità della carne dipende da quella di mais e fieno. “Abbiamo scelto di tenere le manze -spiega Silvia Canavesio- che garantiscono altri capi, e macelliamo solo il maschio, che viene venduto direttamente ai Gas”. All’allevamento è stato aggiunto un “Agriturismo Equestre” con una pensione per cavalli a fine carriera, didattica per le scuole e un centro per la riabilitazione equestre che impegna disabili e istruttori federali. “La nostra è una scelta di vita con gli animali -conclude Silvia Canavesio- ma con un grosso sforzo riusciamo ad arrivare alla fine del mese”. La loro è un’azienda a conduzione familiare e per ogni capo, che può arrivare a pesare anche 260 chili, ricavano 10 euro al chilo per la carne che viene venduta per i salami o direttamente ai gruppi di acquisto solidali.

La stessa determinata motivazione dei Canavesio è quella di Renata Lovati e Dario Olivero, due agronomi che hanno scelto di trasformare l’azienda agricola di famiglia. La loro cascina Isola Maria si trova ad Albairate (Mi), a pochi passi dal Naviglio grande (isolamaria.com) e a venti chilometri dal centro di Milano.
La decisione è arrivata due anni fa, dopo l’ennesima crisi del latte: da allevatori di mucche “e basta” hanno deciso di portare il latte al caseificio di Vigevano, per farlo trasformare in crescenza, formaggio con latte di vacca, yogurt e ricotta, e venderlo direttamente.
Tutta la produzione, 5 quintali di latte ogni 2 settimane, finisce ai gruppi di acquisto dell’hinterland milanese, a Baggio, Buccinasco, Cesano Boscone, Peschiera Borromeo, San Giuliano Milanese, Abbiategrasso, Sedriano e al centro BuonMercato di Corsico.
“Prima vendevamo solo latte -dice Dario Olivero-, ora prodotti lavorati sposando la filosofia del bio: l’agricoltura non legata alla chimica, la salubrità che fa rima con qualità ambientale”. E di pari passo anche le coltivazioni, che si estendono su una superficie di circa trentacinque ettari, sono costituite da foraggi destinati tutti alla alimentazione del bestiame, 50 vacche. Ma nella prossima primavera il numero dei capi è destinato a diminuire ancora, anche se da regolamento comunitario (che permette per il biologico fino a 2 animali adulti per ogni ettaro) qui si può arrivare fino a 70.
Anche Isola Maria ha puntato sull’agriturismo, ristorante e camere, per bilanciare la carenza di reddito da latte. Tirando le somme, il maggior costo per la conversione al biologico è stata la netta diminuzione delle produzione: a parità di lavoro nei campi si raccoglie meno. Ma ci sono anche minor costi per concimi e diserbanti, e i prodotti valgono di più. Per esperienza come questa è fondamentale il ruolo e l’appoggio del distretto di economia solidale rurale del Parco Agricolo Sud Milano, che ha incoraggiato tutte le esperienze (le trovate anche sul libro Il capitale delle relazioni, Ae 2010). Ad oggi 25 gruppi di acquisto mettono in rete quasi 500 famiglie (con una spesa media mensile di 200 euro) e 15 agricoltori, creando una domanda e un’offerta qualificata privilegiando la produzione a chilometro zero (il sito è desrparcosudmilano.it). Anche a Milano, queste esperienze permettono di mangiare e bere alimenti di qualità prodotti quanto più vicino alla città. Con un valore aggiunto: la salvaguardia e la riqualificazione del Parco.
Il sogno, che non è solo uno slogan come quello dell’Expo 2015 (“Nutrire il pianeta, energia per la vita”), è creare a Milano un tipo di agricoltura sostenibile economicamente e ambientalmente, che non pensi solo al reddito. Convinti che il biologico fermerà il cemento.

Strategia di attacco al Parco Sud
È ora di trasformare le cascine del Parco Sud in agriturismi. Secondo Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano e del Parco agricolo, “sarebbero un’ottima risposta in termini di ricettività in vista dell’Expo”. Al momento i posti letto sono 180. L’idea non è condivisa da Renato Aquilani, presidente dell’associazione Parco Sud: “Attenzione a non trasformare le cascine in ristoranti in campagna, perché poi arrivano le strade, i capannoni e altra urbanizzazione”. La viabilità è l’incubo anche dei Comuni e dei comitati locali (riuniti in notangenziale.it) che si oppongo  ai progetti di Anas per la viabilità del basso milanese: a Est la Tangenziale Est esterna e la Brebemi, e ad Ovest il collegamento per Malpensa tra la ss Padana Superiore e la Tangenziale Ovest di Milano: circa 20 chilometri che attraversano una zona incontaminata (con fontanili secolari) e protetta da vincoli ambientali del Parco del Ticino e del Parco Sud Milano. Le infrastrutture rappresentano solo una parte delle “aggressioni” al Parco agricolo Sud: 35 Comuni hanno chiesto di costruire aree residenziali al posto dei campi, interventi che puntano a riempire le casse comunali con gli oneri di urbanizzazione. E il risultato potrebbe essere ad alto impatto: circa 2.400 ettari in meno, pari al 5% dell’area tutelata. Un’altra sforbiciata dopo i mille ettari sbancati negli anni 90 per far posto all’interporto di Lachiarella (mai partito) e ai depositi di stoccaggio merce di Pieve Emanuele. Lo statuto del Parco, che vieta espressamente di costruire case, ammette i servizi commerciali. Almeno fino all’approvazione del Piano di governo del territorio del Comune di Milano (il nuovo piano regolatore), che potrebbe dare il via libera anche al residenziale, attribuendo ai terreni del parco un indice di edificabilità dello 0,2 (ovvero la costruzione di 2 metri quadrati ogni 10). Una vittoria per il più grande “latifondista” del Parco Sud: il costruttore Salvatore Ligresti, che qui possiede centinaia di ettari.

Ligresti e i volumi del Parco Sud
Mucche e palazzi convicono al capolinea della linea 2 della metro di Milano, in piazzale Abbiategrasso. A pochi passi dai condomini resiste Cascina Campazzo, una delle più antiche e famose cascine milanesi. I fratelli Andrea e Nazareno Falappi allevano 130 mucche da latte e nei terreni circostanti coltivano mais,
frumento, orzo, soia e altri cereali.
Contemporaneamente, difendono  il Parco locale del Ticinello: una distesa di 880.000 metri quadrati di verde, sfruttati principalmente per attività agricole, ma dove si organizzano manifestazioni e eventi che promuovono la storia e la cultura del territorio. La domenica è un luogo di ritrovo per le famiglie milanesi, che forse non sanno che il casolare del ‘700 è di proprietà della società Altair, gruppo Ligresti, che la comprò nel 1984 dall’Ente comunale assistenza Milano. L’Altair ha chiesto da tempo lo sfratto degli affittuari, che vivono qui dal 1951, ma i Falappi non vogliono abbandonare la fattoria. Lo scorso luglio l’ultimo tentativo. Poi la proprietà -su pressione anche del Comune di Milano- ha congelato lo sfratto. Con l’approvazione definitiva del Piano di governo del territorio, previsto il febbraio 2011, Palazzo Marino potrebbe acquisire la cascina, completare il Parco del Ticinello (oltre il 50% dei terreni limitrofi alla cascina sono comunali) e risolvere i grattacapi di Ligresti.
Il Comune non ha mai voluto espropriare per pubblica utilità il casolare e i terreni del finanziere-costruttore originario di Paternò (Ct), che ora -grazie al principio di perequazione- avrebbe la possibilità di costruire gli stessi volumi in un altra zona della città.

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