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Altre Economie

I vestiti nuovi del consumatore

Vi spieghiamo perché è giusto conciliare etica ed estetica nel proprio armadio, scegliendo abiti e accessori solidali, biologici e recuperati  Se volete un buon motivo per “spogliarvi”, passate direttamente a pagina 11. Il tessile, abbigliamento e calzature sportive inclusi, è…

Tratto da Altreconomia 115 — Aprile 2010

Vi spieghiamo perché è giusto conciliare etica ed estetica nel proprio armadio, scegliendo abiti e accessori solidali, biologici e recuperati 

Se volete un buon motivo per “spogliarvi”, passate direttamente a pagina 11. Il tessile, abbigliamento e calzature sportive inclusi, è il settore industriale più esteso al mondo in termini di fatturato e di manodopera. Coinvolge 60 milioni di lavoratori, in prevalenza giovani donne, migranti, precari, non sindacalizzati, spesso sommersi, sottoposti a condizioni di lavoro estenuanti e insalubri con salari che non superano in media i due dollari al giorno, a rischio di costante avvelenamento nelle piantagioni di cotone, concentrati nel Sud-Est asiatico, in Nord Africa e in America Centrale. Quelli che raccontiamo da pagina 11 sono solo gli ultimi casi.
In queste pagine invece vi diamo dei buoni consigli e indirizzi per “rivestirvi”. Perché vestirsi è un atto sociale. Quello che indossiamo assolve a molteplici funzioni, nessuna trascurabile. Innanzitutto ci serve, è funzionale al lavoro, alle attività che caratterizzano la nostra vita, consentendoci di giocare diverse funzioni sociali in sicurezza e benessere. Per questo non possiamo trascurare la compresenza di istanze etiche ed estetiche, funzionali ed emozionali, nell’orientamento alle scelte di consumo, anche di quello responsabile.
Adottare uno stile di consumo consapevole significa dunque privilegiare abbigliamento, accessori e calzature, che rispondono a tutti o ad alcuni degli indicatori individuati per definire una produzione responsabile. Ma esistono? E a quali produzioni corrispondono in questo caso?
La moda solidale, spesso chiamata critical o ethical fashion, nasce dall’influenza del movimento del commercio equo e solidale che per primo ha riqualificato in chiave solidaristica ed equitativa la relazione fra Nord e Sud del mondo: il commercio equo ha creato partnership economiche con i piccoli produttori svantaggiati per sostenerne lo sviluppo attraverso l’acquisto e l’accesso sui mercati del Nord di prodotti giusti, ovvero a prezzo equo per il produttore e trasparente per il consumatore, e intervenendo anche con i prefinanziamenti e altre forme di sostegno alle comunità locali. Un concetto di responsabilità centrato sul rispetto dei diritti di quanti producono lontano nello spazio e spariscono inghiottiti dal vortice del commercio internazionale.
La moda può essere solidale innanzitutto verso gli esclusi, gli artigiani e i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, gli eterni sconfitti nella roulette russa dell’economia globale.
La moda solidale è diffusa in Italia grazie appunto alle organizzazioni del commercio equo e solidale. Nessun organismo rilascia un vero e proprio “marchio di certificazione di prodotto”, ma l’Associazione generale italiana del commercio equo e solidale (Agices, www.agices.org) e quella mondiale World Fair Trade Organization (Wfto, www.wfto.com) attestano che l’intera organizzazione agisce nel rispetto dei criteri del fair trade. Elemento molto importante, che qualifica l’intero processo produttivo e organizzativo. Oltre alla moda solidale proveniente dal circuito delle organizzazioni afferenti al Wfto, sono presenti sul mercato prodotti di abbigliamento certificati da Flo, Fairtrade Italia (www.fairtradeitalia.it ) nel nostro Paese, marchio di garanzia di prodotto del commercio equo e solidale utilizzabile da soggetti anche convenzionali come imprese e distributori. Il marchio garantisce il rispetto dei criteri del fair trade per la parte agricola e quindi certifica che il cotone contenuto nel capo è materia prima 100% equa e solidale e ogm free. Cotone certificato Fairtrade non significa certificato biologico, ma prodotto secondo gli standard della lotta integrata in agricoltura.
Le linee di prodotti provenienti dal circuito equo solidale o con marchio Fairtrade spaziano dall’abbigliamento all’intimo, passando per i jeans, gli abiti da sposa, le scarpe e gli accessori. Una gamma sempre più ricca che proviene da ogni parte del mondo, in particolare Asia, Africa e America Latina. Filiere “lunghe” dal punto di vista puramente geografico, ma basate su rapporti di cooperazione stretti. Definiamo solidale anche la moda e la produzione delle cooperative sociali, imprese senza fine di lucro che inseriscono al lavoro persone svantaggiate, quali ex tossicodipendenti, detenuti, disabili fisici e psichici. Molte di queste realtà lavorano con laboratori sartoriali anche di alto livello.
Esiste infine la moda biologica, che trae origine dalla volontà di “fare pace” con la natura, accogliendo quelle istanze ambientaliste ed ecologiche sempre più cruciali per il futuro dello sviluppo.
Anche i consumatori mostrano sempre più interesse verso la produzione di abbigliamento green, eco-compatibile, in grado di ridurre l’impronta ecologica della produzione ma anche di garantire benessere e salute a chi lo indossa. L’emergenza legata ai fenomeni di contraffazione e produzione tessile, fuori dalla cornice delle normative di garanzia europee, sta inoltre generando un nuova domanda di abiti “sani”.
La moda biologica è quindi caratterizzata dall’utilizzo di tessuti rigorosamente naturali, organici, trattati con tinte naturali e da un’attenzione agli accessori e al packaging per ridurre il rischio di allergie e la produzione di rifiuti non riciclabili. Cosa può aspettarsi un consumatore quando indossa una t-shirt certificata bio? Intanto che tutta la filiera sia certificata biologica, dal campo allo scaffale. Questo non va inteso come totale assenza di prodotti sintetici e chimici nel processo produttivo ma come massimo mantenimento possibile dell’integrità della natura organica della fibra. Questo obiettivo si può raggiungere utilizzando il massimo possibile di prodotti biologici, ove esistenti, e adottando processi produttivi e chimici alternativi che minimizzano l’impatto sull’ambiente e proteggono la salute dei consumatori. La carta d’identità di una t-shirt certificata bio ci dice che è stato utilizzato cotone 100% certificato biologico senza l’impiego di pesticidi, fertilizzanti chimici dannosi e di Ogm. Possono essere contenuti fino a un massimo del 10% di fibre sintetiche per alcuni componenti ausiliari come gli elastici. Nel processo di manifattura non sono impiegate sostanze chimiche pericolose, le sostanze alcaline sono riciclate e non rilasciate in acqua e tutti i rifiuti sono trattati. Un grande regalo a noi stessi e all’ambiente.

Una rivoluzione creativa
È l’ora del cambio di stagione. Queste pagine sono tratte da I vestiti nuovi del consumatore (96 pp., 4,50 euro) l’ultima nata tra le guide della nostra collana “Io lo so fare”. Un prezioso vademecum per rinnovare il guardaroba, coniugando lo stile con il rispetto per l’ambiente e le persone. Con gli indirizzi di 100 realtà tra produttori, negozi e web. È in vendita sul nostro sito, nelle botteghe del commercio equo e -da maggio- in libreria.

* presidente di Fair

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