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Ambiente / Attualità

I veleni dell’ex Acna minacciano ancora la Valle Bormida

L’industria chimica dismessa nel 1999 -oggi tra i Siti di interesse nazionale da bonificare- ha contaminato il territorio tra Piemonte e Liguria. Diverse le proposte di conversione dell’area, di proprietà di Eni, ma per gli abitanti della valle si tratta di pretesti per non affrontare il problema dell’inquinamento

Il cimitero di Cengio (Savona) © Maurizio Bongioanni

La Valle Bormida è stretta tra Piemonte e Liguria. Gli ultimi 140 anni della sua storia sono stati caratterizzati dall’inquinamento emesso nel fiume Bormida e nell’aria da parte dell’Acna, Azienda coloranti nazionali e affini, il cui stabilimento sorge a Cengio, in provincia di Savona. Nonostante la “fabbrica dei veleni” -come la chiamano i valligiani- abbia cessato l’attività di produzione chimica nel 1999, e sia stata inserita nella lista dei Siti di interesse nazionale (SIN) da bonificare, una bonifica vera e propria non è mai stata fatta. Eppure, sono state avanzate diverse proposte progettuali per riutilizzare l’area -ora di proprietà di Eni-: l’ultima in ordine cronologico è quella di realizzare il nuovo carcere di Savona. Ma per gli abitanti della valle si tratta di pretesti per non affrontare alla radice il problema dell’inquinamento.

La storia dell’Acna ha inizio nel 1882, quando in una piccola valle a vocazione agricola, nasce un dinamitificio. A pochi anni dal suo insediamento viene rilevato dalla Società italiana prodotti esplodenti, i cui esplosivi erano commissionati per la guerra coloniale in Libia di inizio Novecento. Il polo industriale diventa così un’area strategica. Nel 1925 l’Italgas lo rileva per convertirlo alla produzione di coloranti ma nel 1931 lo cede alla Montecatini, che riprende la produzione di esplosivi e di gas tossici, impiegati per lo sterminio degli eritrei nella guerra d’Abissinia.

Finita la guerra, l’Acna converte la produzione a prodotti chimici e tutta la sua produzione continua a insistere sul greto del fiume Bormida che, passato il paese di Cengio, prosegue in territorio piemontese e dopo un centinaio di chilometri confluisce nel Tanaro all’altezza di Alessandria. I valligiani si sono ribellati all’inquinamento delle acque fin dai primi del Novecento, quando sono stati chiusi, per ordine comunale, diversi pozzi. Ma è dagli anni Settanta che la lotta ha preso slancio, fino ad arrivare agli anni Novanta con la chiusura dello stabilimento, ordinata dal ministero dell’Ambiente. 

Nel 2000, governo e parti interessate -Acna e Regioni Piemonte e Liguria- stipulano un accordo di programma nel quale l’azienda si impegna a “progettare e realizzare interventi di bonifica, messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale”. Inoltre, l’accordo prevede di “progettare e realizzare tutti gli interventi necessari per ridurre e tendenzialmente azzerare la produzione di percolato” e pure a “definire in tempi brevi la realizzazione di un centro di ricerca, sperimentazione e sviluppo di tecnologie di messa in sicurezza e bonifica”. 

“Possiamo constatare che a vent’anni da quell’accordo, di bonifica si è parlato molto ma si è fatto poco, mentre persistono gravi problemi ambientali sull’area oggetto della bonifica” spiega Massimo Trinchero, portavoce dell’associazione Rinascita della Valle Bormida. Per le opere di bonifica sono stati spesi finora quasi 400 milioni di euro ed è stata costruita una barriera sotterranea in cemento con la funzione di contenere il percolato. 

Con l’accordo di programma, il sito, che si estende per 55 ettari, è stato diviso in quattro zone. Nell’area “A1” sono confluiti gli scarti di lavorazione presenti nelle altre aree, trasformandola, di fatto, in una discarica nociva e pericolosa “senza aver conseguito alcun iter di valutazione di impatto ambientale”, continua Trinchero. Per questa mancanza, nel 2009 la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione verso lo Stato italiano. “Per rimediare, lo Stato ha fatto una valutazione a posteriori, regolarizzando una situazione che, per noi, non tiene conto di diverse criticità ambientali”. 

L’Acna ha sempre usato il greto del fiume per depositare i rifiuti di produzione. “Con il passare degli anni questi rifiuti hanno progressivamente spostato il corso d’acqua”, riprende Trinchero. “Si è dato per scontato che l’ammasso roccioso sotto lo stabilimento fosse impermeabile -o così ha sempre dichiarato l’Eni, ora proprietaria del sito attraverso la sua divisione Rewind, ndr– ma le mappe dell’Ispra riportano una situazione diversa: il substrato è interessato da faglie e fratture, quindi non c’è tenuta impermeabile del fondo”. 

E su questo fondo poggiano quattro milioni di metri cubi di rifiuti. Si tratta di uno strato alto 20 metri dal peso, alla base, di 32 tonnellate per metro quadrato, secondo le stime calcolate da Rinascita della Valle Bormida. “Parliamo di una sollecitazione sul fondo a dir poco spaventosa”, aggiunge il portavoce. Le criticità sono evidenti: “Uno degli obiettivi dell’accordo di programma era di ridurre, se non di azzerare, il percolato in tutto il sito. Eppure i numeri ufficiali dicono che, nel 2006, sono stati raccolti e trattati 438mila metri cubi di percolato e nel 2016 erano ancora 377mila, quindi poco meno. Ma se andiamo a vedere la sola area ‘A1’, quella dove si concentra la discarica, nel 2006 c’erano 171mila metri cubi di percolato, che nel 2016 sono diventati addirittura 228mila. Questi dati ci dimostrano che non stiamo andando nella direzione prevista dall’accordo”. 

Non solo. Secondo le rilevazioni dell’Arpa Liguria, nella striscia esterna al perimetro dello stabilimento, la cosiddetta “area Merlo”, grande tre ettari e posta fuori delle barriere di contenimento in cemento vi sono concentrazioni elevate di sostanze inquinanti, le stesse che hanno portato alla chiusura della fabbrica nel 1999.

Che qualcosa non stia funzionando lo dice anche Roberto Bertalero del gruppo di supporto tecnico-scientifico dell’associazione. “La messa in sicurezza permanente è l’ultima spiaggia, perché si tratta di delimitare l’inquinamento e lasciarlo così come in origine -ha spiegato Bertalero-. In questo caso non si può mettere un cappotto e poi lasciarlo lì, perché si deteriora. Non c’è un limite di tempo quando si parla di sicurezza. È come l’auto: quando è stata introdotta la cintura, pensavamo di aver raggiunto il massimo della sicurezza. Ma poi sono arrivati gli airbag. Insomma, la sicurezza è un concetto in evoluzione e va di pari passo con la tecnica”. Oggi, secondo Bertalero, vi sono diverse tecniche per mettere in sicurezza o bonificare l’impianto: “C’è la vetrificazione, anche se è un processo che si concentra solo su piccole porzioni di terreno. Oppure, laddove le infiltrazioni sono più consistenti, si potrebbe procedere al congelamento del terreno. Ma solo con il centro di ricerca previsto dall’accordo si può mantenere vivo l’interesse sul sito, portare nuove tecniche e risolvere il problema definitivamente. Per questo sito e per altri analoghi in Italia. Invece l’obiettivo dei proprietari sembra quello di far dimenticare che qui esista un problema”.

Invece del centro di ricerca, negli ultimi anni si è preferito parlare di altri progetti. L’ultimo è quello di realizzare il nuovo carcere di Savona, proprio al posto dell’Acna. Mentre da una parte il sindaco di Cengio, Francesco Dotta, ribadisce ai giornali locali che l’area “A2” -dove si propone di costruire la casa circondariale- è “bonificata, certificata e risanata”, dall’altra Rinascita della Valle Bormida è tornata ad esprimere la sua contrarietà. “Un carcere provinciale impone una notevole struttura edilizia con importanti opere di fondazioni che possono interferire pericolosamente con le falde acquifere” dice Camillo Cordasco, cofondatore dell’associazione. “Il servizio idrogeologico della provincia di Savona ha evidenziato un innalzamento della falda sotterranea fino a sfiorare la quota del piano di campagna. L’impegno ufficiale dei proprietari è quello di mantenerle sotto terra di almeno 1,2 metri. Inoltre la Regione Liguria ha espresso la volontà di intervenire sulle opere di contenimento rivolte al fiume. Insomma, nell’area ‘A2’ è stata realizzata solo una parziale misura di bonifica, ossia al di sopra del livello di falda. Si tratta di una riduzione della contaminazione, ma permangono terreni contaminati e acque sotterranee inquinate in quantità non ben definite”.

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