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Opinioni

I tre pregiudizi sulla Grecia (anche da parte della sinistra)

"I greci hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità", "i debiti si pagano", "la Grecia rischia di contagiare l’eurozona". Ecco perché le formule retoriche alterano e banalizzano ogni analisi del "caso greco", a scapito di una seria valutazione della posta in gioco

Sulla crisi greca e i suoi attuali sviluppi abbiamo letto, sentito e  visto molte cose. Tuttavia credo sia giusto contestare tre pregiudizi, non perché siano molto diversi da tanti altri che corrono sull’argomento, ma perché questi circolano abbondantemente, persino tra chi si è schierato in maniera militante e convinta a fianco di Syriza e del popolo greco.
 
Il primo di questi pregiudizi è che quanto accade oggi in Grecia -la tragedia e il massacro sociale del popolo greco- siano un po’ anche colpa loro. Cioè di tutti i greci: spese folli, clientelismo, corruzione.
Immaginiamo che oggi qualcuno parlasse di Taranto con la stessa leggerezza, come del resto è stato fatto. La situazione di Taranto è anche un po’ colpa dei tarantini -che fumano troppo, sono lazzaroni e disordinati, hanno sindacati corruttibili e una classe dirigente locale e non solo locale ambigua quando non connivente-. In ciascuna di queste cose c’è qualcosa o molto di vero. E si potrebbe aggiungere che, oltre alla corruzione, in Puglia imperversa la mafia -più precisamente la sacra corona unita-, e che “i pugliesi” sfruttano ferocemente i migranti.
Questa però non è un’analisi razionale e storica -e neanche un’analisi coerente con i valori della sinistra-.
Dire “i pugliesi” esattamente come dire “i greci”: non significa concedere qualcosa a un sano scetticismo. Vuol dire approvare e sostenere mistificazioni proprie della destra volgare.
A Taranto esiste l’Ilva -e non solo–. Esistono i profitti della famiglia Riva, esiste chi si faceva corrompere, esiste la sacra corona unita. E poi esistono le loro vittime, esattamente come esistono in Grecia.
Che si potrebbe dire dell’Italia, che cosa si dice già ora e che si direbbe a maggior ragione se cadesse nel baratro tante volte minacciato dalla crisi? Che gli italiani se la sono voluta, con la mafia, col fascismo, con la corruzione e, per fare di tutta l’erba un fascio, si aggiungerebbero i ventimila forestali calabresi, i falsi invalidi, i malandrini e gli imbroglioni di tutte le risme, da Belsito a Fiorito, da Expo al Mose, a mafia capitale, a Genova e Salerno.
 
La Grecia ha fatto il passo più lungo della gamba? Ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità? Anche gli operai della Thyssen hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità? Il popolo greco non è lo stesso popolo che ha lottato contro la dittatura fascista di Metaxas, contro i nazifascisti, contro gli inglesi e i monarchici, contro i colonnelli e ora contro gli speculatori e gli sfruttatori di ogni tipo?
È vero che le figlie orfane e nubili dei dipendenti statali prendono una modesta pensione? Questo si spiega in termini storici e razionali e non scandalistici e superficiali. Ma pesa più questo o il fatto che gli armatori non paghino tasse sul reddito -o meglio, le paghino, fatto unico e bizzarro, a loro discrezione (art 89 della Costituzione greca)-; e per che sovramercato godano della bellezza di 56 tipi diversi di esenzioni? Chi ha voluto le Olimpiadi, chi ci ha guadagnato; chi ha comprato dalla Germania due sottomarini per 5 miliardi e chi ci ha guadagnato? I “greci”? E chi ci guadagnerà dai 90 F-35 che andiamo a comprare “noi italiani”?
Ecco dunque il primo pregiudizio che riguarda i greci, ma potrebbe riguardare gli italiani, gli americani, gli egiziani. Per ciascuno di questi popoli la scelta si pone tra fare un’analisi razionale e veridica o sottomettersi al pregiudizio.
 
Il secondo pregiudizio -che contamina ampiamente anche il pensiero della sinistra- è la logica del buon senso, quella che si riassume nella analogia tra lo Stato e una famiglia, lo Stato e un’impresa privata e che si conclude nella fatidica affermazione: i debiti si pagano.
Ora, da un punto di vista storico, lo Stato non è una famiglia, lo Stato non è un’impresa privata. I democristiani di sinistra (Mattarella e Bindi – Martinazzoli, Zaccagnini, Moro) hanno, nei loro superstiti, conservato questi valori (di solidarietà di controllo e intervento statale). Valori che la sinistra ha gettato consapevolmente alle ortiche e che la fanno debole, nello stesso tempo maramalda e pavida.
Lo Stato si assume doveri verso i cittadini più deboli, perché rappresenta il garante di un patto sociale, anche di quello edificato all’insegna della proprietà privata. Deve o dovrebbe redistribuire, aiutare, migliorare, investire. Queste sono le sue priorità. Lo Stato borghese è un’istituzione di mediazione, una cosa che non sono né la famiglia né l’impresa, dove gli interessi sono univoci come univoche sono le posizioni dei membri della famiglia e dei proprietari dell’impresa, che sono, tra l’altro, assai diverse, opposte e confliggenti con quelle dei lavoratori salariati. Sono anzi all’origine del conflitto sociale. 
Dunque lo Stato non può essere in alcun modo paragonato alla famiglia o all’impresa, né sul piano storico, né sul piano etico, né sul piano economico. Quando lo stato borghese si propone come analogo all’impresa è semplicemente perché ha sussunto nelle sue istituzioni il conflitto capitale-lavoro schierandosi senza riserve dalla parte del capitale.
 
Tanto più è insostenibile per lo Stato il comandamento “i debiti si pagano”. I debiti, o colpe, che in quanto tali vanno ugualmente suddivise tra debitore e creditore, come accadeva nell’antico diritto germanico e come si fa tutt’ora nella Commissione europea, dove esiste non a caso un ufficio debiti, che tutela, in base a tale criterio, i propri funzionari debitori compulsivi.
I debiti si pagano, si consolidano, si frazionano, si rinnovano, si negoziano, si rinviano, si riducono. O addirittura si cancellano. I debiti della Grecia sono attualmente costituiti all’80% da debiti verso istituzioni e Stati che sono andati a pagare, per il 92%, i precedenti crediti avanzati delle banche tedesche e francesi.
Come si vede già da questo, coi debiti si può giocare, facendo l’interesse di questo o di quello. Per la Grecia ne conosciamo tutti l’entità: un debito pubblico aumentato al 175% del PIL, che è di circa duecento miliardi, contro il 120% che era all’inizio della crisi nel 2007. Sentirete dire che ha anche raggiunto e superato il 300%, ma questo è accaduto quando ai debiti in essere si aggiunsero i debiti imposti dalla “trojka” che evaporarono immediatamente per saldare i debiti in essere. Dunque pura propaganda.
 
Se c’è uno stato abituato a non pagare i debiti è la Germania che smise nel 1930 di pagare i debiti e le riparazioni di guerra, cosa che non evitò la salita al potere del nazismo in una situazione ormai socialmente e politicamente deteriorata.
La conferenza sul debito che si tenne a Londra nel 1953 non riguardava il debito e i danni di guerra, ma i debiti contratti della Germania fino al 1939. L’art. 2  dell’accordo finale rinviava all’unificazione delle due Germanie la questione del debito, dei danni e delle riparazioni di guerra. Ecco perché il governo tedesco ha tanta paura di una conferenza europea sul debito, che non si è mai più fatta, tanto meno all’atto della riunificazione delle due Germanie. 
Debiti, riparazioni e danni di guerra  sono cose diverse. La Grecia non partecipò alla prima guerra mondiale e non prestò molto alla Germania fino al 1939. Nel 1953 fu costretta, come tutti gli altri paesi che rientravano nel piano Marshall, a sottoscrivere l’impegno di considerare saldato, a condizioni estremamente convenienti per la Germania, il debito contratto dai governi tedeschi fino al 1939. Non sottoscrissero quel patto la Polonia, i paesi baltici, la Bielorussia, l’Ucraina, la Cecoslovacchia, le la Jugoslavia. È un altro motivo molto speciale per il quale il sempre rigido governo tedesco rifiuta una conferenza sul debito.
Sappiamo dunque che il patto di Londra abbuonava sostanzialmente i debiti contratti fino al 1939, ma non i danni, le riparazioni, le estorsioni perpetrate dal legittimo governo tedesco  tra il 1939b e il 1945.
Ad esempio i duecento milioni di marchi oro estorti alla Grecia imponendo un prestito forzoso durante il periodo dell’occupazione (1941 – 1944), il mantenimento delle forze d’occupazione, oltre alla rapina delle riserve valutarie e auree sottratte alla Banca nazionale Greca. Non si dice che ogni governo è responsabile degli impegni dei governi che lo hanno preceduto?
 
Il terzo pregiudizio è che non si tratta di una questione di soldi, ma di una questione ideologica e politica. E non solo per l’esiguità della somma nel contesto europeo ma perché nessuno sostiene più i benefici dell’austerità, non più di quelli del colera e della peste. Si dice di temere il contagio, ma contagio di che? Il governo greco chiede una conferenza sul debito per rilanciare la crescita. Sarebbe questo il contagio?
In realtà la partita è tutt’altra, ed è solo così che si spiega l’insistenza su una politica che ben pochi economisti e istituzioni economiche si sentono di difendere come tecnicamente valida ed espansiva: si tratta piuttosto di decidere una volta per tutte chi comanda e anzitutto chi e come comanda sul lavoro.
 
Non è una scelta troppo penosa per il capitale che con la crisi ha guadagnato; però la corda si può spezzare. E allora perché insistere? Perché la cancellazione dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori porterebbero l’Europa sul piano americano. Calcolo di libero mercato e di concorrenza finalmente perfetta che è destinato a infrangersi contro il TTIP.
L’alternativa, non solo possibile, ma probabile sarà la guerra: o la guerra a est o la guerra civile europea.
La terza opzione per il futuro è quella della sinistra che scende finalmente in campo: debole e disorientata è comunque l’unica speranza per l’Europa. L’elemento nuovo, di questi mesi, è che se pure non si può parlare di controffensiva la battaglia in corso non è puramente difensiva: dalla rotta siamo passati alla guerra di movimento.
Otterrà risultati? Per il momento l’Italia non sembra fornire un grande sostegno, eufemismo per dire nessun sostegno del governo e poco risultato di una sinistra disorganizzata e disunita.
Comunque, una sinistra ignorata per decenni in Europa riappare sulla scena e riappare, per quanto fragile, con una promessa di unità e forte dei suoi valori: dignità del lavoro e delle persone, fraternità, accoglienza, diritti civili, antiimperialismo, intervento pubblico, equità fiscale. Se non esisteva più distinzione tra destra e sinistra era perché la sinistra era scomparsa, non perché la storia fosse finita in un buco nero.
 
Il compromesso raggiunto il 23 febbraio tra Governo Greco e Istituzioni Europee conferma tutto questo: i soldi, la credibilità economica e le garanzie finanziarie non erano il problema, tanto è vero che le Istituzioni si contentano di chiacchiere (lotta conto il contrabbando e l’evasione fiscale, imposizione di una patrimoniale agli armatori) a patto che Tsipras non intervenga a modificare il disastro sociale. Tsipras ha comunque guadagnato quattro mesi. Di più e meglio non poteva fare. 

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