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Economia / Opinioni

I sommersi e i salvati del welfare italiano e le falle di un sistema fiscale malato di bonus

© Nick Fewings - Unsplash

Non è con la riduzione del numero delle aliquote, né con la flat tax e tantomeno riducendo la tassazione sulle rendite da capitale, che si risolve la questione della disuguaglianza crescente nel nostro Paese. Il “dimagrimento” dello Stato sociale, al contrario, renderà inevitabile il ricorso al privato. L’analisi di Alessandro Volpi

Il sistema fiscale italiano presenta innumerevoli problemi destinati a renderlo sempre più precario. Partiamo da alcuni numeri impressionanti. Con la Legge di Bilancio presentata dal governo verranno cancellate cartelle esattoriali per 415 miliardi di euro, poco meno della metà dell’intero “magazzino” dell’Agenzia delle Entrate. Una montagna di soldi. In realtà il minor gettito atteso da tale cancellazione-rottamazione è stimato in 2,1 miliardi, che si aggiungono ai 2,5 della rottamazione-ter. Ma come è possibile cancellare 415 miliardi e avere un minor gettito “solo” di circa cinque miliardi? Perché quei 415 miliardi in larghissima parte non erano più esigibili. È evidente che c’è qualcosa che non funziona nel sistema di riscossione.

A questi primi numeri se ne possono aggiungere altri che fanno capire perché il welfare italiano è a rischio. Il 70% dell’Irpef è versata dai contribuenti compresi nella fascia di reddito fra i 20 e i 100mila euro, che corrispondono al 40% del totale dei contribuenti. Significa che 182 dei 288 miliardi della spesa sociale totale provengono da questo 40% di contribuenti che, peraltro, tramite i consumi sono parte decisiva dei 272 miliardi di entrate Iva e dei 25 miliardi delle addizionali regionali e comunali. In estrema sintesi, larghissima parte dello Stato sociale italiano si regge su una base imponibile assai limitata, i cui redditi ora sono sotto attacco dall’inflazione.

Non è con la riduzione del numero delle aliquote, né con la flat tax e tantomeno riducendo la tassazione sulle rendite da capitale, che si risolve la questione. O meglio, erodendo ancora di più la base imponibile, il dimagrimento dello Stato sociale e il ricorso al privato saranno inevitabili. C’è poi un altro elemento di forte criticità del sistema fiscale del nostro Paese. Il governo sembra intenzionato a cancellare parzialmente il bonus cultura per i diciottenni, indirizzando le risorse in altra direzione. Non entro nel merito di questo tema. Mi limito però a sottolinearne un altro, legato appunto alla questione fiscale. Il bonus cultura era assegnato a tutti i diciottenni, a prescindere dal reddito; dunque al figlio del plurimilionario come a quello del lavoratore con un salario da fame. In realtà i bonus erogati senza distinzione di reddito sono davvero molti: solo per citarne alcuni l’assegno unico, il bonus nido, il sisma bonus, l’ecobonus, il bonus facciate, il superbonus 110%, il bonus ristrutturazione, il bonus verde, il bonus mobili, il bonus tv, il bonus scooter, la carta del docente. Certo alcuni hanno dei limiti riconducibili al reddito ma nessuno di tali bonus è parametrato sul reddito per cui ne beneficiano tutti. La spesa per lo Stato è stimabile in una cinquantina di miliardi e forse anche più.

La domanda che sorge spontanea è semplice: ma perché regalare benefici pubblici per una somma tanto importante anche a chi può permettersi molte di queste spese e non destinare invece tutte le risorse per cercare di attenuare le disuguaglianze? È possibile infine aggiungere una triste conferma. L’Italia continua a essere il Paese in Europa dove si evade maggiormente l’Iva: 35 miliardi nel 2018, 31 nel 2019 e 26,2 nel 2020. Significa quasi 100 miliardi di euro in tre anni. Si tratta di un record raggiunto utilizzando varie strade: dalle frodi alle “strategie fiscali” fino all’elusione, anche qui si tratta di una montagna di soldi che si abbina al risibile gettito dell’Ires, l’imposta sui profitti, di poco superiore ai 30 miliardi di euro. In pratica, i sommersi e i salvati.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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