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I sindacati di polizia

Il Sap, seconda sigla italiana per numero di iscritti, dedica a congresso un’ovazione agli agenti responsabili della morte di Federico Aldrovandi. Quando si tratta di pubblicare i bilanci, però, l’entusiasmo dei sindacati di polizia si smorza. Storia, natura e nodi irrisolti delle rappresentanze degli agenti italiani nell’approfondimento del dicembre 2013 di Altreconomia —

Tratto da Altreconomia 155 — Dicembre 2013

Dei 94.224 poliziotti in servizio in Italia al 31 dicembre 2012, 91mila sono iscritti a un sindacato (il 96,5%). È un loro diritto -ma è escluso lo sciopero- riconosciuto solo dal 1981. Una conquista che è contenuta nella famosa legge 121, che -dopo la lunga stagione degli anni 70- ha sancito la smilitarizzazione della polizia. “Gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati”, è scritto all’articolo 82, che a loro volta ne “tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi” (art. 83). I sindacati della sola Polizia di Stato oggi sono dieci -senza perciò considerare quelli della Polizia penitenziaria, del Corpo forestale o della Rappresentanza militare (vedi box)-, ma conoscerne natura, funzionamento, struttura e attività non è facile. Nessuno di questi, infatti, pubblica sul proprio sito il bilancio, il quadro complessivo degli iscritti o la percentuale di presenza femminile.
L’ultimo decreto inerente alla rappresentatività delle sigle dei lavoratori di polizia gli assegna 63 distacchi sindacali complessivi (il permesso di svolgere attività regolarmente retribuito), per un equivalente di 630mila ore. Secondo un regime proporzionale, questi vengono poi distribuiti alle organizzazioni. L’ultima volta è stato nel 2010, quando i soggetti -per la sola Polizia di Stato- erano otto. Un’autentica “frammentazione”, come la descrive Donatella Della Porta, docente di Sociologia presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, “che non ha fatto altro che indebolire la tutela degli interessi di categoria”.
Vocato all’“ispirazione confederale”, com’è scritto nel suo statuto, il Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (Siulp) è il sindacato più adulto e più rappresentativo della polizia di Stato, storicamente affiancato alla “triplice” (Cgil, Cisl e Uil). Tra i segretari che si sono succeduti va ricordato Roberto Sgalla (1992-1996), divenuto portavoce della polizia nel 2000 e oggi al vertice della Scuola superiore di polizia. Dopo il blitz nella scuola Diaz a Genova, nel 2001, diede conto di “una decina di feriti, la maggior parte erano feriti che non si erano fatti curare precedentemente”. L’attuale segretario generale del Siulp, Felice Romano, dà conto ad Ae dell’ultimo dato aggiornato: 26.500 iscritti. Il bilancio consuntivo -pur previsto dallo statuto (e in capo al direttivo nazionale)- non è reperibile e alla pagina del portale intitolata “tessere Siulp” è riportata soltanto la collezione grafica delle tessere stampate negli anni. Mancano giusto i tesserati, che contribuiscono volontariamente all’autonomia finanziaria della sigla mediante una trattenuta in busta paga (una regola che vige per tutti gli altri sindacati).

Con l’entrata in vigore della legge 121 del 1981, nasce poi una seconda sigla sindacale: il Sindacato autonomo di polizia (Sap). Pur rifiutando per statuto “qualsiasi caratterizzazione politica”, ha accolto al suo primo congresso Giorgio Almirante, ritagliandosi da quel momento una base rappresentativa orientata a destra. Nel 2013 può contare su circa 20.000 aderenti. Alla richiesta di visionare il bilancio anche dal Sap fanno sapere che “per impostazione non si ritiene utile diffonderlo”, essendo del resto tenuti a obblighi di pubblicità pari a quelli di una qualunque “associazione privata, un’associazione di amici”. Così come il Siulp, che nel proprio statuto contempla tra le cause di sanzioni disciplinari anche “delitti dolosi per i quali l’iscritto abbia subito condanna definitiva”, anche il Sap annovera tra le sanzioni individuali anche quelle derivanti da condotte “penalmente illecite”.
La terza sigla che ha interrotto la diarchia del Siulp e del Sap è quella del Sindacato italiano appartenenti polizia (Siiap poi divenuto Siap nel 1990), nato nel febbraio del 1987. Come logo ha un tricolore con in mezzo un gladio sormontato dalle scritte “lex” e “la base lotta per la base”. Il bilancio, però, non è pubblico e l’ultima cifra aggiornata sugli iscritti parla di 12.400 aderenti.
Al 1992 va invece fissata la nascita del Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia (Coisp), che oggi ha 7.100 iscritti ed è guidato da Franco Maccari. Nello statuto, oltre a dichiarare finalità apartitiche e “apolitiche”, s’impegna a “realizzare iniziative culturali, mediatiche e giudiziarie che, attraverso la promozione dell’immagine dello Stato e delle sue Istituzioni e l’elevazione nel contesto sociale della conoscenza dei compiti istituzionali delle Forze di Polizia, contribuiscano a migliorare il rispetto delle condizioni di sicurezza, legalità e giustizia”.
Tra queste, forse, i picchetti sotto l’ufficio del comune di Ferrara dove lavora Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, in solidarietà agli agenti condannati per l’omicidio colposo di suo figlio, o a Genova, in occasione dell’anniversario dei fatti di piazza Alimonda, quando un furgone recante una gigantografia di Carlo Giuliani sovrastata dallo slogan (“Estintore quale strumento di pace!“) ha percorso le strade cittadine. Al direttivo nazionale spetta il compito di approvare annualmente il bilancio preventivo e il “conto consuntivo”: documenti che non è possibile analizzare.
A seguire c’è il Sindacato italiano lavoratori di polizia per la Cgil segreteria nazionale (Silp per la Cgil), nato nel 1999 a seguito della scissione dall’originario Siulp. Il “per” è un artificio che serve a sanare il divieto posto dalla stessa legge 121, all’articolo 83: “(I sindacati) non possono aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali”. Pierluciano Mennonna, uno dei quattro segretari nazionali, si limita a confermare la cifra indicativa degli iscritti (“circa 10mila”, ad Ae risultano 9mila).
Salvatore Palidda, professore associato di Sociologia all’Università degli Studi di Genova e studioso di questioni militari, ricorda con amarezza quel distacco, ritenendolo un errore: “Quel che restava dell’unità sindacale venne cancellato, isolando quei lavoratori dell’ala democratica che volevano restare nel Siulp, e non abbandonarlo”. Il penultimo segretario nazionale del Silp per la Cgil è stato il questore Claudio Giardullo, che ha lasciato il passo a Daniele Tissone dopo essersi candidato con Rivoluzione civile alle ultime elezioni politiche. A seguire, citando soltanto le sigle “maggiormente rappresentative”, Ugl polizia -con 8mila iscritti-, la Consap -con 5.800 aderenti- e Uil polizia, con 5.400 iscritti nel corso di quest’anno.
Chi accetta di discutere del tema è Felice Romano, segretario del Siulp dal 2008. La prima rivendicazione è la percentuale di donne che vanta l’organizzazione che dirige, pari al 14% degli aderenti. Un “dato positivo”, secondo Romano, che lo confronta con la presenza complessiva di donne in polizia. Poche (il 10% dei 94mila totali) e con un’età media di 44 anni.

Quella dell’invecchiamento è una caratteristica comune di tutta la Polizia di Stato italiana, che dal 2007 ha visto tagli per 13mila unità. Dai dati del Dipartimento di Pubblica sicurezza emerge infatti la media del quadro anagrafico dei lavoratori: 39 anni per agenti e assistenti, 47 anni per i sovrintendenti, 49 anni per gli ispettori, 44 anni per i commissari, 54 anni per i dirigenti. I primi costituiscono la base della piramide dell’organico, essendo oltre 67mila. È l’unica categoria che cresce numericamente, visto che tutti gli altri risultano sotto quota (-45% per ispettori e sovrintendenti). Per il segretario del Siulp l’origine del mancato rinnovamento è da ritrovarsi nei meccanismi di arruolamento, poiché oggi -eccetto che per due soli concorsi aperti agli “esterni” (i civili) che hanno avuto luogo tra il 1981 e il 1997- è alimentato al 100% da chi è giunto dal servizio militare. Un anno obbligatorio di leva, un altro anno di permanenza e quattro mesi di formazione precedono l’accesso. Un punto nodale per Romano: “Io credo che la parte di agenti provenienti dall’esercito non dovrebbe eccedere il 50% dell’organico. Il militare è un altro mestiere, non ha nulla a che vedere con fare il poliziotto. I due condividono solo l’uniforme. Io ritengo i nostri militari dei grandissimi professionisti, ma nel fare la guerra”. Un’analisi che porta dritti al caso del prefetto Gianni De Gennaro, transitato dal vertice della polizia al vertice di un’azienda attiva proprio in frangenti militari. Romano qui si ferma: “De Gennaro ha dimostrato di saper gestire la Polizia: vuoi vedere che ci hanno messo De Gennaro per far cessare la supremazia dei militari? Forse è stato scelto solo perché è un uomo capace, e in Finmeccanica occorre”.

La memoria storica dei processi di Genova non è mai stata così sbiadita, come sbiadito è un adeguato sostegno alla formazione. A tal proposito fa testo lo “stato previsionale del ministero dell’Interno”, allegato al disegno di legge di bilancio 2013-2015. Per i 16 istituti di formazione della polizia è previsto un finanziamento annuo di 1,9 milioni di euro (125mila euro ciascuno).
Un altro punto grigio della casistica in polizia è quello collegato alla condotta, in particolare quella che assume rilevanza penale. Non è possibile, secondo il principale sindacato del settore, avere una fotografia aggiornata dei poliziotti sotto processo o condannati. “Il Viminale, data l’esiguità dei procedimenti a carico, non ha mai ritenuto di dover effettuare indagini o verifiche”, spiega Romano. Ma è un cane che si morde la coda: se non esistono verifiche, come stabilirne l’esiguità? Dinanzi al paradosso, Romano riflette: “Abbiamo chiesto di aprire una rilevazione ma solo per le sentenze passate in giudicato, perché a nostro carico ci possono essere notizie di reato anche a seguito di atti dovuti”. E se dal dibattito sindacale sono completamente eluse, restano aperte due grandi questioni: l’introduzione del reato di tortura e i codici identificativi sulle uniformi. Iniziative “pericolose”, secondo Romano, che rischiano di “minare” la serenità di chi opera. A patto di “equilibrarle con il posizionamento di telecamere sulle auto di servizio, la reperibilità 24 ore su 24 del sostituto procuratore competente e l’uso di gas urticanti, idranti e schiumogeni, per ridurre gli scontri tra agente e manifestante”.  —

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