Diritti / Attualità
I servizi per la salute mentale a Trieste non sono più gli stessi

Nella città simbolo della rivoluzione basagliana, il sistema si riscopre indebolito. Le scelte politiche della Regione, guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, stanno smontando un modello che all’estero viene considerato un esempio
Professor Basaglia, francamente, le interessa di più il malato o la malattia?”, chiede il giornalista Sergio Zavoli nel documentario “I giardini di Abele”. È fine dicembre 1968 e Franco Basaglia, quasi al termine della sua esperienza come direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, ascolta la domanda mentre cammina pensieroso davanti alla macchina da presa, con le mani in tasca e lo sguardo rivolto verso il basso.
Poi si ferma e risponde: “Decisamente il malato”. Tre parole che riassumono l’inizio di una rivoluzione che ha attraversato il campo della psichiatria durante gli anni Settanta e di cui il manicomio di Trieste, sotto la direzione dello psichiatra veneziano, è stato il simbolo.
Da tempo, però, il sistema triestino è al centro di alcune decisioni politiche che ne stanno mettendo in discussione l’impianto basagliano e le evoluzioni seguite alla chiusura dell’ospedale psichiatrico nel 1980.
“Guardare al malato significa operare in tutti i modi perché sia la persona a essere messa al centro e non la diagnosi: su questo si è basato il nostro lavoro a Trieste -osserva Peppe Dell’Acqua, già collaboratore di Basaglia e direttore del Dipartimento di salute mentale (Dsm) di Trieste, oggi psichiatra attivo nel Forum centro di salute mentale-. Ma il paradigma di chi amministra la Regione sembra essere un altro, vista l’ostilità ideologica mostrata nei confronti della storia basagliana e di quanto costruito nell’arco di un quarantennio”.
Un modello che, per come si è sviluppato dopo Basaglia, deve molto al lavoro di Franco Rotelli, sotto la cui direzione dei servizi psichiatrici l’area salute mentale dell’Azienda sanitaria triestina ha ottenuto lo status di centro collaboratore dell’Organizzazione mondiale della sanità nel 1987.
Dal 2018 il Friuli-Venezia Giulia è governato da una coalizione di destra presieduta dal leghista Massimiliano Fedriga, che è stato riconfermato nelle elezioni del 2023. Tra le iniziative regionali, l’ultimo atto aziendale dell’Azienda sanitaria giuliano isontina (Asugi) è quello che ha apportato le modifiche più sostanziali al sistema triestino: nel 2022 i distretti, cioè le strutture di Asugi preposte al coordinamento delle attività assistenziali sul territorio, sono passati da quattro a due. Se prima ognuna delle quattro aree distrettuali poteva raggiungere una popolazione media di circa 60mila abitanti, i soli distretti “Trieste 1” e “Trieste 2” devono ora farsi carico rispettivamente di 146.751 e 83.864 persone.
Il Centro di salute mentale assomiglia sempre di più a un ambulatorio che distribuisce farmaci” – Claudio Cossi
Una nuova articolazione che, secondo Kevin Nicolini, consigliere comunale di Adesso Trieste e referente di Oltre il giardino, il centro di documentazione che raccoglie i materiali d’archivio sulla storia dell’ex ospedale psichiatrico, ha creato un problema di disorganizzazione interna. “Rendendo ancora più difficile avvicinare i servizi a coloro che vivono una condizione di fragilità -spiega-. Oggi, per esempio, i minori con disabilità, che una volta potevano ottenere tutte le risposte necessarie all’interno del proprio distretto, devono spostarsi da una parte all’altra della città”. Non solo. “A uscirne penalizzata è stata anche la capacità del sistema triestino di fornire risposte complesse: sanitarie, abitative e sociali”, aggiunge Nicolini.
In altri termini, il documento di Asugi avrebbe inciso sulla efficacia del programma “Habitat-microaree”, in corso dal 1998 e promosso dal Comune insieme ad Asugi e Ater (l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale) in 17 zone comprese tra Trieste e Muggia (TS). “Si tratta di porzioni di territorio, ciascuna di massimo due mila abitanti -spiega Dell’Acqua-, dove si cercano di concentrare tutte le progettualità possibili: il medico di medicina generale, il Centro di salute mentale (Csm), il servizio per le dipendenze e quello per anziani, il lavoro domiciliare infermieristico, e altro ancora. In modo tale che soprattutto le aree più sofferenti possano godere del servizio pubblico territoriale. Dopo il taglio ai distretti, però, le microaree lavorano con risorse più fragili”.
Inizialmente, tra l’altro, l’atto di Asugi prevedeva la riduzione dei Csm, da quattro a due. Questi servizi sono stati infine mantenuti, anche per le proteste dei familiari degli utenti e dei sindacati. Ma ciò non è bastato per fermare l’impoverimento, soprattutto dell’offerta, che i Csm stanno subendo già da alcuni anni.
“Dopo la pandemia da Covid-19 ci sono state molte difficoltà a ripristinare le attività che prima erano presenti e facevano parte del percorso di cura -racconta Claudio Cossi, presidente dell’Associazione familiari sofferenti psichici di Trieste-. In ogni Csm le persone potevano partecipare a progetti di inserimento sociale ad hoc: borse lavoro, partite di calcetto, allenamenti in palestra, escursioni in montagna, corsi di musica o di ballo. Queste attività si fanno ancora, ma gli utenti vengono coinvolti molto di meno”.
Le ore di servizio garantite dalla struttura di via Gambini a Trieste sono dodici, per un’utenza stimata intorno alle ottocento persone, provocando molti disagi a familiari e operatori
Cossi ricorda bene di quando suo figlio, a 18 anni, è stato ricoverato in piena crisi in un Csm per 15 giorni. “Dopodiché, grazie alle modalità basagliane, ha iniziato a riprendere in mano la propria vita -racconta- gli operatori, ad esempio, lo hanno aiutato a recuperare l’anno scolastico da privatista e a prepararsi l’anno successivo per sostenere l’esame della patente. Se aveva problemi con la famiglia, nel Csm poteva trovare un operatore disponibile ad accompagnarlo a bere un caffè o a mangiare un gelato. Adesso queste cose sono impensabili: sia per mancanza di personale sia perché il caffè o il gelato sono considerati perdite di tempo. Il Csm, insomma, assomiglia sempre di più a un ambulatorio che distribuisce farmaci”.
Proprio per la carenza di personale, non in tutti i Csm è inoltre assicurata come un tempo quella che il dottor Dell’Acqua definisce “la chiave di volta di un sistema che si confronta realmente con il territorio”: la copertura giornaliera di 24 ore. Da novembre 2021, infatti, la struttura di via Gambini è aperta dalle 8 alle 20 e offre un servizio di sole 12 ore a un’utenza stimata intorno alle 800 persone, provocando molti disagi anche a familiari e operatori. “Chi viene ricoverato in questo Csm viene trasferito di notte in un altro Csm o nel Spdc (Servizio psichiatrico diagnosi e cura in ospedale, ndr). Se non è possibile, viene rimandato a casa”, spiega Cossi.
Nella seduta del Consiglio regionale dello scorso 14 maggio, l’assessore per la salute, le politiche sociali e la disabilità del Friuli-Venezia Giulia, Riccardo Riccardi, ha annunciato che l’assunzione di nuovo personale nel Csm di via Gambini verrà effettuata al termine dei lavori di ristrutturazione in corso nell’edificio, il cui completamento è previsto entro la fine del 2024. Impegni simili erano però già stati assunti da Asugi in passato: il ripristino della copertura oraria era stato promesso prima entro il mese di ottobre 2023 e poi a fine estate 2024.

“Un comportamento irresponsabile perché -evidenzia Nicolini- sarebbero sufficienti solo sette persone, tra infermieri e operatori socio-sanitari, per garantire le 24 ore. Come ‘Adesso Trieste’, abbiamo presentato una mozione nel Consiglio comunale per impegnare il sindaco Roberto Dipiazza a farsi parte attiva presso la Regione affinché si risolva il problema. Finora, però, non è stata discussa”. Nel frattempo Roberto Mezzina, forte di una lunga esperienza a Trieste come psichiatra e direttore del Dsm, sta lavorando come consulente per l’avvio di un progetto pilota che prevede la creazione di un Csm operativo 24 ore al giorno a Lewisham, un distretto a Sud-Est di Londra.
Dopo aver ottenuto ad agosto un finanziamento di 2,5 milioni di sterline, la struttura dovrebbe entrare in funzione nel 2025 come parte di una più ampia iniziativa promossa dal Servizio sanitario inglese anche in altre aree del Paese. “Un paradosso -commenta Dell’Acqua-. All’estero si provano a costruire modelli alternativi con la consulenza di esperti di formazione triestina mentre a Trieste l’intera rete di salute territoriale viene invece indebolita”.
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