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Approfondimento

I rischi di una lavagna bianca

Scrivere in pubblico, così come parlare in pubblico, necessita di autodisciplina e preparazione. La liberalizzazione degli spazi di comunicazione ha investito soggetti cui nessuno ha mai insegnato a farlo”. I troll secondo Alessandro Robecchi, giornalista e autore televisivo che pratica da trent’anni (anche) il mestiere della satira —

Tratto da Altreconomia 162 — Luglio/Agosto 2014

Da Cuore a Radio Popolare Network, da l’Unità a il manifesto, da Il Fatto Quotidiano a Pagina99 fino a Maurizio Crozza. Alessandro Robecchi, giornalista e autore televisivo, pratica da trent’anni (anche) il mestiere della satira, e il suo collega si chiama “linguaggio”. Per costituzione, l’unica regola che deve imporsi è non averne. Un principio sano che ha incrociato lungo il percorso una lavagna bianca chiamata “Rete”.

Alessandro, com’è stato l’approccio?

Il primo impatto è stato da utilizzatore assiduo ma non attivo. Quando ho cominciato a lavorare per i giornali  i pezzi si  “telefonavano” ancora, magari dai telefoni a gettoni. Sembra davvero il mesozoico, oggi che puoi inviare un pezzo scritto in tempo reale, senza mediazioni di dettature. E in più, cosa formidabile, hai la possibilità di controllare in tempo reale ciò che scrivi. Dalla grafìa di un nome straniero a una data. Il primo passo “attivo” invece è stato quello di fare un sito –www.alessandrorobecchi.it– che mi servisse da archivio degli scritti, in passato ripresi, stralciati, citati erroneamente. Così, chi vuole la fonte ce l’ha gratis, immediata e completa. Senza poter più barare.
Sono tempi lontani, tant’è vero che misi “sito ufficiale”. È stata una notevolissima rivoluzione quindi, che ha aiutato la professione e in molti casi l’ha un po’ peggiorata.

Come?

Scrivere in pubblico, così come parlare in pubblico, necessita di autodisciplina e preparazione. Quando mi capita, cerco di dosare la mia espressione in modo che sia socialmente accettabile. Questa cosa avviene dopo una fase di preparazione culturale, professionale, che mi ha spinto negli anni a convincermi che non posso scrivere tutto quel che mi passa per la testa. È un percorso espressivo chiaro. Questa totale liberalizzazione, la lavagna bianca di Facebook ad esempio, ha investito miliardi di persone che non sono -uso questo termine in maniera forzata- “alfabetizzate”. Mi rendo conto che può apparire un discorso d’élite in un contesto, come quello della Rete, che dovrebbe essere il contrario. Sono stupefatto però del fatto che la scuola non insegni minimamente a usarli, i social network. Non basta saper cercare il prezzo del burro in Bulgaria, ma anche saper dare informazioni, entrare in contatto con gli altri, scrivere su quella lavagna.
Ilvo Diamanti definisce parte di chi anima il web una “civiltà delle cattive maniere”. Che ne pensi?
Esiste una Rete luogo della malevolenza, dell’attacco furibondo o della maleducazione più estrema. Ma è una tassa che si paga all’assoluta democratizzazione. Si tratta di dare una pistola carica in mano a chiunque. Io sono favorevolissimo (metaforicamente), ci mancherebbe. Penso però che come minimo si debba insegnare a mettere la sicura.

Hai mai incontrato un “troll”?
Sì, e ho imparato a ignorarlo.
Ho tre o 4 stalker -equamente distribuiti tra grillini e renzini- che puntualmente mi attaccano. Nel 90% dei casi che ti insulta spera che tu risponda con lo stesso tono. Ma meno li degni e più si rilassano. Se ci fai caso, questi furibondi attaccatori, questi soldatini impazziti, quando li vai a cercare scopri che tentano invano di ingrossare una platea di followers. È vanesia.

Ne hai portato qualcuno in tribunale?
Avrei potuto, ho evitato. Se uno mi dà del deficiente cosa faccio? Gli prendo a fatica 500 euro con una querela? Non mi interessa, anche se sono evidenti dei problemi di diffamazione che non saprei però come risolvere.

E se uno dicesse “è satira”?
Da libertario e democratico non mi piacciono le sanzioni. Ma l’ombrello della satira è uno strumento delicato da impiegare. Da nemico di qualunque controllo sulla satira mi astengo. Ma chi legge deve distinguere la roba buona dalla merda, Fo e Vonnegut da un tweet di Gasparri. Da scrittore pretendo che chi legga sappia distinguere. E trovo assurdo che a mio figlio di 15 anni nessuno -istituzionalmente- abbia mai spiegato come non farsi e far male. —

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