Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Varie

I ramoscelli d’ulivo che non vogliono il TAP

Il progetto del gasdotto Trans Adriatico, tra il Salento e l’Albania, è fermo: la Banca europea degli investimenti non ha ancora deliberato il finanziamento da due miliardi di euro. Intanto, una parte dei terreni che dovrebbero essere attraversati sono finiti sotto-sequestro, nell’ambito dell’inchiesta sugli interventi per contrastare l’emergenza xylella tra gli ulivi pugliesi. Questo comporterà ritardi, che potrebbero portare alla cancellazione dell’investimento

Il 2016 è davvero un anno nuovo per il progetto TAP, il gasdotto Trans Adriatico salito alla ribalta nei mesi passati. Per un attimo in molti ci hanno creduto, sembrava davvero che il governo Renzi avesse “portato a casa” uno dei più grandi progetti infrastrutturali degli ultimi tempi. Un gasdotto da svariati miliardi (il costo totale rimane sconosciuto) che avrebbe dovuto collegare il piccolo comune di Melendugno, in Salento, con Albania e Grecia, e quindi, attraverso altri due gasdotti, con l’Azerbaigian e il suo giacimento di Shah Deniz II.

Ma più o meno da Natale, quando tutti iniziavano a distrarsi tra regali, preparativi di feste e cenoni, le cose sono cambiate. Prima con l’avvio di un’indagine sul commissario straordinario per l’emergenza Xylella, Giuseppe Silletti (poi dimissionario) e di altri nove alti funzionari pubblici, poi con la pubblicazione del decreto di sequestro da parte del giudice per le indagini preliminari di tutte le piante di ulivo parte del “piano Silletti” (per intenderci quello previsto per l’emergenza xylella) e di tutte le piante volontariamente incluse nel piano di eradicazione dai proprietari terrieri dei comuni interessati. Tra questi il comune di Melendugno, dove appunto già a novembre 2015 la società TAP AG aveva iniziato a fare pressione sulle autorità locali per aprire il cantiere. Il tutto senza un progetto esecutivo in mano e senza l’ottemperanza delle 58 prescrizioni imposte dal governo con la VIA (valutazione di impatto ambientale).

Pressioni collegate forse all’urgenza di dimostrare alla Banca europea degli investimenti e alla Commissione europea che “qualcosa si muove”, a mo’ di giustificazione della richiesta di prestito di 2 miliardi di euro. Una cifra impressionante che, se erogata, rappresenterebbe il prestito più grande della BEI dalla sua fondazione, nel lontano 1958. Come rilevato da Il Fatto Quotidiano e dalla rivista svizzera La Citè la società TAP AG ha un bilancio di pochi centinaia di milioni di euro e sembra davvero avventato immaginare che possa candidarsi a ricevere un finanziamento di tale entità.

La richiesta è di fatto in pre-valutazione da metà agosto. Il management della banca non ha ancora fissato una data in cui discutere del prestito con i direttori esecutivi. Per arrivarci servono credenziali ed è legittimo chiedersi se la TAP AG le abbia. Come scrive il Comitato No TAP, “la manna dal cielo per TAP, improvvisamente si rivolta contro”. Sì perché, come si accennava, sono 29 i proprietari terrieri nel territorio di Melendugno che hanno chiesto l’espianto volontario delle proprie piante di ulivo, per accedere ai finanziamenti messi a disposizione dal piano Silletti. Diverse delle particelle si trovano nella zona interessata dalla costruzione del gasdotto, in particolare degli scavi per il microtunnel. Fino a un mese fa, per TAP questo significava un considerevole abbattimento di costi. Le piante di ulivo che altrimenti la società svizzera avrebbe dovuto espiantare, mettere a dimora e reimpiantare erano ben 1900. Obblighi da cui la società si liberava dal momento in cui le piante rientravano nel piano Silletti. Ora, invece, questi ulivi per TAP diventano un problema. Sono sotto sequestro, quindi intoccabili.

Chissà come reagiranno alla notizia la BEI e la Commissione europea, a cui i fatti sono stati segnalati da Re:Common, assieme all’associazione Tramontana e alla rete CounterBalance. E chissà quanto un ulteriore ritardo dovuto a questo giro improvviso della sorte influirà sulla decisione dei soci di TAP di procedere o meno con la realizzazione dell’opera. Come segnalato dai revisori di Deloitte nella relazione sul bilancio 2014 della società, “il progetto è soggetto a una serie di rischi che possono variare nel corso del tempo”, inclusi quelli “connessi ai permessi, a motivi politici o tecnici che possono comportare ritardi nella tabella di marcia del progetto o eccedenze di spesa che potrebbero indurre gli azionisti a concludere che il progetto non sia realizzabile” (nostro corsivo ndr).

Senza il sostegno economico della BEI è difficile immaginare che il progetto possa procedere.
Con il prezzo del petrolio a 33 dollari al barile, sono poche le major che si arrischiano in investimenti di lungo termine della portata del TAP e gasdotti annessi. Per lo stesso motivo anche l’Azerbaigian, il partner principale del progetto e la cui entrata principale deriva proprio dalla vendita di petrolio e gas, sta vivendo una profonda crisi economica e finanziaria, con la perdita di valore del 32% della propria moneta, il Manat, in seguito alla decisione del governo di passare al tasso variabile a fine dicembre.

Alla luce di tutto, buon senso direbbe che questo inizio 2016 suggerisce che sia meglio fermarsi e sospendere qualsiasi decisione di finanziamento del TAP fino a che la situazione si sarà chiarita. Ma i finanziatori pubblici europei sono in grado di farlo?

© Riproduzione riservata
Foto Massimo Lupo/Re:Common

 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.