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I poteri di Draghi, la centralità del debito e la dipendenza dalla Banca centrale europea

Mario Draghi arriva al Quirinale il 3 febbraio 2021 - © Francesco Ammendola - Quirinale

L’annuncio di un governo del Presidente è il segno di una nuova gerarchia. Il Parlamento vedrà un secco ridimensionamento, dovuto in primo luogo al suo autoreferente e isterico parlamentarismo. La repubblica è sempre più fondata sul debito e tenuta insieme dal mare di liquidità che proprio l’allora presidente della Bce ha inventato. Che cosa farà la politica? Il commento di Alessandro Volpi

L’Italia è diventata una Repubblica presidenziale in termini di Costituzione materiale. Sergio Mattarella si è fatto carico delle profonde e insanabili criticità del sistema politico italiano e si è assunto un’enorme responsabilità svolgendo fino in fondo la sua funzione, secondo quanto previsto dall’articolo 87 della Costituzione, di rappresentare l’unità nazionale.

Ha soprattutto dichiarato con forza l’esistenza di una condizione di emergenza che gli impone una simile improcrastinabile assunzione di responsabilità, talmente impensabile da non essere prevista neppure dai padri costituenti. L’annuncio di un governo del Presidente diventa, in questi termini, il segno di una nuova gerarchia politico-istituzionale in cui il Parlamento vedrà un secco ridimensionamento del proprio ruolo, demolito in primis dal suo autoreferente e isterico parlamentarismo. La nuova Repubblica presidenziale di Mattarella si materializza in poche ore con una velocità e una chiarezza che segnano la crisi definitiva della politica.

Ora la questione più drammatica sarà costituita proprio dalle reazioni di questa politica sconfitta che può rifiutare ogni senso di responsabilità come ha rifiutato di riconoscere, finora, la necessità dell’intervento del presidente della Repubblica, impegnandosi soltanto in una disarmante conta fatta con il pallottoliere dei “costruttori”. Proprio la politica dovrebbe invece stare, adesso, dalla parte di Mattarella per evitare che Mario Draghi diventi una figura destinata a mescolare i tratti del De Gaulle del periodo 1944-1946 con quelli dei “super-esperti” del Fondo monetario internazionale nei governi latinoamericani. L’ex presidente della Bce, infatti, è assai più lontano dal quadro italiano di Ciampi e di Monti e dispone di una forza internazionale assai superiore. Draghi non avrà le pressioni sindacali del governo Ciampi, costruito quando lo sdegno e la partecipazione della società civile erano ancora un fattore rilevante, e non sarà contraddistinto neppure dalla debolezza politica di Monti, “tecnico” a cui affidare l’onere del risanamento per evitare che i costi di tale risanamento cadessero, in termini di consenso, sulle forze politiche.

Ormai l’Italia è una repubblica fondata sul debito ed è tenuta insieme dal mare di liquidità che proprio l’allora presidente della Bce ha inventato. In questo senso, Mario Draghi sembra in grado di disporre di una condizione pressoché unica, molto simile ai pieni poteri, in quanto il mandato ricevuto da Mattarella è configurabile davvero come un’eccezionale prerogativa volta a consentirgli di fare quello che nessun altro è sembrato in grado di fare. Si è plasmata in modo fulmineo una repubblica presidenziale che sceglie il “salvatore della patria”, in una dinamica dove solo Mattarella appare in grado di contenere lo strapotere personale di Draghi dettato dalle condizioni della sua investitura. Se la maggioranza dei parlamentari deciderà di non votare la fiducia a Draghi, è chiaro che non sfiducerà solo l’ex presidente della Bce, ma anche, e soprattutto, il capo dello Stato. Le inevitabili elezioni politiche, allora, non rappresenteranno lo scontro fra destra e sinistra, ma diventeranno un plebiscito a favore o contro il binomio Mattarella-Draghi; un plebiscito che, come tutte le consultazioni di tal genere, taglierà fuori i partiti e introdurrà il linguaggio dello scontro fra due schiere di tifosi, distinti in fautori del “bene del Paese” e in “difensori della sovranità popolare”. Si tratterebbe di due definizioni, entrambe, fasulle e artificiali ma che sarebbero il portato inevitabile della fine di una stagione che ha messo tristemente insieme populismi, parlamentarismi, trasformismi e trionfo dell’autoreferenza del ceto politico. In questo senso sarebbe davvero improprio qualificare il governo Mattarella-Draghi nei termini di un esecutivo tecnico, fondato sulla retorica dei “competenti”, perché la sua intima radice è rintracciabile nel fallimento della politica della rappresentanza parlamentare, dominata dai singoli parlamentari, più ancora che dai partiti in quanto tali.

Come accennato in apertura, la nuova repubblica presidenziale riassume e interpreta la narrazione della responsabilità che ha caratteri antiparlamentari ma che, al tempo stesso, non si riduce, nell’immaginario comune, nella celebrazione della tecnica quanto in una politicissima antipolitica di segno nuovo; i veri responsabili contro gli inutili populisti e i professionisti della poltrona, lontani dal Paese reale.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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