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Economia / Attualità

I passi avanti di Unicredit per dire addio ai combustibili fossili

Il colosso ha deciso di non finanziare progetti di centrali e miniere di carbone. “La sfida posta ai vertici della banca è stata in buona parte vinta, la finanza è sempre più sotto pressione per l’urgenza climatica”, spiega Antonio Tricarico di Re:Common. Ora è tempo di abbandonare i “baroni” del carbone dell’Est Europa. Dopo Generali e Unicredit, è giunto il turno di Intesa Sanpaolo di rivedere i suoi criteri di finanziamento

© Massimiliano Donghi - Unsplash

Dopo Generali, Unicredit è il secondo colosso finanziario italiano ad aver deciso di non fornire più finanziamenti per progetti di centrali e miniere di carbone. Una decisione accolta “con soddisfazione” dall’associazione Re:Common, in prima linea su questi aspetti. “La nuova policy del gruppo bancario -spiega Luca Manes di Re:Common- stabilisce che non saranno sostenute compagnie che basano sul carbone oltre il 30 per cento della loro produzione elettrica. Limite analogo è stato imposto anche alle compagnie minerarie, ma in questo caso la soglia si riferisce alla percentuale di ricavi”.

La mossa di Unicredit arriva pochi mesi dopo la pubblicazione del rapporto “Un Paese di Cenere” a cura dell’associazione sul ruolo che la banca ha svolto nel supportare il business del carbone in Turchia, in particolare nella regione di Mugla, dove tre impianti ampiamente obsoleti da decenni provocano impatti devastanti sulle comunità locali. Val la pena ricordare che dalla firma dell’accordo di Parigi, nel 2015, la più importante banca italiana ha finanziato progetti legati all’estrazione del carbone per oltre 5 miliardi di dollari.

“Mentre al 2023 la banca uscirà da finanziamenti in corso dei progetti a carbone, purtroppo il management di Piazza Gae Aulenti non ha avuto il coraggio di scrivere nero su bianco una data entro cui uscire anche dal finanziamento dei clienti carboniferi esistenti che oggi sostiene con prestiti non legati a progetti specifici -continua Manes-. Questo il caso del ‘barone’ del carbone ceco, EPH, che continua a comprare e gestire impianti decotti in molti paesi europei, inclusa l’Italia. La società civile aveva avanzato la data del 2030, in linea con quanto richiesto dalla comunità scientifica internazionale per salvare il clima. Per quanto riguardo il finanziamento in corso di società carbonifere in Turchia, UniCredit potrebbe invece decidere la prossima settimana, anche a seguito delle pesanti perdite subite da queste società, di lasciare del tutto il Paese”.

“La sfida sul carbone che abbiamo posto ai vertici di Unicredit all’inizio di quest’anno in occasione dell’assemblea degli azionisti della banca è stata in buona parte vinta, a dimostrazione che il mondo della finanza è sempre più sotto pressione per l’urgenza climatica” ha dichiarato Antonio Tricarico di Re:Common. “Ma UniCredit deve ancora fare la vera cosa giusta: mollare per sempre i baroni del carbone dell’Est Europa, che oggi finanzia con corporate finance, ed ammettere che il carbone in Turchia non solo ha ucciso e devastato l’ambiente, ma ha fatto perdere centinaia di milioni di euro agli azionisti”.

Re:Common guarda con favore anche la nuova policy di UniCredit sulle esplorazioni nell’Artico e quelle non convenzionali dell’Oil and Gas, sabbie bituminose, trivellazioni in acque profonde e fracking/shale gas. Quello sul petrolio e gas è un primo passo nella giusta direzione, anche se manca ancora strada da fare. “Continueremo a monitorare l’operato della banca e ci aspettiamo ulteriori impegni nel 2020, anno cruciale per la definizione di nuove politiche sul clima”. Per Re:Common, dopo Generali e Unicredit, è giunto il turno di Intesa Sanpaolo di rivedere i suoi criteri di finanziamento al comparto dei combustibili fossili.

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