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Ambiente / Approfondimento

I nostri boschi ci hanno insegnato che c’è un limite da non superare

Gli effetti della tempesta Vaia in provincia di Bolzano © Alice Borciani - Flickr

Ne “Il monito della ninfea”, Diego Cason e Michele Nardelli partono dalla tempesta Vaia dell’ottobre 2018 per interrogarsi sul modello di crescita attuale. Una geografia dei danni che dà strumenti per trovare rimedi. Prima che sia troppo tardi

Tratto da Altreconomia 228 — Luglio/Agosto 2020

La notte del 29 ottobre 2018 sulle Dolomiti è l’apocalisse. La tempesta Vaia si abbatte sulla foresta e ha un effetto devastante. La forza dei venti arriva fino ai 190 chilometri orari tra Trentino-Alto Adige, Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Le raffiche radono al suolo 41mila ettari di boschi e 14 milioni di alberi. Molti residenti che vivono in paesi e abitazioni isolate rimangono al buio, anche senza gas e acqua, mentre intorno a loro aumentano le esplosioni degli alberi schiantati. È da quella frattura che si muove il libro “Il monito della ninfea. Vaia, la montagna, il limite”, scritto dal sociologo Diego Cason e dal saggista Michele Nardelli, pubblicato quest’anno da Bertelli Editore. I due autori tracciano un ampio percorso che inizia dall’incontro con le comunità colpite dal disastro, dal Trentino alla Carnia attraversando il Bellunese, e si conclude con un’analisi del rapporto tra l’uomo e la natura. Su come definirlo fissando limiti e riconoscendo responsabilità.

“Abbiamo voluto raccontare gli effetti della tempesta sul nostro territorio e le reazioni delle persone colpite che, nonostante le forti difficoltà, hanno subito iniziato a pensare a come superare l’emergenza. Ma ci siamo accorti che bisognava andare oltre Vaia: leggere la tempesta come un monito, un’allerta su quello che potrebbe riverificarsi se non cambiamo il nostro modello di crescita”, spiega Cason. Nel ripercorrere la geografia dei danni, i due autori si soffermano a studiare la gestione delle foreste, ricordando le differenti misure che le cinque province dolomitiche hanno adottato negli anni per gestire il patrimonio boschivo. In Trentino-Alto Adige, infatti, il bosco è governato esclusivamente dagli enti locali mentre in Veneto e Friuli-Venezia Giulia se ne occupano prevalentemente la Regione e lo Stato. Fatta eccezione per le due province autonome, i servizi forestali pubblici negli anni hanno subito tagli al personale e ai fondi. Il corpo forestale del Veneto è stato smantellato, mentre quello della provincia di Belluno ha iniziato a incontrare difficoltà nel proseguire il suo lavoro. La maggiore vulnerabilità dei boschi è in parte dovuta alla mancanza di una pianificazione forestale, i cui contributi sono stati infine annullati dalla Regione Veneto nel 2012.

“Servono politiche nuove per tutelare il patrimonio alpino, in particolare nella provincia di Belluno dove il problema dell’abbandono della montagna sta iniziando ad avere il suo peso”, spiega Cason. “Così le Dolomiti rischiano di essere ridotte a sola attrazione per i turisti rispondendo a un modello di sfruttamento delle risorse ambientali in un ambiente già fragile come quello della montagna”, prosegue. “I nostri boschi ci hanno raccontato che c’è un limite che non deve essere superato”, aggiunge Cason. Non è un caso che la prefazione del libro sia stata scritta dal sociologo veneziano Gianfranco Bettin proprio quando, lo scorso dicembre, Venezia era stata colpita dall’acqua alta. Una scelta emblematica per spingere a riflettere sugli effetti causati dal cambiamento climatico. “Dobbiamo trovare rimedi prima che sia troppo tardi”, continua Cason. “È il monito della ninfea, la metafora della sua espansione: il giorno prima dell’intera copertura dello stagno, la metà della superficie è ancora libera. Poi il tempo è finito”.

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