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I mancati soccorsi in mare e il silenzio della Guardia costiera italiana

Da Kabul al Mediterraneo: storie di (poche) persone salvate e (tante) altre rimaste abbandonate. Negli anni la Guardia costiera italiana ha continuato a ridurre le sue attività di ricerca e soccorso, lasciando mano libera alle “autorità libiche”

Tratto da Altreconomia 240 — Settembre 2021
Le oltre 600 persone evacuate da Kabul, in Afghanistan, il 16 agosto 2021 a bordo di un Boeing dell’esercito statunitense © Ansa

Resterà nella storia la fotografia delle 640 persone in fuga da Kabul, domenica 16 agosto 2021, stipate nella pancia del Boeing C-17 Globemaster III, aereo militare in uso all’esercito degli Stati Uniti. Sono donne, uomini, bambini (i più piccoli in braccio), tra i primi a essere tirati fuori dall’Afghanistan ed evacuati in Qatar. Dallo scatto sembra che in pochissimi abbiano fatto in tempo a far su una borsa o uno zaino, solo un ragazzo con il gilet ha con sé un mini-trolley. Tra i corpi non c’è spazio perché quel palazzo con le ali, lungo 54 metri e alto 16, è progettato sulla carta per 154 passeggeri o 102 paracadutisti.

Adesso chiudete gli occhi e pensate al Mediterraneo. C’è una nave lunga 76,95 metri. Ha due ponti, ospita una clinica, una stanza ostetrica e una per le visite dove le équipe di Medici Senza Frontiere svolgono le attività di assistenza medica a persone tirate fuori dal mare, oltreché da torture e violenze. Il mezzo si chiama Geo Barents e batte bandiera norvegese. Tra fine giugno e inizio luglio di quest’anno MSF salva 410 persone dall’annegamento (di cui 101 minori non accompagnati), le carica a bordo e attracca nel porto di Augusta (SR), concludendo il soccorso. Terminato lo sbarco, alcuni ispettori della Guardia costiera italiana salgono a bordo per una “ispezione”. La nave viene bloccata. 

“Considerata l’attività di ricerca e soccorso che la nave svolge sistematicamente -dichiara il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto il 3 luglio, da notare l’avverbio ‘sistematicamente’-, l’ispezione ha fatto emergere che i mezzi di salvataggio presenti a bordo (zattere, cinture di salvataggio), certificati dallo Stato di bandiera, sono sufficienti per un numero massimo di 83 persone a fronte delle 410 sbarcate nel porto di Augusta”. Per passare l’esame MSF avrebbe dovuto quindi lasciare in mare 327 persone?

“Il blocco della Geo Barents è l’ennesima prova dell’accanimento amministrativo delle autorità italiane e delle misure punitive sistematicamente adottate per bloccare l’azione umanitaria in mare”, denuncia MSF a stretto giro, ricordando alcuni dati di quel “vuoto mortale”. “Dal 2019 a oggi, le autorità italiane hanno condotto 16 ispezioni sulle navi umanitarie, portando 13 volte a un fermo amministrativo, per un totale di 1.078 giorni in cui queste navi non hanno potuto salvare vite in mare”. Il tutto quando i morti accertati nel Mediterraneo centrale tra 2014 e agosto 2021 dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni sono almeno 12.600. Con questi provvedimenti la Guardia costiera non sembra preoccuparsene.

Eppure è la stessa istituzione che tra il 1991 e il 2017 ha coordinato attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo che hanno comportato il salvataggio di quasi un milione di persone. Con il 66% delle attività di Search and rescue (Sar) concentrato peraltro nel periodo 2014-2017: oltre 620mila tra donne, uomini, minori, bambini. Poi però si è sempre più tirata indietro, riducendo il proprio intervento e lasciando spazio alle presunte “autorità libiche”, equipaggiate per intercettare e ricacciare indietro le persone. Per usare le parole dell’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante generale del Corpo fino al luglio di quest’anno, era del resto “evidente e naturale che le modalità di intervento della Guardia costiera italiana andassero ricalibrate”. Evidenti e naturali dovrebbero invece essere la ricerca e il soccorso delle persone. Ed essere poi trasparenti su queste attività. Cosa che la Guardia costiera, purtroppo, non fa più come un tempo. Basti solo dire che quando le abbiamo chiesto copia dei rapporti sulle attività Sar nel Mediterraneo centrale relativi agli anni 2018, 2019 e 2020, analogamente a quelli prodotti nel 2016 e 2017, ci ha comunicato a fine agosto la “non disponibilità degli stessi, poiché, per gli anni d’interesse, non sono stati elaborati”. Abbiamo un problema. E non c’entra lo spazio.

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