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I gol? Si comprano al mercato – Ae 48

Numero 48, marzo 2004Il calcio è la tredicesima industria italiana ma è anche un buon esempio di concorrenza effimera. Non ci credete? Sapete quante squadre hanno vinto il campionato negli ultimi 10 anni? Crac finanziari, conflitti di interesse, bilanci falsi,…

Tratto da Altreconomia 48 — Marzo 2004

Numero 48, marzo 2004

Il calcio è la tredicesima industria italiana ma è anche un buon esempio di concorrenza effimera. Non ci credete? Sapete quante squadre hanno vinto il campionato negli ultimi 10 anni?

C
rac finanziari, conflitti di interesse, bilanci falsi, stipendi folli spesso pagati in nero, fidejussioni fasulle, enormi squilibri competitivi, modello insostenibile: l'industria del calcio, tredicesima in Italia col suo giro d'affari di 4.200 milioni di euro, è un singolare concentrato di gran parte dei vizi e delle distorsioni del sistema economico. I guasti del pallone hanno origini lontane, ma la recente esplosione ha una data – il 1993- e un mezzo: la televisione a pagamento. È in quell'anno infatti che nasce Telepiù, che realizza il sogno dei 25 milioni di italiani che, dicono le statistiche, seguono il calcio sui media: assistere in diretta alle partite, da casa propria.

Nel giro di pochi anni sulle squadre di serie A si è riversato un fiume di denaro che non ha affatto migliorato i bilanci deficitari dei club.

La domanda da porsi è: come mai all'inizio degli anni Novanta le società denunciavano disavanzi non astronomici incassando “solo” una decina di miliardi di lire dalla Rai, mentre nel 2002 pur ricevendo 602 milioni di euro di diritti televisivi, le diciotto società di serie A hanno accumulato debiti a breve termine per 2,4 miliardi di euro e a lungo termine per 794 milioni?

Negli anni in cui i circuiti televisivi si svenavano per assicurarsi il calcio criptato (Telepiù e Stream, sull'orlo del fallimento, si sono fuse ed è nata Sky, che fa parte dell'impero di Rupert Murdoch) questa enorme mass di denaro ha imboccato pochissime strade: è finita nelle tasche di calciatori, allenatori e procuratori sportivi. Basta prendere in esame il seguente dato: nel 1987-'88 il rapporto fra gli stipendi versati e il fatturato delle società era del 49% per i club di A,quindici anni dopo si è passati all'88,5% . In poche parole, tutto quello che entra nelle casse delle società, viene girato nei conti bancari dei calciatori.

Ma non sono solo i campioni a guadagnare cifre spropositate. L'aver ricoperto d'oro i signorini del pallone e i loro procuratori, che per un passaggio importante di un atleta da un club a un altro incassano commissioni di almeno 500 mila euro, è però costato caro ai proprietari dei club, che in Italia coincidono con i nomi più importanti dell'economia (e della politica): Berlusconi e il Milan, il Gruppo Fiat e la Juventus, il petroliere Massimo Moratti e l'Inter, per non parlare dei due imprenditori protagonisti dei maggiori crolli finanziari degli ultimi mesi, Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti, i cui destini si sono legati al Parma e alla Lazio.

In termini sociali, i crac del calcio sono spesso più costosi di quelli dell'industria. Le forti tensioni che hanno scosso Firenze nell'estate 2002 quando la Fiorentina è fallita e la società è stata rifondata (partendo dalla C2) da un altro industriale, Diego Della Valle, non è stata certo raggiunta nei mesi scorsi a Parma, quando la Parmalat, un colosso industriale, è franata nel giro di poche settimane.

Problemi di ordine pubblico si sono verificati nell'estate del 2003 anche a Catania e a Cosenza e serie preoccupazioni ha sollevato l'indagine sulle fidejussioni bancarie prestate da società fantasma per coprire i buchi di bilancio di Roma, Napoli e altri club, di cui si occupa anche la magistratura ordinaria.!!pagebreak!!

Le inchieste giudiziarie sul calcio ormai si moltiplicano. In febbraio un fascicolo è stato aperto anche dalla Procura di Roma su bilanci, accordi illeciti per la cessione dei giocatori e mancati versamenti dell'Irpef. La lunga serie di episodi ha posto il problema addirittura all'attenzione del Parlamento, che ha intenzione di varare una commissione d'indagine ad hoc.

I bilanci di quasi tutti i club segnano profondo rosso. Lo stesso governo ha emanato due provvedimenti a favore delle società, il secondo dei quali nell'agosto scorso, quando il consiglio dei ministri ha interrotto le vacanze per promulgare il cosiddetto decreto spalmadebiti, presto definito dalla stampa salvacalcio.

Il decreto spalmadebiti, successivamente bocciato dalla commissione europea per violazione delle norme sulla libera concorrenza, consente alle società di ammortizzare in dieci rate annuali la “svalutazione” (minusvalenze) dei calciatori. Un artificio contabile che secondo il commissario europeo Mario Monti potrebbe essere considerato un vantaggio fiscale.

L'Unione Europea hai mposto una revisione del decreto salvacalcio e il governo lo ha in parte modificato; nei prossimi mesi vedremo se la Ue si accontenterà oppure no.

Ma la zona oscura del calcio, quella taciuta dalle migliaia di ore di trasmissione tv sul pallone, non si limita certo a presidenti dilapidatori che truccano i bilanci, accusa più volte rilanciata dal noto esperto in materia tributaria Victor Uckmar, ex presidente della Covisoc, la commissione per la vigilanza e il controllo delle società di calcio professionistiche.

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi che sotto Ferragosto riunisce i suoi ministri per adottare un provvedimento di cui uno dei maggiori beneficiari è il suo Milan, apre il capitolo del conflitto di interessi, che non si esaurisce certo qui.

C'è il caso Capitalia, l'istituto di credito che compare come azionista o finanziatore di 6 società diverse, e ci sono le partecipazioni incrociate, vale a dire la presenza dei medesimi personaggi ai vertici di società diverse. L'imprenditore Luciano Gaucci controlla Perugia, Catania e Sambenedettese, Enrico Preziosi (industriale del ramo giocattoli) il Como e il Genoa ed è azionista del Modena. E non sono casi isolati.

Tuttavia il conflitto di interessi forse meno noto ma più insidioso per la credibilità dei risultati sportivi è quello incarnato da una società di procuratori, la Gea World, che rappresenta almeno 150 calciatori, molti dei quali di primissimo piano. È nota per essere stata promossa da un gruppo di rampolli famosi: tra i suoi fondatori, nel 2001, c'erano anche Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti, vi ha operato Chiara Geronzi, figlia di Cesare, presidente di Capitalia; ma soprattutto la Gea è presieduta da Alessandro Moggi, uno dei manager di riferimento per importanti giocatori.

Alessandro è figlio di Luciano, discusso direttore generale della Juventus, a sua volta fino a qualche anno fa uno dei procuratori più influenti del calcio italiano. In Inghilterra queste commistioni familiari non sono permesse, l'agente della Fifa (la federazione mondiale) Vincenzo Morabito, in recenti interviste le ha definite “uno scandalo”.

L'esplosione dei costi ha fatto saltare l'equilibrio competitivo. Dal '99 i proventi televisivi non sono più distribuiti collettivamente e ogni società contratta la sua quota. Risultato: è difficile poter sostenere che la Reggina, che incassa 7 milioni di euro di diritti tv, possa competere con la Juventus, che ne incamera 54, oppure che il Modena (10) possa validamente opporsi al Milan (49). L'intero fatturato del Chievo, 21,7 milioni, potrebbe a malapena bastare per gli ingaggi di due primedonne come Vieri e Del Piero.

Solo pochissimi possono partecipare alla folle spirale dei costi e assicurarsi i giocatori più forti; infatti dal 1993, anno di ingresso della tv a pagamento nel calcio, gli scudetti sono stati vinti solo da 4 squadre che hanno speso somme monumentali (Milan, Juve, Lazio e Roma), e 8 titoli su10 li hanno conquistati bianconeri e rossoneri, i veri e unici vincitori della fase no limits del calcio. !!pagebreak!!

Da tempo le dimensioni finanziarie fra “piccole” e “grandi” si sono talmente divaricate che vittorie a sorpresa come quelle del Verona (1985) e della Sampdoria (1991) sono di fatto escluse e la corsa al titolo è da diversi anni ristretta a 3-4 società.

D'altra parte, se il calcio è considerato un mercato, come ripetuto infinite volte dai suoi massimi dirigenti, deve andare incontro alla preferenze dei propri clienti, che sono i tifosi. E in Italia la polarizzazione del tifo è molto più forte che in Inghilterra, in Germania e in Francia (più simile è la situazione spagnola). Secondo un'indagine della Doxa pubblicata nel 2003,il 31% degli appassionati tifa Juventus, il 22,2% Inter, il 16,4% Milan, lontanissime tutte le altre. Insomma, gli italiani stanno con chi vince. E un campionato che vedesse lottare ai primi posti club che non vantano grande seguito fra i tifosi registrerebbe un netto calo di interesse che spianerebbe la strada a un disastro economico-finanziario. Motivi di preoccupazione, i padroni del calcio ne hanno a bizzeffe e la spinta a cambiare arriva proprio da quella tv il cui abbraccio soffocante sta portando tutti sott'acqua. Nel 2005 scadono gli attuali diritti, che dunque saranno rinegoziati. Sky Italia (e l'altro network, Piattaforma Gioco Calcio) non hanno intenzione di rovinarsi come accaduto a Telepiù e Stream e offriranno somme inferiori, anche perché gli sportivi italiani, seppure malati di calcio come nessun altro in Europa, non hanno sottoscritto la quota di abbonamenti necessaria per far tornare i conti alle aziende televisive. Il problema è enorme, perché oggi le società di serie A sopravvivono esclusivamente grazie ai diritti tv, che rappresentano nel complesso il 53% dei ricavi.

Ma c'è un'altra scadenza che incombe. L'Uefa,la federazione europea, ha fissato 94 parametri per la partecipazione alle competizione europee per club, 4 dei quali di ordine finanziario. La società con debiti non pagati verso calciatori, procuratori, Lega o Federazione, la prossima stagione rischia di non essere ammessa alle Coppe. Potrebbe così venir meno un'altra importante fonte di risorse: la Champions League, in particolare, assegna parecchi soldi. Dunque, le società dovranno tagliare i costi. Come? Un possibile piano di risanamento di quasi mille pagine è stato redatto da una società di consulenza finanziaria e fiscale, commissionato dal Credito Sportivo. Contiene numerose indicazioni, tra cui l'introduzione dei tetti salariali e il ritorno alla contrattazione collettiva dei diritti tv; si sconsiglia la quotazione in Borsa. Ma nel Paese che de penalizza il falso in bilancio e nello sport è arrivato a falsificare i passaporti dei calciatori per individuare inesistenti trisavoli italiani, riesce difficile immaginare un'improvvisa svolta di correttezza.

Finora il movimento del consumo critico non ha mai posto l'attenzione sul mondo del calcio. D'altronde si parla di un'attività non essenziale per la vita delle persone come l'alimentazione e la salute e che non chiama direttamente in causa i rapporti Nord-Sud. Tuttavia l'impatto sociale del calcio in Italia è gigantesco. Si può ovviamente continuare a ignorare il fenomeno, perché probabilmente il calcio di vertice, che ormai si è trasformato da sport in show business, è troppo compromesso e purtroppo i tifosi sono non sono disposti ad aprire gli occhi sulle malefatte del mondo che li fa sognare.

Oppure si può provare a occuparsi di questo campione del “libero mercato”, che oggi ha un tallone d'Achille molto esposto: la televisione. !!pagebreak!!

Alla fine paga Pantalone?
Le spese pazze del calcio italiano saranno sanate dallo Stato? È in fondo questo che l'Antitrust europeo vuol capire, da quando, nel novembre scorso, ha aperto un'indagine sul decreto approvato in pieno agosto 2003 dal governo italiano.

I media l'hanno subito definito salva-calcio, perché attraverso uno stratagemma contabile consente di far rifiatare le società strangolate dai debiti. Grazie al decreto, i club possono ammortizzare in dieci rate annuali la “svalutazione” (minusvalenze) dei calciatori.

L'accusa di Mario Monti, commissario Ue per la concorrenza, è duplice. In primo luogo, si sospetta un aiuto di Stato, che violerebbe i principi

di libera concorrenza. Poi ci sono i vantaggi economico-fiscali; in questo modo si prolunga il periodo nel corso del quale le perdite possono essere dedotte fiscalmente.

I club che hanno ottenuto le maggiori svalutazioni sono l'Inter, il Milan, la Lazio e la Roma, per somme tra i 200 e i 300 milioni di euro. Tra le grandi, solo la Juventus non ha fatto ricorso al decreto “spalma-debiti”, ma solo grazie a un'operazione immobiliare, dunque estranea alla gestione sportiva (non va dimenticato che la società di Torino fa parte della galassia Agnelli) che ha consentito una plusvalenza di 32,5 milioni di euro e la chiusura del bilancio in attivo.

Chi gioca davvero
È il magnate australiano Rupert Murdoch, padrone di oltre cento aziende editoriali fra stampa e tv, vero imprenditore globalizzato dei media, a comandare sul calcio criptato in Italia. La sua Sky Italia, nata dalla fusione delle ormai decotte Stream e Telepiù, ha i diritti televisivi di tutte le squadre più forti e seguite del campionato.

Un gruppo di “ribelli” che nel 2003 ha dato vita all'unico altro soggetto (player, in gergo economico) del mercato, Piattaforma Gioco Calcio, si è subito trovato in difficoltà. Ha incassato la defezione del Modena e chiamato alla presidenza il manager Franco Tatò, che in questi mesi sta capitalizzando la società. Pare che tra gli azionisti ci siano imprenditori privati e la stessa Lega Calcio.

Gli attuali diritti tv scadranno nel 2005 e dovranno essere rinegoziati.

Giustizia Antidoping
Antidepressivi, stimolanti, farmaci solitamente prescritti a pazienti che soffrono di cuore. Cosa ci fanno tutti quei prodotti nella “farmacia” di una squadra di calcio? È la domanda più sensata da farsi da quando un'ispezione portò al sequestro di centinaia di farmaci in casa Juventus. Doping nello sport è un concetto in realtà molto complesso, i prodotti illegali figurano in tabelle, per alcuni esistono parziali usi consentiti purché “dichiarati”. E il processo in corso a Torino contro i vertici della Juventus, istruito dal pm Raffaele Guariniello, alle battute conclusive, cercherà di far luce sotto il profilo giudiziario. Le ipotesi di reato vanno da somministrazione di farmaci pericolosi per la salute a ricettazione; le deposizioni in aula dei calciatori, infarcite di “non ricordo” non hanno aiutato molto a chiarire la vicenda. Ma anche se di doping in senso giudiziario non si trattasse, perché imbottire giovani sani e addirittura atleti, di medicine che normalmente prendono gli anziani e i malati?

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