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Ambiente

I disastri ambientali all’assemblea dell’Eni

Osayande Omokaro, attivista della Ong nigeriana Environmental Rights Action, interviene all’incontro degli azionisti del gigante energetico italiano

“Quanto gas brucia a cielo aperto l’Eni nel Delta del Niger? Quali sono le sostanze contenute nel gas e quali le misure per ridurre la sua emissione?”. Così si chiude l’intervento all’assemblea degli azionisti dell’Eni di Osayande Omokaro, attivista della Ong nigeriana Environmental Rights Action. La sua presenza all’incontro tenutosi oggi nel palazzone della compagnia petrolifera italiana nel quartiere romano dell’Eur è stata facilitata dalla Fondazione Responsabilità Etica e dalla CRBM, nell’ambito della loro ormai pluriennale attività di azionariato critico. Con lui ci sarebbe dovuto essere anche un esponente delle comunità del Delta del Niger, la regione nigeriana che galleggia sul petrolio e che subisce le conseguenze più severe di uno sfruttamento spesso e volentieri molto dannoso.

Purtroppo la burocrazia, nella forma della mancata concessione del visto, gli ha impedito di arrivare fino a Roma. Un vero peccato, perché avrebbe potuto fornire ulteriori ragguagli su un impianto realizzato dalla filiale nigeriana dell’Eni presso la sua comunità, quella di Okpai. Il progetto si chiama Kwale-Okpai Independent Power Plant e ha come obiettivo quello di “catturare” il gas collegato all’estrazione petrolifera e trasformarlo in energia elettrica, il tutto nell’alveo del Clean Development Mechanism inserito nel Protocollo di Kyoto. La centrale, quindi, produce anche dei crediti di carbonio, visto che è stata concepita per conseguire una riduzione delle emissioni di 14,9 milioni di tonnellate di CO2 per un periodo di dieci anni (2005-2015) e per fornire un contributo di circa 480 megawatt di energia elettrica alla rete elettrica nigeriana. Ben 50 megawatt sarebbero dovuti andare alla popolazione locale, tuttavia le comunità Ndokwa, interessate dal processo di estrazione petrolifera all’interno del bacino d’utenza dell’impianto, continuano a rimanere al buio. Nessun nucleo familiare, infatti, ha ricevuto forniture di energia elettrica. Come mai non è stato rispettato l’impegno preso è un altro degli interrogativi posti da Omokaro ai vertici dell’azienda.

La risposta dell’amministratore delegato Paolo Scaroni (confermato per un altro mandato e in carica dal 2005) all’ultimo quesito è che l’impianto non è più di proprietà dell’Eni. “Noi lo eserciamo solo”, ha dichiarato testualmente. “Certo, è vero, la compagnia elettrica nazionale nigeriana gestisce la distruzione dell’energia elettrica, ciò non toglie che l’Eni potrebbe lo stesso giocare un ruolo per fornire l’elettricità alle popolazioni locali”. Sul gas flaring l’amministratore delegato, invece, si contraddice, affermando prima che il gas bruciato attualmente ammonta al 17% e che l’obiettivo è arrivare al 5% entro il 2014, poi dice che si intende arrivare allo 0% nel 2012, al più tardi nel 2013. La sostanza dei fatti è la pratica di bruciare il gas a cielo aperto durante il processo di estrazione del petrolio, in Nigeria è illegale dal 1984, ma tutte le oil companies continuano ad adottarla. Ogni tanto si pone un termine per eliminarla in via definitiva, che non viene mai rispettato.

Come si vede, la Nigeria è stato senza dubbio uno degli argomenti caldi dell’assemblea dell’Eni, che quest’anno era chiamata a rinnovare il suo consiglio d’amministrazione – come già successo per l’Enel, però, le liste erano blindate e già decise in ambito governativo. In mattinata gli azionisti dell’Eni erano stati infatti accolti al loro arrivo da un nutrito gruppo di attivisti di Amnesty International che hanno provato a consegnargli delle ramazze. Il messaggio era semplice, quanto diretto: “pulite il Delta del Niger”.
Accadrà mai?

 

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