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Diritti / Attualità

I diritti negati nel Cpr di via Corelli a Milano. La denuncia dell’Asgi

I legali dell’associazione hanno visitato la struttura e rilevato gravi problemi tra cui la carenza di strumenti necessari a “garantire adeguatamente il diritto di informazione e orientamento legale”. Per l’avvocato Nicola Datena il sistema della detenzione amministrativa e del rimpatrio forzato va messo radicalmente in discussione

© Emma Steinhobel, unsplash

Tra il primo luglio e il 31 dicembre 2021 nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano sono state trattenute 215 persone di origine straniera, di cui 52 cittadini provenienti dal Marocco, 46 dalla Tunisia, 18 dall’Egitto e 13 dall’Algeria. I rimpatri eseguiti nello stesso arco di tempo sono stati 25, di cui poco più della metà (13) verso Tunisi. Numeri che mostrano plasticamente la poca o nulla “efficacia” di questi luoghi dedicati alla detenzione amministrativa dei cittadini stranieri. “Il Cpr si conferma uno strumento sproporzionato rispetto al fine che il legislatore vuole raggiungere. Si tratta di una limitazione totale del diritto alla libertà personale attuata attraverso prassi amministrative fortemente discrezionali e di dubbia compatibilità con l’ordinamento costituzionale -commenta l’avvocato Nicola Datena, socio di Asgi, che ha partecipato a una recente visita all’interno del centro di trattenimento milanese-. Il sistema della detenzione amministrativa e del rimpatrio forzato merita di essere messo radicalmente in discussione. L’esistenza stessa dei Cpr è nota a pochi ed è quindi particolarmente importante restituire una dimensione pubblica al dibattito sulle condizioni esistenti al loro interno”.

I legali di Asgi hanno avuto accesso al centro nella giornata del 17 dicembre 2021 (ma non hanno potuto parlare con i trattenuti) e hanno chiesto ulteriori informazioni alla Prefettura di Milano attraverso un accesso civico: sia la visita sia le risposte ai quesiti formulati da Asgi, “fanno emergere numerose e gravi criticità riguardo tanto alle condizioni materiali del trattamento quanto con riferimento ai diritti delle persone detenute”, si legge nel rapporto redatto dall’associazione a seguito della visita e pubblicato a fine marzo 2022. Il Cpr di Milano (situato appunto in via Corelli, nella periferia Est della città) è stato riaperto il 28 settembre 2020 dopo che per diversi mesi, tra la fine del 2014 e il 2016, era stato destinato all’accoglienza dei profughi siriani in transito dal capoluogo lombardo. A gestire la struttura, dal settembre 2021, è la società Engel Italia Srl che opera anche all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio (PT). “L’apertura del centro è avvenuta nel pieno della pandemia da Covid-19, i rimpatri effettuati hanno riguardato soprattutto cittadini tunisini provenienti direttamente dalle cosiddette ‘navi quarantena’, procedura sulla cui legittimità sussistono importanti perplessità”, spiega Datena.

Durante i mesi dell’emergenza sanitaria Covid-19, infatti, il governo ha predisposto che i migranti sbarcati sulle coste italiane trascorressero un periodo di isolamento a bordo di traghetti ancorati nei principali porti di sbarco. Luoghi che presentano diverse criticità nella garanzia dei diritti delle persone migranti come ha denunciato Asgi in un report dedicato alle “navi quarantena” e come ha rilevato anche il Garante per le persone private della libertà personale, a partire dalla difficoltà nell’ottenere adeguate informazioni rispetto al proprio status giuridico. “L’utilizzo delle ‘navi quarantena’ -ha denunciato Asgi- si pone in perfetta continuità con i dispositivi già utilizzati e finalizzati alla selezione e differenziazione spesso arbitraria delle persone sbarcate in Italia fra ‘richiedenti asilo’ e ‘migranti economici’, accentuandone però le criticità dal punto di vista della tutela dei diritti di chi li attraversa”.

Come spiega Datena ad Altreconomia, molte delle persone presenti nel centro di via Corelli durante il periodo preso in esame dal report “erano arrivate al Cpr dopo essere transitate dalle ‘navi quarantena’ e, nel caso di quei Paesi per cui esistono accordi di riammissione, rimpatriati in tempi molto brevi. Questo ha generato un meccanismo preoccupante perché queste persone potrebbero non avere mai avuto accesso a informazioni adeguate sulla loro condizione giuridica”. All’interno del Cpr di via Corelli, infatti, non sono stati messi in atto “strumenti e meccanismi idonei a garantire adeguatamente il diritto di informazione e orientamento legale delle persone trattenute”, scrive Asgi evidenziando come “precisi doveri di informazione sui diritti dei trattenuti, sui servizi a cui possono accedere e sulla possibilità di chiedere il riconoscimento della protezione internazionale gravano sulla pubblica amministrazione e sull’ente gestore”.

Ma la difficoltà ad accedere alle informazioni non è l’unico problema rilevato dai legali durante la loro visita. Il report segnala una lunga lista di criticità, a partire dalle limitazioni nell’uso dei telefoni cellulari che vengono requisiti al momento dell’ingresso: i “trattenuti” li possono utilizzare solo per mezz’ora al giorno, in una fascia oraria determinata (dalle 15 alle 20) e in un’area dedicata. Inoltre, non c’è una linea wi-fi a disposizione e l’unico modo per collegarsi a internet è sperare che uno degli “ospiti” del Cpr abbia credito sufficiente per utilizzare il proprio smartphone come router e condividerlo con gli altri. Anche le condizioni materiali di vita all’interno della struttura sono difficili: non vengono organizzate attività ricreative degne di nota e ai trattenuti viene consegnato un solo kit al momento dell’ingresso (una tuta, un paio di slip, un asciugamano grande e uno piccolo, prodotti per l’igiene personale) che devono farsi bastare per un periodo di 30 giorni. “L’ente gestore -si legge nel rapporto di Asgi- spiega che asciugamani e indumenti possono essere lavati nella lavanderia. In assenza di un cambio non si vede però come i trattenuti possano lavare i propri indumenti, cosa possano indossare mentre svolgono il lavaggio”. Anche il servizio di mediazione linguistica risulta carente: secondo quanto riferito da Asgi al momento della visita -che si è svolta tra le 10 e le 11.30 del mattino- era presente unicamente un mediatore linguistico-culturale di lingua spagnola. “Tanto le previsioni di capitolato quanto la realtà riscontrata al momento della visita fanno emergere come l’accesso alle informazioni e a un’informazione adeguata e completa in una lingua comprensibile non sia nella pratica effettivamente garantito”, si legge nel report.

Infine, particolare attenzione viene dedicata al tema della salute. Al momento dell’ingresso nel Cpr viene svolta da personale medico di Ats Milano una visita finalizzata a valutare l’idoneità al trattenimento e l’assenza di patologie infettive (in particolare il Covid-19): “Una visita che si svolge senza accertamenti strumentali ed esclusivamente in base a quanto è in grado di riferire il paziente”, si legge nel report. “Le visite di idoneità dovrebbero essere più accurate: le norme impongono un monitoraggio costante e periodico delle condizioni psico-fisiche dei trattenuti -sottolinea Datena-. Spesso chi entra in queste strutture in condizioni di fragilità subisce un peggioramento. La tutela della salute dei cittadini stranieri che entrano nel Cpr dovrebbe essere tutelata sulla base di appositi protocolli: quelli vigenti al momento della visita, siglati nel luglio 2021, sono scaduti con la fine dell’anno e non sono stati rinnovati”. Un ulteriore protocollo riguardante la cura delle dipendenze patologiche e il sostegno medico terapeutico necessario alle persone tossicodipendenti è scaduto il 31 dicembre 2021 e non è stato rinnovato. Una criticità non da poco se si pensa che -come spiegato dallo stesso ente gestore- il presidio medico del Cpr si trova a gestire molti casi di persone tossicodipendenti “che necessitano della somministrazione costante di Rivotril che, in assenza di una precisa terapia di somministrazione di metadone o altri farmaci, è usato come medicinale sostitutivo”, si legge nel report. Infine, per quanto riguarda i vaccini anti-Covid-19 il documento redatto da Asgi evidenzia come né il direttore sanitario né l’ente gestore abbiano idea sulle modalità di accesso alle vaccinazioni per i trattenuti.

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