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I commi clandestini che ci cambiano la vita

Strano Paese l’Italia. Tutti noi siamo quotidianamente aggiornati sulla vicenda Alitalia, come se la sua sorte costituisse uno dei problemi principali della collettività. Si tratta di un’azienda pubblica sull’orlo del fallimento e la vicenda tocca da vicino i suoi dipendenti,…

Tratto da Altreconomia 98 — Ottobre 2008

Strano Paese l’Italia. Tutti noi siamo quotidianamente aggiornati sulla vicenda Alitalia, come se la sua sorte costituisse uno dei problemi principali della collettività. Si tratta di un’azienda pubblica sull’orlo del fallimento e la vicenda tocca da vicino i suoi dipendenti, i suoi fornitori, i suoi clienti e tutti noi, in quanto contribuenti. Ma il trasporto aereo non può certo essere considerato un servizio pubblico essenziale e, soprattutto, non è un monopolio, per cui la sorte di una singola azienda non è poi così cruciale per gli utenti di quel servizio.
Il paradosso è che negli stessi mesi della telenovela Alitalia è stata approvata la riforma dei servizi pubblici locali, che invece ci riguarda molto più da vicino, perché si tratta di servizi essenziali, per giunta forniti in regime di monopolio.
Sui giornali, però, se ne è parlato pochissimo. Sarà forse perché la riforma è stata nascosta in un comma (il 23 bis) inserito “clandestinamente” nella legge 133/2008 con cui in pieno agosto è stato convertito in legge un precedente decreto; o forse dipenderà dal fatto che ancora mancano i regolamenti attuativi del Governo, che devono specificare molti dettagli importanti.
Fatto sta che i principi sono fissati ed è giusto che ne capiamo il significato
e le potenziali conseguenze. Da qui in avanti infatti i servizi pubblici locali dovranno di norma essere affidati a un’azienda tramite una procedura di gara. Solo in casi eccezionali, e motivati con una relazione all’Autorità di settore e all’Autorità garante della concorrenza, gli enti locali potranno decidere di affidare direttamente a una società pubblica che rispetti i requisiti fissati dall’Unione Europea. È passato quindi il concetto che la gara sia garanzia di benessere per i cittadini e che la soluzione pubblica vada invece guardata con sospetto e limitata il più possibile. Idea tutta italiana, condivisa probabilmente anche da partiti adesso all’opposizione, ma che non è del tutto in linea né con i principi comunitari, né con gli insegnamenti della teoria economica. Un’idea, soprattutto, sconfessata spesso dall’esperienza.
La Comunità europea ha più volte ribadito che il principio della concorrenza deve essere salvaguardato tutte le volte che l’amministrazione pubblica decide di affidare un servizio a un privato, ma anche che l’opzione fra la gestione pubblica o privata dei servizi essenziali è una scelta sovrana di ogni Stato. Quindi la gestione pubblica, o in-house, non viene vista come soluzione residuale, ma come alternativa con uguale dignità a quella dell’affidamento tramite gara. Anche la letteratura economica riconosce ormai che fra la formula della gara per l’affidamento a privati e la gestione pubblica non esiste una soluzione che sia sempre vincente, in quanto ognuna ha i suoi pro e i suoi contro e la migliore scelta dipende di volta in volta dai fattori del contesto. È certo comunque che la gara non è sinonimo di benessere dell’utente e che il vero fattore cruciale è quello della regolazione del gestore-monopolista, quale che sia la sua natura societaria.
L’esperienza delle gare nei servizi pubblici locali fino ad oggi ha avuto alcune luci ma anche molte ombre. Nella distribuzione del gas naturale ad esempio la concorrenza ha funzionato così bene da permettere, in un primo momento, ai Comuni di rimpinguare le loro casse con lauti canoni di concessione; adesso però tutti si preoccupano di capire se i gestori potranno garantire nuovi investimenti e qualità del servizio visti i ridotti margini di profitto. Nel settore idrico le gare invece sono andate spesso deserte e le imprese private interessate a partecipare saranno sempre meno visto il forte processo di concentrazione industriale in atto. Non sarà quindi certo la “concorrenza” a tutelare i cittadini.
In molti casi le gestioni pubbliche si sono rivelate inefficienti e i privati potrebbero aiutare a migliorare la qualità dei servizi. Ma sarebbe meglio affrontare il problema senza preclusioni ideologiche, lasciando agli amministratori locali la libertà, e la responsabilità, di scegliere la soluzione migliore nel loro specifico contesto. Rendere obbligatoria la gara diminuisce le alternative a disposizione e rischia di far divenire le amministrazioni pubbliche ostaggi delle imprese private.

* di Nicola Doni è ricercatore di Economia politica presso il Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Firenze. I suoi interessi di ricerca prevalenti sono la teoria economica dei contratti e la teoria delle aste, con applicazioni in particolare al contesto degli appalti pubblici e delle gare per l’affidamento di servizi di pubblica utilità. Ha svolto consulenze per l’Associazione nazionale degli enti
di ambito (Anea) e per il Comitato di vigilanza per l’uso delle risorse idriche (Coviri). È uno dei curatori dei dossier  “La resa dei conti” di Altreconomia

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