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Altre Economie / Approfondimento

La scommessa migrante di Humus contro lo spopolamento

Claudio Naviglia (co-fondatore di MiCò) e Pierre Enjalbert che gestisce la bottega “Bioetik” © Maurizio Bongioanni

Nei Comuni della Valle Grana (Cuneo) si è investito sulla formazione in ambito agricolo di autoctoni e richiedenti asilo per mettere in rete tra loro le piccole aziende della zona, che possono scambiarsi manodopera e macchinari

Tratto da Altreconomia 209 — Novembre 2018

L’agriturismo “Lou Porti” è aperto il sabato e la domenica e si trova in Valle Grana, nella provincia di Cuneo. A gestirlo è Remo Giordano, 40enne nato e cresciuto a Caraglio, insieme alla compagna e ai genitori. Remo è il titolare di un’azienda agricola dove si producono frutta, verdura e cereali. Ma a partire dal prossimo anno, per il suo agriturismo, Remo ha intenzione di assumere un aiuto-cuoco che ha già individuato tra i richiedenti asilo ospitati in una struttura di Monterosso Grana. L’aiuto-cuoco si chiama Buba Jammeh, viene dalla Guinea e da quando è in Valle Grana ha già seguito un corso di cucina e uno di Haccp (sistema di auto-controllo igienico-sanitario obbligatorio per coloro che lavorano in ambito alimentare).

Il ragazzo, però, non potrà lavorare tutto l’anno nell’agriturismo: dopo l’alta stagione, infatti, “Lou Porti” “passerà” Buba a un’altra azienda agricola della valle che lo impiegherà nella raccolta della frutta in autunno e nella potatura in inverno. Grazie alla condivisione di manodopera tra le due realtà, Buba sarà impiegato per tutto l’anno. Dal punto di vista legale le due aziende fanno parte di uno stesso contratto di rete, che permette alle imprese che ne fanno parte di scambiarsi mezzi e manodopera. Nel caso della Valle Grana, sono ben venti le aziende che hanno aderito a un contratto del genere che, mentre questo numero di Altreconomia sta andando in stampa, aspetta solo di essere depositato in Camera di Commercio per diventare operativo a tutti gli effetti.

Il contratto di rete segna il punto massimo finora raggiunto da Humus, progetto che ha come obiettivo principale quello di rilanciare l’economia comunitaria e creare opportunità di lavoro per ripopolare la valle. I suoi primi passi Humus li ha mossi con la realizzazione dello Sportello Lavoro, nato a Monterosso Grana dopo che il comune -interessato alla fine del 2016 dall’arrivo di una trentina di richiedenti asilo, arrivo strumentalizzato dalla retorica anti-immigrazione- si è impegnato nell’integrazione e nella creazione di percorsi di inserimento lavorativo rivolti sia ai migranti sia ai residenti della valle. È per questo che dopo poco l’arrivo dei richiedenti asilo, a inizio 2017, l’amministrazione locale ha coinvolto l’associazione MiCò, già attiva in progetti di inclusione rivolti ai migranti nel territorio cuneese e creatore insieme al presidio di Libera e la Cgil locali del primo Osservatorio sull’accoglienza dei profughi della provincia. MiCò ha avviato uno sportello capace di mettere in contatto tra loro persone in cerca di occupazione e aziende della valle. “La realizzazione dello sportello suscitò l’interesse di una attiva rete di aziende territoriali, che già collaboravano tra loro -racconta Claudio Naviglia, co-fondatore di MiCò-. Ci proposero di attivare un corso per la formazione di nuovi agricoltori. L’obiettivo era rigenerare il tessuto economico e sociale di un territorio montano a rischio spopolamento”.

Claudio, 33enne, è antropologo, di origine torinese ma trasferitosi da qualche anno a Cuneo. Ogni quindici giorni si reca allo Sportello di Monterosso per alimentare il progetto. Lui è una delle anime di Humus: “Il corso di formazione si è svolto da febbraio a giugno 2018 e il fatto che siano state le aziende stesse a richiederlo era la dimostrazione che c’era richiesta di manodopera, soprattutto in campo agricolo. L’idea quindi sembrava promettere bene sin dall’inizio: la rete imprenditoriale avrebbe formato manodopera specializzata sul territorio, creando occasioni di lavoro per i migranti e per i residenti, senza costringere gli uni a passare dal caporalato e gli altri ad abbandonare le valli”, racconta Claudio. Le aziende stesse si sono offerte di svolgere la docenza: a una parte teorica è stata affiancata la parte pratica con tanto di potatura, semina e visite aziendali. E il riscontro è stato fin da subito positivo: “Abbiamo avuto 25 iscritti di cui metà migranti e metà residenti e ottenuto un contributo iniziale di 2000 euro dalla Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo (CRC) a sostegno del progetto”.

Terminato il corso sono scattate le prime cinque assunzioni di altrettanti migranti nel settore agricolo mentre altri tre hanno iniziato un percorso di auto-produzione, seminando patate in un campo concesso in comodato d’uso, che verranno vendute con il marchio Humus. “Questa fetta del progetto è ancora in fase sperimentale perché per queste persone non è facile farsi coinvolgere da un discorso di auto-imprenditoria quando l’unica preoccupazione diventa la convalida di documenti per continuare a vivere e lavorare sul nostro territorio. Una condizione che appiattisce sul presente senza poter pianificare il futuro”, spiega Claudio. Ora il passo successivo è quello di rendere “condivisibili” le cinque assunzioni ed è per questa ragione che è nata la proposta di adottare il contratto di rete, che oltre ai lavoratori permetterà alle aziende coinvolte di condividere tra loro mezzi e idee. “Un modo per abbattere i costi che diventa ancora più importante se pensiamo che alla rete prendono parte piccole aziende agricole e strutture ricettive che lavorano secondo le stagionalità”.

30 i richiedenti asilo arrivati a Monterosso Grana (Cuneo) negli ultimi mesi del 2016

Le due aziende che condivideranno la “risorsa” Buba, grazie al contratto di rete, diventeranno così complementari tra loro. Una caratteristica che riguarda tutte le realtà aderenti: già prima del contratto le imprese della valle collaboravano insieme. “Oggi quello che noi produciamo in esubero viene trasformato da un’altra azienda della rete -riprende Remo Giordano- ma fino all’anno scorso lo affidavamo invece a un distributore che riforniva i gruppi di acquisto solidale della valle e del territorio oltreconfine”.

Anche il distributore fa parte della rete. Anzi, lui è Pierre Enjalbert e insieme a Claudio ha seguito fin dagli inizi lo sviluppo di Humus. A fine ottobre, Pierre ha appena inaugurato una bottega a Caraglio, specializzata nella vendita di prodotti valligiani e dove trovano posto anche i prodotti delle varie aziende agricole della rete. Inoltre a “Bioetik” lavora Seedou Tourè, un ragazzo di 22 anni proveniente dal Gambia. Seedou, che nel paese di origine ha completato un percorso da tecnico informatico, è uno di quei cinque contratti di cui sopra e ha frequentato il corso da agricoltore realizzato dallo Sportello Lavoro di Monterosso. “Mi è stato molto utile -sottolinea Seedou- perché in Gambia non abbiamo mele, pere e l’agricoltura è fatta senza meccanizzazione. Oltre a imparare molto su un territorio diverso dal mio, adesso posso lavorare a contatto con i prodotti di questa valle e conoscere il ciclo di produzione”.

“Il prossimo passo che ci aspetta sarà sperimentare la scalabilità del progetto, cioè capire come questo modello di lavoro basato sulla rete possa applicarsi anche nelle altre valli cuneesi”, conclude Claudio. Intanto Humus è stato premiato da “GrandUp un progetto di accelerazione di impresa a impatto sociale per la provincia di Cuneo, promosso dalla Fondazione CRC con la partnership tecnica di “SocialFare e in collaborazione con le principali associazioni di categoria provinciali.

Durante il percorso di “GrandUp” il team di Humus ha lavorato per strutturare il proprio progetto ed è stato premiato con un contributo economico da investire nello sviluppo di una piattaforma digitale per informatizzare la rete di scambio comunitario.

Le fondamenta di questo ennesimo sviluppo verranno gettate a partire da ottobre: “Oltre a rendere più fluida la collaborazione tra imprese e la ricerca di lavoro -conclude Claudio- la piattaforma consentirà di tracciare l’intera filiera e il processo di contrattualizzazione, contrastando il lavoro nero ed evitando le zone grigie del settore”. Non solo: l’impatto sociale che ha convinto la giuria della CRC a investire sul progetto sta nella creazione, e quindi nella replicabilità, della collaborazione tra reti di imprese anche nelle altre valli intorno a Cuneo, trasformando territori colpiti dallo spopolamento in poli d’attrazione per nuovi cittadini. Migranti compresi.

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