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Cultura e scienza / Intervista

Hedwig Fijen. Ripartire dalle contaminazioni

Ha fondato e dirige “Manifesta”, biennale nomade di arte e cultura contemporanea che fino al 4 novembre fa tappa a Palermo. “Città ideale per esplorare l’idea di convivenza”

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018
© Chris van Houts

La vegetazione dipinta da Francesco Lojacono nella “Veduta di Palermo” (1875, oggi esposta alla Galleria d’arte moderna di Palermo, gampalermo.it) mostra le tracce delle migrazioni che hanno da sempre attraversato la città siciliana: “Ulivi dall’Asia, pioppi dal Medio Oriente, eucalipti dall’Australia, fichi d’India dal Messico e nespoli dal Giappone”. Hedwig Fijen ci accompagna nella lettura del quadro. “Anche gli alberi di agrumi sono un lascito della dominazione araba, eppure nessuno degli elementi naturali è indigeno”. Lo stesso Orto botanico di Palermo, fondato nel 1779, è nato come laboratorio dove coltivare, studiare e mescolare specie diverse: un luogo dove diverse forme di vita s’incontrano e coesistono.

Ispirandosi al paesaggista Gilles Clément -che a Palermo ha ideato un giardino urbano nel quartiere Zen-, il tema di “Manifesta 12, la biennale nomade europea di arte e cultura contemporanea, allestita quest’anno nella capitale italiana della cultura, è “Il giardino planetario. Coltivare la coesistenza”. Fondata nel 1993 dalla storica dell’arte olandese Hedwig Fijen, che ancora oggi la dirige, Manifesta “nasce in risposta al cambiamento politico, economico e sociale avviatosi alla fine della Guerra fredda, in un’Europa frammentata costretta a ripartire dalle contaminazioni culturali”, spiega Fijen.

Perché avete scelto Palermo per la dodicesima edizione di Manifesta?
HF Questa città nel cuore del Mediterraneo, crocevia di tre continenti, ci offre una lente d’osservazione unica per esplorare l’idea di convivenza in un mondo mosso da reti invisibili e sconvolto da una crisi ambientale che genera disuguaglianze crescenti. È uno scenario plasmato sulla diversità, storicamente attraversato da tanti popoli in movimento e che oggi deve affrontare l’impatto simultaneo di fenomeni contraddittori come il turismo e le migrazioni. Per queste sue caratteristiche ci è sembrata la città ideale dalla quale avviare un’analisi delle trasformazioni geopolitiche del presente, che reinterpretiamo attraverso una lettura culturale e artistica.

La “coesistenza” del titolo richiama anche la necessità di costruire un’operazione culturale come questa in cooperazione con gli abitanti. Qual è il processo partecipativo da cui è nata Manifesta 12?
HF Siamo partiti da una ricerca urbanistica “Palermo Atlas”, affidata allo studio Office for Metropolitan Architecture, per avere una comprensione più profonda della realtà urbana e delle sue complessità culturali, sociopolitiche, religiose ed etniche a partire da centinaia di testimonianze locali.
Il risultato di questa ricerca si è tradotto in un programma di attività culturali, con lo scopo di avere un impatto a lungo termine sulla città. Ma gli abitanti sono stati coinvolti direttamente anche negli interventi artistici e culturali della biennale: da un lato, focalizzando le opere sui temi che oggi sono al centro del dibattito cittadino; dall’altro costruendone alcune in collaborazione con persone, movimenti e associazioni del territorio. Questo percorso condiviso sta portando a una rigenerazione urbana di alcuni spazi abbandonati della città: per esempio, il Teatro Garibaldi -ambasciata temporanea di Manifesta 12- è tornato a svolgere una funzione pubblica dopo un periodo d’inattività, segnato da atti di vandalismo e decadenza. O l’arena cinematografica “La Sirenetta” a Mondello, è stata riaperta per delle proiezioni gratuite, dopo 12 anni di abbandono.

“Manifesta 12” -promossa dalla Fondazione Manifesta con il Comune di Palermo è aperta al pubblico fino al 4 novembre. Si svolge in 20 sedi della città

In che modo Manifesta 12 facilita una riflessione sulla necessità di una società plurale e accogliente nei confronti delle diversità?
HF La multiculturalità e interdisciplinarietà sono nel dna di Manifesta. A partire dal gruppo di quattro “mediatori creativi” che ha lavorato a questa edizione: l’architetto Ippolito Pestellini Laparelli di Oma; Bregtje van der Haak, giornalista e regista di origine olandese; Andrés Jaque, architetto e ricercatore spagnolo; e Mirjam Varadinis, curatrice d’arte contemporanea nata in Svizzera. Sono oltre 50 gli artisti che partecipano con degli interventi culturali a metà strada tra tradizione e innovazione, intrecciando temi di portata globale e storia locale. Ad esempio, “l’erbario siciliano ideale” ospitato nell’Orto botanico è inaspettatamente curato dal colombiano Alberto Baraya, o il metodo seicentesco di stampa naturale del botanico siciliano Paolo Boccone è reinterpretato dalla svedese Malin Franzén. Gli archivi del movimento No Muos sono riletti dalla cubana Tania Brughera, mentre il turco Erkan Özgen ha condotto un’inchiesta dedicata alle donne rifugiate in Europa fuggite da zone di guerra in Iraq e la regista Laura Poitras ci accompagna in un viaggio narrativo nel paesaggio siciliano, evidenziando la forte presenza delle basi militari statunitensi sull’isola. E la redazione africana di Chimurenga, che in giugno è stata ospite al Teatro Garibaldi, sta lavorando su un numero speciale della rivista, dedicata al tema del movimento e dell’assenza di confini, in uscita a fine ottobre.

Qual è l’eredità che Manifesta lascia alla città di Palermo?
HF Palermo ha già intrapreso un percorso di cambiamento, prima di tutto culturale. Da città controllata dai fenomeni di illegalità è riuscita a diventare capitale della cultura italiana, ma la nostra speranza è che questo processo di coraggiosa mutazione continui e Palermo diventi “capitale delle altre culture”, come ha suggerito il sindaco, Leoluca Orlando. Non ci riferiamo solamente alla cultura dell’arte, ma alla cultura dei diritti, della pace, del lavoro dignitoso, della mobilità sostenibile, della solidarietà, dell’ambiente e del rispetto delle differenze. Se riusciremo a costruire una rete salda e sostenibile, composta da abitanti, visitatori e istituzioni che collaborano, avremo fatto la nostra parte affinché Palermo diventi un laboratorio mediterraneo di nuovi modelli di cittadinanza, diversità e coesistenza solidale.

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