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Reportage

Guinea Bissau a testa alta

Sovranità alimentare, democrazia, radio libere e desiderio di futuro. Viaggio nel piccolo Paese africano, tra i più poveri al mondo, dove il reddito pro capite è di 3 euro al giorno e il traffico trasnazionale di cocaina ha stabilito una base strategica. Il ruolo della cooperazione internazionale

Oltre al traffico di droga, alla corruzione e alla povertà esiste un’altra Guinea Bissau. Un Paese che sogna, che sa ridere, danzare, appassionarsi. Che resiste e che ha voglia di cambiare”. Flora Gomes è un regista di fama internazionale originario della Guinea Bissau. Il suo è un cinema politico, che racconta di un popolo da sempre in lotta per la sua libertà. Quando gli chiediamo che cos’è per lui la guinendadi, ci spiega che si tratta di un vocabolo nuovo ma che indica un concetto molto caro a chi, negli anni Settanta, liberò la Guinea Bissau dal giogo della dominazione portoghese sotto la guida del politico ed eroe nazionale Amilcar Cabral: "Guinendadi è essere e sentirsi guineensi, sapere di fare parte di una collettività in cui ognuno deve fare il suo pezzo per contribuire allo sviluppo del Paese".
 
 
(credits Carolina Lucchesini)
 
Il più piccolo stato africano
Con i suoi 36 mila km² (più o meno la stessa dimensione della Svizzera), la Guinea Bissau è uno dei più piccoli stati del continente africano. Confina a nord con il Senegal, a sud e a est con la Guinea e a ovest con l’Oceano Atlantico. La capitale, Bissau, conta circa 400.000 abitanti: sorge sull’estuario del fiume Geba ed è lo scalo marittimo principale del Paese, oltre che l’unico hub commerciale che lo mette in contatto con il resto del mondo. Ci troviamo in uno dei Paesi piu poveri al mondo (con un reddito pro capite di 3 euro al giorno, occupa il 177° posto nello Human Development Report), con un’economia locale fondata essenzialmente sulla pesca, l’agricoltura di sussistenza e lo sfruttamento delle risorse forestali. Si importa di tutto: dai beni materiali come il riso, nonostante sia coltivato in loco, a quelli immateriali come l’educazione o la sanità, grazie alla presenza delle ong internazionali. A completare il quadro, il narcotraffico: da circa un decennio, infatti, la Guinea Bissau è diventata centro di collegamento strategico per il traffico transnazionale di cocaina che vede protagoniste le reti criminali messicane, venezuelane e colombiane con quelle europee. Lo stesso Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) nel 2013 ha denunciato come il commercio illegale di droga sia la causa principale della corruzione dilagante nel Paese, tra politici e militari.
 

La parola che unisce un popolo: Guinendadi
Nonostante la situazione economica e politica sembri non lasciare spazio alle speranze, in Guinea Bissau c’è un sentimento collettivo che muove una parte della popolazione verso uno sviluppo indipendente dagli aiuti esterni che tendono ad arrivare “a pioggia” da ong, missioni e organizzazioni internazionali. Associazioni, cooperative e gruppi informali locali sono attivi nel mondo del sociale, della cultura e del commercio contro la povertà, il malaffare e la cattiva politica investendo soprattutto nelle risorse presenti sul territorio. A fare da collante, una sola parola: guinendadi, ovvero l’amore per la patria, il sentirsi guineensi e l’identificarsi in valori e tradizioni ancestrali indipendentemente dall’etnia di appartenenza. Ma anche la volontà di lavorare per il bene comune e la giustizia sociale, il sentire la responsabilità di avere un ruolo nella costruzione e ricostruzione della Guinea Bissau.
 
L’indipendenza passa dalla sovranità alimentare
"Rendersi indipendenti dal punto di vista alimentare significa rendersi liberi. Per questa ragione vogliamo lavorare per l’autoproduzione e la sovranità alimentare, che oggi è una delle priorità più importanti per il nostro Paese" è l’opinione di Alfredo Cà, responsabile dell’associazione “Asas de Socorro”, nata per potenziare il mercato avicolo locale, in un Paese in cui la carne di pollo risulta tra i beni più commerciati e che importa in media 12 mila tonnellate di uova ogni anno.
La pensa allo stesso modo Leandro Pinto Junior, cofondatore della cooperativa “Coajoq”: "Ognuno di noi deve fare la sua parte per ricostruire la Guinea Bissau. Dobbiamo smettere di aspettare gli aiuti internazionali e ripartire da cose concrete: l’educazione, la sovranità alimentare, la giustizia sociale. Noi non facciamo la politica nei partiti, ma facciamo politica partendo dal cibo". Attraverso una scuola di agronomia, una radio e una tv comunitaria, Coajoc trasferisce il sapere contadino ai ragazzi del villaggio di Canchungo, a nord di Bissau.

(credits Carolina Lucchesini)

 
Il sogno della democrazia: a testa alta contro il golpe
In risposta al colpo di Stato del 2012 (il quinto dal 1980), la gioventù guineense si è chiesta cosa poteva fare per prevenire la nuova escalation di violenza e la limitazione dei diritti fondamentali. Sono così nate due realtà determinate a creare le condizioni per permettere ai cittadini di partecipare ai processi politici, al fine di difendere gli interessi comuni e favorire la riconciliazione nazionale. La prima è il GOSCE, una coalizione di una quindicina di organizzazioni attive nella società civile guineense: nel 2014 ha monitorato le elezioni politiche adottando una piattaforma online sulla quale registrare e mappare in tempo reale dati trasmessi da tutto il Paese sullo svolgimento del processo di voto. La seconda è il Movimento Ação Cidadã (MAC) che, per "risvegliare le coscienze e fare informazione a tutti i livelli della società su quello che succede nel Paese", organizza cicli di conferenze e dibattiti, gestisce un blog e tiene una trasmissione radio. "Il MAC rappresenta una prospettiva innovativa. Vogliamo creare una massa critica pensante, capace di riflettere sulle questioni del Paese, di fare domande e pretendere risposte. Vogliamo manifestare i nostri punti di vista in maniera costruttiva".
 

(credits Carolina Lucchesini)

 
Musica a servizio della comunità
Non c’è radio in Guinea Bissau che non trasmetta più volte al giorno le sue hit, come Amor so amor, Mariana o Tudo na passa. Quest’ultima racconta proprio gli ostacoli affrontati e superati dal popolo guineense negli utlimi decenni di instabilità politica ed economica. Attraverso le melodie del cantautore Binhan, canta un popolo intero: "Penso che il dovere di un musicista sia quello di raccontare quello che la gente vive, sogna, si aspetta dal futuro". Un senso del dovere che ben si ritrova in Imperador, giovane rapper popolarissimo nel Paese, che ha fatto del suo freestyle un coro di speranza, un simbolo di lotta e resistenza. "Per me la Guinea Bissau è tutto, non posso parlarne male e non potrei mai abbandonarla. Come cittadino e come musicista, ho delle responsabilità nei confronti di questa terra e della sua popolazione. Non mi piace usare termini negativi per descrivere questo Paese, è una perdita di tempo e non credo sia utile. Io faccio musica per lanciare messaggi positivi sulla Guinea Bissau. Canto nel nome del popolo guineense e del mio Paese". 
 
Imprenditori si diventa
Bissau centro. A due passi dai ministeri, dagli uffici pubblici e dagli organismi internazionali, a pochi metri dall’agenzia meteorologica in ristrutturazione. Una svolta, e le strade laterali, sterrate e sconnesse, si aprono su una via più viva. È in una di queste stradine che Elio ha trovato il suo posto. Quello dove far crescere la sua impresa. Un piccolo contendor, minuscola rivendita di generi di prima necessità ricavata da un mezzo container arrivato al porto di Bissau chissà da dove.
 Elio, 31 anni, ha potuto avviare la sua start up grazie a "Djubi Lundiu", la prima edizione di "Bo fia bo pudi" l’incubatore di imprese dell’ong Engim Internazionale. "La cosa più importante per avviare una piccola impresa è crederci fino in fondo e non smettere mai di formarsi. L’educazione è l’unica possibilità per resistere e salvarsi nelle situazioni difficili". Anche Elio, come tanti giovani africani, per un periodo, ha nutrito il sogno dell’Europa. Ma adesso la sua impresa inizia a dare qualche profitto e ha capito che il suo futuro è in Guinea Bissau. 

* Il reportage è stato realizzato in collaborazione con l’ong Engim Internazionale e grazie al premio DevReporter, finalizzato a intensificare la collaborazione tra il mondo del giornalismo e quello della cooperazione internazionale. Anche la fotografia in copertina è di Carolina Lucchesini

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